la parola della domenica

 

Anno liturgico B
omelia di don Angelo nell'ottava Domenica dopo Pentecoste
secondo il rito ambrosiano


15 luglio 2018



 

 

Gdc 2,6-17
Sal 105
1Ts 2,1-2
Mc 10,35-45

 

Come siamo duri a capire! E non solo Giacomo e Giovanni che cercano posti e gli altri dieci che si indignano con loro, quasi odorassero, in quella richiesta, uno scavalcamento nei loro confronti. E ci verrebbe spontaneo accusare in blocco il gruppo, per l'insensibilità che sembra contraddistinguerli in un frangente come quello così delicato. Ci sembra persino assurdo perché un minuto prima Gesù per la terza volta aveva parlato loro apertamente della sua fine ormai vicina. Stava camminando e la strada era in salita verso Gerusalemme. Quella strada gli parlava di un'altra strada in salita. "Ma come è possibile?": ci chiediamo. Ancora erano nell'aria le parole del Maestro. E questa volta con i dettagli: gli scherni, gli sputi, i colpi della flagellazione, poi crocifisso, poi risorto. E loro a parlare di che cosa? Di posti e a chi sarebbe toccato sedere alla destra e a chi alla sinistra!

Noi ci indigniamo. Ma poi forse ci può prendere un attimo di sospensione: siamo poi così diversi? Io, io, sono così diverso? Io sono qui, ascolto, ma poi nella vita di che cosa parlo? Mi ribatte dentro un interrogativo che mi ha colpito nell'ultimo messaggio del nostro consiglio pastorale diocesano, in data 24 giugno scorso. Sentite: "Possono coloro che partecipano alla Messa della domenica essere muti e sordi di fronte al dramma di tanti poveri, che sono, per i discepoli del Signore, fratelli e sorelle? Gli innumerevoli gesti di solidarietà, la straordinaria generosità delle nostre comunità può consentire di "avere la coscienza a posto" mentre intorno a noi c'è gente che soffre troppo, che fa troppa fatica, che paga a troppo caro prezzo una speranza di libertà e di benessere?".

Partecipare alla messa ed essere sordi e muti ci fa assomigliare molto a Giacomo e Giovanni che da un lato ascoltano le parole di Gesù e dall'altro spingono per avere un posto di privilegio, ossessionati della loro posizione. Alla tua destra e alla tua sinistra. Immagino che a volte vi abbia sfiorato un pensiero: Gesù, alla fine, appeso al legno della croce, chi volle alla sua destra e alla sua sinistra? "Insieme con lui" è scritto "furono crocifissi due ladroni, uno a destra e uno a sinistra" (Mt 27,38). Ecco chi sono quelli che hanno rubato - non per niente erano ladroni - Il posto a destra e alla sinistra. Il posto che pretendevano Giacomo e Giovanni. Ebbene penso che se gli evangelisti nel loro vangelo non nascondono questo episodio, non certo edificante, diremmo disdicevole per Giacomo e Giovanni e gli altri dieci, lo fanno perché all'interno delle loro comunità vedevano già affiorare i sintomi della malattia: la ricerca dei posti, l'ambizione del potere, la vanagloria.

Malattie purtroppo non ancora debellate. Ancora oggi in agguato. Una tentazione che papa Francesco segnalava alcuni anni fa con parole forti alla Curia romana, ma, penso, non solo alla curia romana: "la malattia" dice "della rivalità e della vanagloria. Quando l'apparenza, i colori delle vesti e le insegne di onorificenza diventano l'obiettivo primario della vita, dimenticando le parole di San Paolo: "Non fate nulla per rivalità o vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso. Ciascuno non cerchi l'interesse proprio, ma anche quello degli altri" (Fil 2,1-4).

È la malattia che ci porta a essere uomini e donne falsi…". Ebbene non è forse vero che anche il nostro nome può diventare un idolo? Lo sfinimento di apparire: purché si parli di noi! Uno di quegli idoli da cui ci metteva in guardia il libro dei Giudici. In adorazione di noi stessi, il delirio di noi stessi. Sì, deliranti!. E pensare che il nostro nome è un fiato. E chi può veramente dargli consistenza? Ai discepoli che ritornavano dalla loro missione, entusiasti dei loro successi, Gesù diceva: "Non rallegratevi però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto che i vostri nomi sono scritti nei cieli" (Lc 10,20). Pensate che bello se agissimo così nella chiesa, nel mondo, silenziosamente, non confidando tanto che il nostro nome appaia , che so io, sui giornali o in Tv, ma possa invece essere scritto nei cieli, o, come suggerisce un'altra immagine bellissima della Bibbia, possa essere scritto sulle palme di Dio. Che cosa vuoi di più? "Ecco, ti ho disegnato sulle palme delle mie mani": è scritto nel rotolo di Isaia (Is 49,16) .

