la parola della domenica

 

Anno liturgico C
omelia di don Angelo nella Domenica della famiglia di Nazaret
secondo il rito ambrosiano


30 gennaio 2022



 

 

Sir 44,23 - 45, 1a.2-5
Sal 111
Ef 5,33 - 6,4
Mt 2,19-23

 

Festa della famiglia di Nazaret, e ci viene offerto uno spaccato della vita, dei giorni in cui Gesù ancora non camminava, o aveva da poco iniziato. Fuga in Egitto, ritorno dall'Egitto. Con approdo - ce lo ricorda il nostro racconto - a Nazaret. Poi per anni e anni e anni - si è soliti dire - "la vita nascosta di Nazaret". Che da un lato crea stupore, ci interroga, dall'altro potrebbe creare qualche fraintendimento: quasi che Maria, Giuseppe e Gesù si fossero chiusi nell'ombra del privato, di una casa, isolati dal contesto del villaggio, quasi estranei ai loro compaesani. E dunque quasi a suggerire, in qualche misura, un rintanamento. Quasi facessero vita a parte.

Niente di tutto questo: vivevano la vita del villaggio, erano conosciuti. Ricordate quando, ormai trentenne, Gesù si alzò a leggere nella sinagoga del villaggio? La reazione: "Non è costui il figlio del falegname? E sua madre, non si chiama Maria? E i suoi fratelli, Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda? E le sue sorelle, non stanno tutte da noi? Da dove gli vengono allora tutte queste cose? (Mt 13, 55-56). Pieni di sdegno. Per la normalità. Vita nascosta dunque, nel senso che non era di certo una famiglia sotto i riflettori, ma presenti nella vita - invitati a nozze - quella vita che a volte si ha la brutta abitudine di ritenere banale, feriale, troppo semplice. Troppo semplice se c'è di mezzo il divino. Starei per dire: "Che grazia che fu così!"

Perché se fosse stata un famiglia appartata, privilegiata, un po' sofisticata, mi si sarebbe sgretolato tutto davanti agli occhi, avrei chiuso le pagine e detto: "Non fa per me". Che cosa avrebbe potuto dirmi di Dio, delle donne e degli uomini di oggi, del cielo e della terra? L'ordinarietà. Ce lo siamo detti più volte: sfiorati dal divino nella ordinarietà di una vita, una vita in assenza di miracoli. Non ho ancora finito di pensarlo e di stupirmi. C'è come una benedizione che ci raggiunge, generazione dopo generazione. Oggi il libro parlava della benedizione su Giacobbe, poi, senza cesure, puntava a parlare della benedizione su Mosè, sorvolando su quella a Giuseppe, ma è scritto che in Abramo sono benedette tutte le nazioni, nelle generazioni. Nel generare la benedizione arriva a sfiorare anche noi, le nostre famiglie, Sì, nelle loro storie concrete. Non una uguale all'altra. Tra le pareti, e fuori le pareti di casa.

E la lettera agli Efesini sembrava oggi segnalare alcuni verbi della casa, della relazione: rispettare, ubbidire, non esasperare, soprattutto onorare e amare. Vorrei dire la cura della relazione. Non è vero che un matrimonio, fatto una volta, è fatto per sempre, o che una famiglia, formata una volta, è formata per sempre. Per sempre, se ne hai cura. Come un fiore e il suo passare di lune, a patto però che tu gli dia da bere ogni giorno che ha sete. Dobbiamo essere attenti alla sete dell'altro. Se vuoi che che continui un amore che sia amore, una famiglia che sia famiglia. Aver cura anche delle ferite. E accorgercene. Le famiglie non sono un nome. Sono realtà in cui entrare.

Mi ha fatto tenerezza lo sguardo del Papa nell'ultima udienza generale. Lui entra. Come Gesù. Entra nei tanti problemi delle famiglie oggi. "Penso" dice "anche ai genitori davanti ai problemi dei figli. Figli con tante malattie, i figli ammalati, anche con malattie permanenti: quanto dolore lì. Genitori che vedono orientamenti sessuali diversi nei figli; come gestire questo e accompagnare i figli e non nascondersi in un atteggiamento condannatorio". "Tanti problemi dei genitori" - dice -"Pensiamo a come aiutarli". Dentro le pareti di casa. Ma anche fuori le pareti di casa. Oggi il vangelo evocava viaggi di fuga della famiglia di Nazaret: il ritorno dall'Egitto, dopo la fuga in Egitto.

E neppure il ritorno è tutto tranquillo: non puoi fidarti di Archelao. La famiglia di Nazaret dentro questa avventura drammatica: Penso che a tutti voi, alla vostra sensibilità, si siano affacciate immagini e immagini di famiglie, oggi in fuga: sono diventate moltitudine. In fuga per paura di morte, per violazioni di diritti, per dramma di fame e per quant'altro. Spesso poi, nel viaggio, e dopo il viaggio, segnate da sfruttamento, da abusi, da rifiuti. Sino al paradosso di abbandonare ad altri i figli purché almeno loro siano risparmiati. Che cosa poi ci sia di mezzo, da un paese all'altro, tutti lo sappiamo.

