la parola della domenica

 

Anno liturgico B
omelia di don Angelo nella Domenica della Santa famiglia di Gesù
secondo il rito ambrosiano


28 gennaio 2018



 

 

Is 45,14-17
Sal 83
Eb 2,11-17
Lc 2,41-52

Penso che non finisca di stupire tutti noi questo silenzio dei vangeli sulla famiglia di Nazaret: pochi squarci nelle pagine dei vangeli. La pagina, che abbiamo letta oggi, segue immediatamente un'altra in cui si racconta di Gesù che aveva pochi giorni e i suoi genitori l'avevano portato a Gerusalemme per dedicarlo al Signore. E la pagina si concludeva con il ritorno in Galilea alla città di Nazaret, annotando "il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui". Si va al tempio, ma si ritorna a Nazaret.

E passano - pensate - dodici anni. Ancora si sale a Gerusalemme, avviene quello che avviene e si fa ritorno a Nazaret. Ed è scritto: "E Gesù cresceva in età e grazia davanti a Dio e agli uomini". Dodici anni di silenzio prima, vent'anni di silenzio dopo sulla vita a Nazaret. Non una parola prima, non una parola dopo. E il silenzio - badate bene - non è per dire che quegli anni, trenta alla fin fine, siano stati irrilevanti, da non raccontare!

Mi intrigava, leggendo, quel verbo "cresceva". Si ritorna a Nazaret, dopo la presentazione del bambino, al tempio, ed è scritto: "Il bambino cresceva…". Si ritorna a Nazaret dopo che il ragazzo aveva fatto quella scelta, diremmo, incomprensibile - "non compresero" è scritto - e si dice: "E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini". Ebbene a colpirmi quest'anno è proprio questo verbo, questo verbo, "cresceva", questo verbo - lasciatemi dire - legato alla casa. Non legato al tempio.

Forse molti di noi si ricordano che Samuele, da ragazzo, cresceva al servizio di Dio nel tempio. All'ombra del grande sacerdote. Qui no, Gesù cresce nella casa, all'ombra di una madre e di un padre. Fu quella la sua terra di crescita. Se non hai una terra in cui sei radicato, come fai a crescere? Eppure nelle pagine dei vangeli non si dice nulla o quasi nulla di quella vita di casa. Tant'è che nel nostro immaginario Gesù o è un ragazzo o è un adulto e quasi non ci riesce di pensarlo - che so io - ventenne, dentro e fuori di quelle strade e di quelle case, con i giovani della sua età.

A far cosa? E ci vene spontaneo chiederci come passasse le sue giornate, e come si affacciava il sole su quella casa al mattino e come si accucciava la sera. Certo non era un eremita in casa. E allora? Qualcosa della sua casa ci sembra di cogliere dai suoi discorsi, dalle sue parabole. Parla - è un esempio - del lume messo in alto nella casa e ci sembra di capire come i suoi occhi ricordassero il gesto della sua mamma che la sera accendeva il lume nella casa. O parla della farina che si gonfia a poco a poco per merito di un grumo di lievito che una donna vi ha nascosto e ci sembra di capire che i suoi occhi andassero alla sua mamma che silenziosa impastava pane per quelli di casa.

E voglio ancora ripetere che lui cresceva. Penso che saremmo degli storditi se pensassimo che la vita di Gesù comincia a contare per noi e per l'umanità quando esce di casa più che trentenne. E' da rivalutare, vorrei dire, la vita ordinaria - "ordinaria", brutto aggettivo! - di Nazaret. Dovremmo sostare più a lungo sul silenzio di cui è circondata. Un silenzio che fa meditare. Ci verrebbe più spontaneo pensare: "Ma come? Uno come lui non si distingueva nel suo paese? Non faceva nulla per distinguersi, per dire chi era? Non è forse scritto che quando inizia la sua missione, proprio nella sinagoga del suo paese, lo sconcerto agli occhi di tutti è totale? E la reazione è: "Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?".

Ed era per loro motivo di scandalo (Mc 6,3). Capite, come se alle spalle non gli stesse nulla di eccezionale. Ma Dio non sta nell'eccezionale. Oggi nel rotolo di Isaia di Dio era scritto: "Veramente tu sei un Dio nascosto, Dio d'Israele, salvatore". Nascosto, in una vita non esibita, anche il suo Figlio, nei lunghi giorni di Nazaret. Eppure "cresceva" ecco il verbo. Perdonate se mi esprimo così: quello che Gesù si trovò ad essere a trent'anni, veniva da lì, da quello che aveva vissuto in quella casa e da come si viveva in quella casa, da quello che aveva pregato e da come si pregava in quella casa, da quello che aveva amato e da come ci si amava in quella casa, da quello che si dava di attenzione e di cura agli altri e da come lo si dava in quella casa. In questo, lasciatemi dire, la famiglia - che lo abbiamo presente o no - gioca un ruolo prezioso nella nostra vita.

