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       Is 
        54,5-10 
        Sal 129  
        Rm 14, 9-13 
        Lc 18, 9-14  
         
       
        Le parabole di Gesù sono un incanto: era un rabbi, 
        ma anche un poeta. Prima di sfiorare la parabola del fariseo e del pubblicano, 
        vorrei con fiato sospeso fare sosta sul brano del profeta Isaia: un giuramento 
        di bene, che Dio fa al suo popolo, che in esilio potrebbe anche pensare 
        di essere caduto in disgrazia di Dio. Dio usa per sè l'immagine dello 
        sposo; "Tuo sposo è il tuo creatore". L'immagine non rientrava nei catechismi: 
        chi è Dio? Sposo! Nel creare si fa sposo, dunque di tutta la terra. Uno 
        sposo speciale. E vero, "speciale" è aggettivo che usiamo per qualche 
        persona che ci è molto cara, ma qui, allargando all'infinito, lo usiamo 
        per Dio. In che senso? 
         
        Da 
        un lato perché il suo amore non viene in risposta al nostro, precede e 
        dall'altro perché risplende la sproporzione. E' uno che ama la sproporzione, 
        anzi lui è sproporzione. Quella che sorprendi, e ti incanta, in un passaggio 
        del brano di Isaia: "Per un breve istante ti ho abbandonata, ma ti riprenderò 
        con immenso amore. In un impeto di collera ti ho nascosto per un poco 
        il mio volto ma con affetto perenne ho avuto pietà di te - dice il tuo 
        redentore". Breve l'istante di abbandono, immenso l'abbraccio dell'amore; 
        breve il nascondimento del volto, perenne la tenerezza. Non dire dunque: 
        "Dio mi ha abbandonato", o sì, dillo quando il cuore è gonfio; lo ha detto 
        pure Gesù sulla croce: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?". 
        Ma poi un sussulto e ti affidi, perché di Dio conosci gli occhi e quale 
        luce li abiti. "Sposo" vorrei insistere. Non un rapporto padrone servo, 
        e nemmeno mercante acquirente. Non c'è di mezzo un contratto, risplende 
        la gratuità. Non sono determinanti le prestazioni, mi ama, anche se ho 
        poco niente da ricambiare; lui è "fuori testa" nel volermi bene, è uno 
        che non resiste alla tenerezza, ci prova, ma non ci riesce. Così Dio. 
         
        Ebbene a volte mi prende il dubbio che sia passata un'altra immagine di 
        Dio. Più giudicante che tenero, più dominante che amante. Vengo alla parabola. 
        Leggendola mi ha sfiorato una domanda: chissà se a ispirare Gesù a inventare 
        la parabola del fariseo e del pubblicano non sia sia stato anche quello 
        che era accaduto nella casa di Simone il fariseo con l'irrompere inatteso, 
        scandaloso e tenero, della donna del profumo. Qualcuno potrebbe trovare 
        strano che Gesù al fine - fine dichiarato - di mettere sotto accusa "alcuni 
        che avevano l'intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli 
        altri" - sua finito a parlare di preghiera, quasi la tua preghiera fosse 
        una spia del tuo rapporto con il prossimo. Quasi che ci fosse legame tra 
        casa del fariseo e il tempio. Sì, siamo nel tempio.  
         
        Geniale Gesù: gli basta un cenno alla postura dei personaggi a svelare 
        il più profondo che li abita: "Il fariseo, stando in piedi, pregava così 
        tra sé: "O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini… Il 
        pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli 
        occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: "O Dio, abbi pietà di 
        me peccatore" "Stando in piedi", "fermatosi a distanza": due modi di essere, 
        di vivere. Il mio modo di essere, di vivere ha la figura dello stare in 
        piedi ostentando o quella del fermarmi a distanza consapevole della piccolezza? 
        E che cosa insegniamo? Non ci prende sospetto che tanti mali dell'anima 
        e del mondo vengano dalla postura dell'ostentazione e del dominio e tanto 
        bene dell'anima e del mondo dalla postura della piccolezza e del rispetto? 
        Da dove vengono, lacerazioni, ingiustizie e guerre? E la mia postura? 
         
         
        Poi nel racconto ascolto, ascolto parole, ascolto il tono della voce nella 
        preghiera del fariseo e del pubblicano, il tono fa la differenza: una 
        declamazioni imponente dall'alto e una briciola di soffio dal basso. La 
        lunga preghiera del fariseo che non sale, rimane incollata a chi la pronuncia: 
        "pregava tra sé" annota acutamente Gesù. Penso a certe nostre preghiere 
        che, dette come sono, farebbero dire a qualcuno: "Ma tu con una persona 
        usi quel tono?". Un'invasione. A fronte, la piccola preghiera del pubblicano, 
        una preghiera bellissima nella sua piccolezza, che in greco suona "Kyrie 
        eleision", "Signore, abbi pietà". Purtroppo corre il pericolo di diventare 
        una cantilena senza pensiero, senza che nulla l'accenda dentro. Penso 
        alla mia voce, al tono della mia voce con Dio, e, a specchio, alla mia 
        voce, al tono della mia voce con gli altri. Il mio tono fuori misura, 
        "stando in piedi" è come di chi la scena se la vuole prendere tutta lui, 
        parla solo lui, nessun ascolto.  
         