Noi conosciamo l'ultimo approdo della famiglia di Nazaret, ma questo non ci esime dal pensare che cosa battesse in cuore a Giuseppe e a Maria sulla strada della fuga e su quella del ritorno, come battessero i pensieri, come battessero i timori - è un tutt'uno per chi è in fuga - e come tutto questo chiedesse, a Giuseppe in modo particolare, immaginazione e coraggio Importanti certo i sogni di Giuseppe: uno che ascolta voci che ti raggiungono nel silenzio della notte. Oggi potremmo forse dire: nel silenzio dell'anima, nello spazio di una preghiera o dove si muove il brivido della consapevolezza. Sei falegname, ma ancora capace di sogni, di ascolti. Abbiamo bisogno di sogni, di preghiere, di consapevolezza, di anima. Poi il coraggio e l'immaginazione di Giuseppe.

Quella parola non gli si staccava da dentro: "Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre e va' nella terra d'Israele". Ancora una volta alzarsi. Alzarci. Nella notte. Niente di sicuro, fuorché una veglia dall'alto, questa sì sicura. Ma niente di programmato, niente di prevedibile. Un viaggio non è mai come un altro. E le mappe, quando non esistono mappe, sono ricordi di memorie che ti sono state raccontate: inventare i percorsi, i luoghi, le tappe, le soste, le ripartenze. Fiutare i pericoli cercare soluzioni per sfuggirli. Il coraggio di Giuseppe. Ogni famiglia è un viaggio. Il viaggio.

E - solo sfioro la parola - la custodia: "Prendi con te il bambino e sua madre". Tenera custodia. E dunque custodirci a vicenda, nel viaggio, come famiglie e come umanità. Che sia questo, o anche questo, un segno che Dio veglia?

 

Lettura del libro del Siracide - Sir 44,23 - 45,1a. 2-5

In quei giorni. La benedizione di tutti gli uomini e la sua alleanza Dio fece posare sul capo di Giacobbe; lo confermò nelle sue benedizioni, gli diede il paese in eredità: lo divise in varie parti, assegnandole alle dodici tribù. Da lui fece sorgere un uomo mite, che incontrò favore agli occhi di tutti, amato da Dio e dagli uomini. Gli diede gloria pari a quella dei santi e lo rese grande fra i terrori dei nemici. Per le sue parole fece cessare i prodigi e lo glorificò davanti ai re; gli diede autorità sul suo popolo e gli mostrò parte della sua gloria. Lo santificò nella fedeltà e nella mitezza, lo scelse fra tutti gli uomini. Gli fece udire la sua voce, lo fece entrare nella nube oscura e gli diede faccia a faccia i comandamenti, legge di vita e d'intelligenza, perché insegnasse a Giacobbe l'alleanza, i suoi decreti a Israele.

Sal 111 (112)

Beato l'uomo che teme il Signore. Beato l'uomo che teme il Signore e nei suoi precetti trova grande gioia. Potente sulla terra sarà la sua stirpe, la discendenza degli uomini retti sarà benedetta. R Prosperità e ricchezza nella sua casa, la sua giustizia rimane per sempre. Spunta nelle tenebre, luce per gli uomini retti: misericordioso, pietoso e giusto. R Egli non vacillerà in eterno: eterno sarà il ricordo del giusto. Cattive notizie non avrà da temere, saldo è il suo cuore, confida nel Signore. R

Lettera di san Paolo apostolo agli Efesini - Ef 5,33 - 6,4

Fratelli, ciascuno da parte sua ami la propria moglie come se stesso, e la moglie sia rispettosa verso il marito. Figli, obbedite ai vostri genitori nel Signore, perché questo è giusto. "Onora tuo padre e tua madre!". Questo è il primo comandamento che è accompagnato da una promessa: "perché tu sia felice e goda di una lunga vita sulla terra". E voi, padri, non esasperate i vostri figli, ma fateli crescere nella disciplina e negli insegnamenti del Signore.

Lettura del Vangelo secondo Matteo - Mt 2,19-23

In quel tempo. Morto Erode, ecco, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto e gli disse: "Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre e va' nella terra d'Israele; sono morti infatti quelli che cercavano di uccidere il bambino". Egli si alzò, prese il bambino e sua madre ed entrò nella terra d'Israele. Ma, quando venne a sapere che nella Giudea regnava Archelao al posto di suo padre Erode, ebbe paura di andarvi. Avvertito poi in sogno, si ritirò nella regione della Galilea e andò ad abitare in una città chiamata Nàzaret, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo dei profeti: "Sarà chiamato Nazareno".

 

 


 
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