la parola della domenica

 

Anno liturgico C
omelia di don Angelo nella seconda Domenica dopo l'Epifania
secondo il rito ambrosiano


17 gennaio 2016



 

 

Est 5,1-1c.2-5
Sal 44
Ef 1,3-14
Gv 2,1-11

Spiare la manifestazione di Dio. Spiare da qualche esile fessura il volto, l'identità, di Gesù sembra essere l'intenzione della liturgia di questa nostra domenica. La grazia che invochiamo è dunque di intravvedere.

E fanno capolino due donne, Ester nella prima lettura, la madre di Gesù nel vangelo. Che cosa le accomuna? Mi sembra di capire, una intercessione: si fanno tramite. Più conosciuto l'episodio del vangelo dove a intercedere per gli sposi è Maria. Meno conosciuto l'episodio di Ester, una ebrea, che è andata sposa al re Artaserse: angosciata per la persecuzione che sta incombendo sul suo popolo, si raccoglie in preghiera, poi tenta di intenerire il re, studierà un piano per smascherare le trame delittuose del suo ministro.

Una donna che non possiamo non ammirare per il suo "fare causa comune" con il suo popolo, quasi non le bastasse, o le interessasse meno, il suo ruolo di regina amata e sentisse forte, irresistibile, immensamente più forte della sua dignità, il richiamo viscerale di appartenenza alla sua gente. Uno sbilanciamento che ci fa pensare, o, almeno, dovrebbe farci pensare. Si mette di mezzo. Le sta a cuore la salvezza, l'armonia, la vita del suo popolo. L'otterrà.

La domanda viene a noi: quanto ci sta a cuore la sorte, la causa del popolo o, se volete, dell'umanità cui apparteniamo? Anche la madre di Gesù sposa la causa degli altri. La sposa senza che gli interessati se ne accorgano, la causa di quei due giovani sposi ignari di quanto stava accadendo. "Non hanno più vino". "In fondo" - avremmo potuto obiettarle - "in fondo che c'entri tu? Perché te ne occupi tu? Tu non sei altro che una degli invitati, il tuo ruolo è passivo, è quello di assistere". E invece no.

Splendida figura di donna, Maria, non ha ridotto l'orizzonte del suo sguardo, si accorge di altro, della fine del vino. E - pure questo è bellissimo - anticipa il disagio, corre ai ripari prima, previene l'imbarazzo della sala, che sarebbe stato grande perché il matrimonio, la celebrazione dell'amore avviene - a quei tempi avveniva - con la festa del vino. Un simbolo - dobbiamo subito aggiungere - che accompagna anche l'accadere di eventi di gioia, per esempio la venuta del Messia: avrebbe portato la festa del vino per tutti, vino in abbondanza.

Ci viene dunque spontaneo chiederci se il segno del vino buono sino alla fine del banchetto di nozze di Cana non fosse segno anche di questo: che era arrivato il Messia. A conclusione del nostro episodio è scritto: "Questo a Cana di Galilea fu l'inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui". C'è una manifestazione. Egli manifestò la sua gloria.

Forse una manifestazione che fa arricciare il naso a quelli che il religioso, lo spirituale, lo collocano lontano dalla realtà del corpo, dall'intensità dei sentimenti, dall'allegria di un banchetto di nozze. Lo spirituale lo vedrebbero degradato in una festa del vino. "Manifestò" è scritto "la sua gloria": Ma come direbbero "Nel vino"? Pensate invece che notizia buona sia che Dio tenga alla nostra festa, un Dio che non vuole che qualcosa la rovini, venuto non perche i nostri volti, i volti di noi umani, fossero crucciati, incupiti, ingrugniti, ma fossimo nella gioia, la gioia del vangelo, la gioia di una notizia finalmente buona.

Che ferita, ferita, al messaggio cristiano la faccia spenta, impalpabile, funerea, ingrugnita dei credenti. Una ferita a morte. Il segno di Cana di Galilea racconta che Gesù ha manifestato la sua gloria nel vino, che è venuto per la festa, per la gioia di questa umanità. Umanità che per lui è come una sposa. Ha fatto matrimonio! Per questo è venuto. E gli è anche costato.

E vorrei, seguendo questo ultimo pensiero, ritornare all'intercessione di Maria - "Non hanno più vino", è in pericolo la festa - e alla reazione di Gesù alle parole di sua madre: "Donna che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora". L'ora di Gesù nel vangelo di Giovanni è l'ora della croce. Come se Gesù dicesse: "Se mi manifesto, se vengo allo scoperto, il risultato è questo: che avviciniamo l'ora della croce".

Nascere alla vita pubblica significava mettere in conto il rischio, mettere in conto la vita. Se l'interpretazione fosse corretta - la lascio sospesa a un "se", non sono un esegeta - se l'interpretazione, questa, fosse corretta, allora vorrei dirvi che si svela anche un altro tratto affascinante dell'umanità di Gesù, del suo immedesimarsi nell'avventura degli umani: quello dell'angoscia per il futuro che ti si para davanti.

Scrive una psicanalista francese, Francoise Dolto: "Gesù è infatti un uomo. E l'uomo prova angoscia quando si trova di fronte ad atti importanti che impegnano il suo destino e la sua responsabilità. Più tardi nel Giardino degli Ulivi, piangerà, suderà sangue, dirà di essere mortalmente triste. A Cana Gesù prova angoscia. Maria è meno angosciata, perché intuisce ciò che accadrà. Gesù sta per abbandonare una vita silenziosa, una vita nascosta, per una vita pubblica: E' angoscioso un simile cambiamento di vita, Maria sa invece che è la sua ora, proprio come una madre che sta per partorire".

Dice al figlio: "Non hanno più vino". Ebbene forse non siamo lontani dal vero se, andando al di là della risposta di Gesù a Maria, immaginiamo che le parole di sua madre, quelle parole, gli erano rimaste impigliate in qualche angolo dell'anima sino a bussare. Possiamo forse dire che la madre lo partorì una seconda volta, mettendolo alla luce della sua missione, quella di non lasciare che venga meno il vino buono, quella di mettersi a servizio della festa degli umani, quella di preservare la bellezza di un amore, la festa di un matrimonio.

Ecco perché oggi mi veniva in cuore di dire grazie a tutti coloro che nella vita si preoccupano, come Maria, e poi come Gesù, della gioia degli altri, della bellezza dell'amore, della festa, la vera festa, dell'umanità. Al di là dei servi, forse nessuno quel giorno se n'era accorto, ma che bello pensare che quel giorno qualcuno salvò una festa. E, ancora, vorrei oggi dire grazie anche a tutti coloro che nella vita ci hanno aiutato, e ci aiutano, a superare momenti di angoscia, di esitazione, pur di salvare la festa, pur di portare il vino buono, il vino buono della vita. Un vino benedetto dal Signore.

 

 


 
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