        Non c'è ascolto se non dalla terra della piccolezza, da coloro che riconoscono 
        la propria piccolezza e accolgono quella dell'altro. Stare in piedi o 
        fermarsi a distanza. A volte sembra di vivere in una società dove nell'aria 
        si respira la prepotenza dello spirito, dei pensieri, dei gesti e non 
        l'umile affaccio del pubblicano che cambia l'aria nel tempio. Nel tempio 
        e fuori. Esce fatto giusto, porta la giustizia di Dio che è la tenerezza: 
        non lo ha fatto sentire lontano, abbandonato, ma sposato: "Caduta, ripresa/Ci 
        sei". Sono gli ultimi due versi di una poesia di una poetessa, mia amica 
        Chandra Livia Candiani che ora vorrei leggervi:  
      Il 
        punto in cui si smette di cercare  
        e ci si dispone a essere trovati,  
        qualcosa ama il numero dei miei capelli  
        non sa nome né storia 
        ma ha memoria di ogni singolo respiro  
        ama i battiti nella notte  
        i denti e i pugni stretti  
        ama lo spalancarsi delle braccia  
        nell'affidamento, il precario equilibrio  
        sull'orlo dei precipizi, e i passi oscillanti  
        sul lago appena ghiacciato. 
        Ti salvo. Salvo di te il soccorso  
        e la spinta, l'immisurabile 
        e il limite. Mi lascio accogliere  
        con la vigile mutezza  
        dei piccoli e dei selvatici. 
        Caduta, ripresa.  
        Ci sei.  
      Lettura 
        del profeta Isaia - Is 54, 5-10  
      In 
        quei giorni. Isaia disse: "Tuo sposo è il tuo creatore, Signore degli 
        eserciti è il suo nome; tuo redentore è il Santo d'Israele, è chiamato 
        Dio di tutta la terra. Come una donna abbandonata e con l'animo afflitto, 
        ti ha richiamata il Signore. Viene forse ripudiata la donna sposata in 
        gioventù? - dice il tuo Dio -. Per un breve istante ti ho abbandonata, 
        ma ti raccoglierò con immenso amore. In un impeto di collera ti ho nascosto 
        per un poco il mio volto; ma con affetto perenne ho avuto pietà di te, 
        dice il tuo redentore, il Signore. Ora è per me come ai giorni di Noè, 
        quando giurai che non avrei più riversato le acque di Noè sulla terra; 
        così ora giuro di non più adirarmi con te e di non più minacciarti. Anche 
        se i monti si spostassero e i colli vacillassero, non si allontanerebbe 
        da te il mio affetto, né vacillerebbe la mia alleanza di pace, dice il 
        Signore che ti usa misericordia".  
      Sal 
        129 (130)  
      L'anima 
        mia spera nella tua parola. Dal profondo a te grido, o Signore; Signore, 
        ascolta la mia voce. Siano i tuoi orecchi attenti alla voce della mia 
        supplica. R Se consideri le colpe, Signore, Signore, chi ti può resistere? 
        Ma con te è il perdono: così avremo il tuo timore. R Io spero, Signore. 
        Spera l'anima mia, attendo la sua parola. Israele attenda il Signore, 
        perché con il Signore è la misericordia e grande è con lui la redenzione. 
        R 
       
        Lettera di san Paolo apostolo ai Romani - Rm 14, 9-13  
      Fratelli, 
        per questo Cristo è morto ed è ritornato alla vita: per essere il Signore 
        dei morti e dei vivi. Ma tu, perché giudichi il tuo fratello? E tu, perché 
        disprezzi il tuo fratello? Tutti infatti ci presenteremo al tribunale 
        di Dio, perché sta scritto: "Io vivo, dice il Signore: ogni ginocchio 
        si piegherà davanti a me e ogni lingua renderà gloria a Dio". Quindi ciascuno 
        di noi renderà conto di se stesso a Dio. D'ora in poi non giudichiamoci 
        più gli uni gli altri; piuttosto fate in modo di non essere causa di inciampo 
        o di scandalo per il fratello. 
       
        Lettura del Vangelo secondo Luca - Lc 18, 9-14  
      In 
        quel tempo. Il Signore Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che 
        avevano l'intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: 
        "Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l'altro pubblicano. 
        Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: "O Dio, ti ringrazio 
        perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure 
        come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime 
        di tutto quello che possiedo". Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, 
        non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: 
        "O Dio, abbi pietà di me peccatore". Io vi dico: questi, a differenza 
        dell'altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà 
        umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato".  
       
         
       
         
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