la parola della domenica

 

Anno liturgico C
omelia di don Angelo nella Domenica di Pasqua
secondo il rito ambrosiano


27 marzo 2016



 

 

At 1,1-8a
Sal 117
1Cor 15,3-10a
Gv 20,11-18

Siamo qui, ed è mattino, siamo qui, quasi a rivivere l'esperienza, penso incancellabile, del mattino di Maria di Magdala. Che stava all'esterno del sepolcro e piangeva. La lettura liturgica si è dimenticata di segnalarci l'ora e il perché di quel pianto. Era uscita - narra il vangelo - che ancora era buio e aveva trovato la tomba violata, aperta, come se il corpo fosse stato trafugato.

Quasi non fosse bastato nemmeno ucciderlo e straziarlo. Ora violato - pensava - anche nella sepoltura. Si andava intenerendo il cielo, ma non il cuore. Oggi celebriamo la risurrezione, ma da dove veniamo? Non è che nasciamo oggi. Da dove veniva Maria? Era uscita che ancora era buio. Perdonate se tento di immaginare: il buio era più dentro che fuori di lei.

Forse il buio era quello del cielo che si era fatto livido il venerdì santo, alla morre del suo Maestro e amico, quel buio le si era come impigliato dentro l'anima e gli occhi. Ebbene anche noi, come Maria, facciamo Pasqua e ci accorgiamo che veniamo dal buio. Facciamo pasqua se non dopo aver fatto i conti con il buio. Non possiamo fare come se non venissimo dal buio. E dal pianto. Quel pianto che nel nostro racconto viene sottolineato più volte, quasi a ricordarcelo, per ben tre volte. "…piangeva" , "Donna, perché piangi?"; e, ancora: "Donna, perché piangi?".

La domanda è se la nostra speranza è più forte del nostro buio, se è più forte del nostro pianto. E allora vorrei dirvi, spero non scandalizzando qualcuno, che la fede nella risurrezione, se stiamo ai racconti del vangelo e non alle nostre invenzioni, non è un cammino a passo disinvolto, senza esitazioni, senza sospensioni, senza tentennamenti, non è fatto di una luce prorompente, abbagliante, ma - oserei dire - fatto di un pulviscolo di luce, che prende forma, si fa strada a poco a poco, e cresce, quasi vicino all'immagine di un germoglio.

E come vorrei, perdonate se oso, come vorrei benedire il Signore per questo "a poco a poco" che custodisce una tenerezza per i miei deboli occhi, una compassione per la mia fatica a capire. Pensate, "a poco a poco" anche nell'anima della donna di Magdala. E all'inizio è come se non bastasse a mettere in fuga il buio neppure la tenerezza degli angeli, che leggono sul suo viso il pianto: "Donna, perché piangi?".

Non basta! Anche se - diciamolo subito! - dobbiamo partire di lì, dalla tenerezza. Tutte le nostre declamazioni, tutte le nostre definizioni, anche della risurrezione, se non partono di lì, suonano tristemente vuote. Il vangelo ci dice che primo passo è accorgersi del pianto, del pianto delle gente.

Ebbene leggevo il racconto e mi faceva pensare, mi faceva molto pensare, immagino che l'abbiate notato anche voi - il fatto che non bastano sul momento a togliere il buio dal cuore della Maddalena non solo le parole degli angeli, ma neppure quelle di Gesù. Che sembrano ripetere quelle degli angeli: "Donna perché piangi?".

Potrebbero essere una delle tante nostre parole consolatorie. Che si fermano lì! Gesù aggiunge: "Chi cerchi?". Che è una domanda che mette in cammino. "Chi cerchi?". Non dice. "Che cosa cerchi?" quasi avesse intuito che un pianto dirotto come quello non poteva essere per aver perso qualcosa, ma per aver perso qualcuno.

E la differenza è enorme. Il buio era la perdita di qualcuno, del suo maestro e amico. Gesù le disse: "Maria!" Ella si voltò e gli disse: "Rabbunì!" - che significa "Maestro!". Dunque non sono parole di uno sconosciuto. Sono parole dell'amico e maestro che aveva per tre giorni pianto. E' arrivata in fondo al cammino, ci è arrivata per merito di quelle parole, anzi - notate bene - di una sola parola, di un nome, il suo nome "Maria", una parola alla quale risponde con una parola, una sola: "Rabbunì", "Maestro".

Voi mi capite, in quelle parole "Maria", "Rabbunì", c'è tutto il brivido di una relazione. Di una relazione non con un morto, ma con un vivente. Il suo amico e maestro vive! Il cammino della fede nella risurrezione porta qui. a pensare Gesù come un vivente. Che non può essere trattenuto. Se è il vivente non può essere trattenuto in un luogo o in un'ora. È qui, oggi in questa nostro luogo, come in tutti i luoghi; è qui in questa nostra ora come in tutte le ore. E' il vivente.

In questi giorni da un'amica ho ricevuto alcuni versi di un poesia che mi suonavano molto tristi. La poesia è di Giorgio Caproni. I suoi versi dicono:

" Cristo ogni tanto torna,
se ne va, chi l'ascolta...
Il cuore della città
è morto, la folla passa
e schiaccia - è buia massa
compatta, è cecità...".

C'è da capire, a volte la situazione è deludente, opprimente. Ma la fede nella risurrezione viene a dirci che la presenza di Gesù, ora che è risorto non è una presenza a intermittenza "ogni tanto torna, se ne va". E' il vivente in mezzo a noi.

In un altro vangelo, quello di Luca, gli angeli della risurrezione dicono alle donne: "Perché cercate tra i morti colui che è vivo?". Non solo siamo chiamati a crederlo vivo, presente in mezzo a noi, ma siamo anche chiamati a lottare contro tutto ciò che fa morto il nostro cuore, il cuore delle nostre città: "il cuore della città" scrive il poeta "è morto".

E noi chiamati a far sì che nel buio possa farsi strada una luce. Scrive un biblista spagnolo molto illuminato, José Antonio Pagola: "colui che è vivo bisogna cercarlo dove c'è vita... Se vogliamo incontrarci con Cristo risorto, pieno di vita e di forza creatrice, dobbiamo cercarlo non in una religione morta, ridotta al compimento e all'osservanza esterna di leggi e norme, ma lì dove si vive secondo lo Spirito di Gesù, accolto con fede, con amore e con responsabilità dai suoi seguaci.

Colui che vive non lo troveremo in una fede stagnante e routinaria, spesa in ogni sorta di topici e formule vuote di esperienza, ma cercando una qualità nuova nella nostra relazione con lui e nella nostra identificazione col suo progetto. Un Gesù spento e inerte, che non innamora né seduce, che non tocca i cuori né contagia con la sua libertà, è un "Gesù morto".

Non è il Cristo vivo, risuscitato dal Padre. Non è Colui che vive e fa vivere ". Come invece raccontano i vangeli della risurrezione. Facendo ardere il nostro cuore.

 

 


 
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