Si cresce all'ombra di persone e di eventi. E' vero, da giovani, tutto questo non sempre è riconosciuto. Ma poi ci sono momenti della vita che te lo fanno puntualmente pensare. Pensare e riconoscere. C'è - lo abbiamo detto - nella casa una connessione, oserei dire sotterranea, di vite. Ma lasciatemi aggiungere anche questo - anche questo viene come insegnamento dal nostro brano - c'è anche una distanza. Che va rispettata.

Nei confronti dei figli, ma, direi, anche nei confronti dei genitori, direi, nei confronti di tutti. Il figlio, Gesù, crea una distanza, non si aggrega per il momento alla carovana nel ritorno. Si ferma nel tempio. In qualche misura rivendica un altrove. Badate, stiamo parlando di Gesù, ma potremmo dirlo di ognuno. Cresce nella casa, ma non è inghiottito dalla casa, non è assorbito nei progetti dei genitori, non è ristretto nei loro sogni: "Non sapevate" dice "che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?".

E noi siamo chiamati, come Maria e Giuseppe, a rispettare il sogno che abita ogni figlio, che abita l'altro, l'altra. C'è una distanza da venerare. E non è detto che sia sempre facile. A volte, con ingenua semplificazione, si dice che basta essere santi e subito tutto si ricompone in armonia, in comprensione reciproca, in una casa. Non è detto. Anzi il nostro brano sembra smentirlo. Maria era "la piena d grazia", Giuseppe, "l'uomo giusto", eppure è scritto che, davanti alle parole di quel figlio, davanti al sogno che rivendicava "essi non compresero ciò che aveva detto loro".

Onoriamo la fatica. Che non finì quel giorno. Il disegno, come nella vita di ciascuno di noi, si dipanerà poco a poco. A volte lo intuisci all'ultimo tornante. Come fu per Maria. Sotto una croce. Voi mi avete capito: connessi gli uni agli altri, ma in venerazione della distanza, del mistero che abita l'altro. Che cosa ciò significhi ognuno di voi lo intuisce: non l'invasione, ma il rispetto; non la repressione, ma l'incoraggiamento; non la diffidenza, ma la fiducia. E' così che si cresce. "Cresceva": è scritto.

 

 

Lettura del profeta Isaia 45, 14-17

Così dice il Signore: / "Le ricchezze d'Egitto e le merci dell'Etiopia / e i Sebei dall'alta statura / passeranno a te, saranno tuoi; / ti seguiranno in catene, / si prostreranno davanti a te, / ti diranno supplicanti: / "Solo in te è Dio; non ce n'è altri, / non esistono altri dèi"". / Veramente tu sei un Dio nascosto, / Dio d'Israele, salvatore. / Saranno confusi e svergognati / quanti s'infuriano contro di lui; / se ne andranno con vergogna / quelli che fabbricano idoli. / Israele sarà salvato dal Signore / con salvezza eterna. / Non sarete confusi né svergognati / nei secoli, per sempre.

Sal 83 (84)

® Beato chi abita la tua casa, Signore. L'anima mia anela e desidera gli atri del Signore. Il mio cuore e la mia carne esultano nel Dio vivente. ® Anche il passero trova una casa e la rondine il nido dove porre i suoi piccoli, presso i tuoi altari, Signore degli eserciti, mio re e mio Dio. ® Beato chi abita nella tua casa: senza fine canta le tue lodi. Beato l'uomo che trova in te il suo rifugio e ha le tue vie nel suo cuore.

® Lettera agli Ebrei 2, 11-17

Fratelli, colui che santifica e coloro che sono santificati provengono tutti da una stessa origine; per questo non si vergogna di chiamarli fratelli, dicendo: "Annuncerò il tuo nome ai miei fratelli, / in mezzo all'assemblea canterò le tue lodi"; / e ancora: / "Io metterò la mia fiducia in lui"; / e inoltre: / "Eccomi, io e i figli che Dio mi ha dato". Poiché dunque i figli hanno in comune il sangue e la carne, anche Cristo allo stesso modo ne è divenuto partecipe, per ridurre all'impotenza mediante la morte colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo, e liberare così quelli che, per timore della morte, erano soggetti a schiavitù per tutta la vita. Egli infatti non si prende cura degli angeli, ma della stirpe di Abramo si prende cura. Perciò doveva rendersi in tutto simile ai fratelli, per diventare un sommo sacerdote misericordioso e degno di fede nelle cose che riguardano Dio, allo scopo di espiare i peccati del popolo.

Lettura del Vangelo secondo Luca 2, 41-52

In quel tempo. I genitori del Signore Gesù si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa. Ma, trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Credendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di viaggio e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme. Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l'udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte. Al vederlo restarono stupiti, e sua madre gli disse: "Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo". Ed egli rispose loro: "Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?". Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro. Scese dunque con loro e venne a Nàzaret e stava loro sottomesso. Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore. E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini.

 

 


 
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