Ci dovrebbe bastare questo: disegnati sulle mani di Dio. Poi servire. Silenziosamente. Servire come ha fatto Gesù, lui, "venuto per servire e non per farsi servire". Questo il nostro stile. Purtroppo - dobbiamo riconoscerlo - anche tra noi si sono furtivamente introdotti, come accennava il Papa, altri modelli: ci siamo lasciati contagiare dai modelli mondani. Abbiamo copiato dal mondo. Ci capita di assistere con tristezza ad esibizioni e arroganze che, secondo Gesù, appartengono ai dominatori di questo mondo. Vi confesso che quando ciò accade, non finisce di ribattermi in cuore la parola di Gesù, forte e netta, precisa: "Tra voi però - diceva - non è così". Ma è proprio vero che tra noi non è così, che è lontana ogni forma di rivalità, di vanagloria, di dominio sull'altro, a volte sottile, a volte mascherato? Servire, semplicemente servire. Per la gioia di servire. Il bene comune. E amare. Amare sì, facendo posto nel nostro amore alla tenerezza.

In assenza di tenerezza crescono e prolificano quelli che Giovanni Cristini chiamava "i piccoli burocrati di Dio". La tenerezza. Riascoltiamo a questo proposito le parole di Paolo - e chiudo - bellissime, luminose, quasi struggenti: "Siamo stati amorevoli in mezzo a voi, come una madre che ha cura dei propri figli. Così, affezionati a voi, avremmo desiderato trasmettervi non solo il vangelo di Dio, ma la nostra stessa vita, perché ci siete diventati cari".

 

 

Lettura del libro dei Giudici 2, 6-17

In quei giorni. Quando Giosuè ebbe congedato il popolo, gli Israeliti se ne andarono, ciascuno nella sua eredità, a prendere in possesso la terra. Il popolo servì il Signore durante tutta la vita di Giosuè e degli anziani che sopravvissero a Giosuè e che avevano visto tutte le grandi opere che il Signore aveva fatto in favore d'Israele. Poi Giosuè, figlio di Nun, servo del Signore, morì a centodieci anni e fu sepolto nel territorio della sua eredità, a Timnat-Cheres, sulle montagne di Èfraim, a settentrione del monte Gaas. Anche tutta quella generazione fu riunita ai suoi padri; dopo di essa ne sorse un'altra, che non aveva conosciuto il Signore, né l'opera che aveva compiuto in favore d'Israele. Gli Israeliti fecero ciò che è male agli occhi del Signore e servirono i Baal; abbandonarono il Signore, Dio dei loro padri, che li aveva fatti uscire dalla terra d'Egitto, e seguirono altri dèi tra quelli dei popoli circostanti: si prostrarono davanti a loro e provocarono il Signore, abbandonarono il Signore e servirono Baal e le Astarti. Allora si accese l'ira del Signore contro Israele e li mise in mano a predatori che li depredarono; li vendette ai nemici che stavano loro intorno, ed essi non potevano più tener testa ai nemici. In tutte le loro spedizioni la mano del Signore era per il male, contro di loro, come il Signore aveva detto, come il Signore aveva loro giurato: furono ridotti all'estremo. Allora il Signore fece sorgere dei giudici, che li salvavano dalle mani di quelli che li depredavano. Ma neppure ai loro giudici davano ascolto, anzi si prostituivano ad altri dèi e si prostravano davanti a loro. Abbandonarono ben presto la via seguita dai loro padri, i quali avevano obbedito ai comandi del Signore: essi non fecero così.

Sal 105 (106)

® Ricòrdati, Signore, del tuo popolo e perdona. I figli d'Israele si mescolarono con le genti e impararono ad agire come loro. Servirono i loro idoli e questi furono per loro un tranello. ® Si contaminarono con le loro opere, si prostituirono con le loro azioni. L'ira del Signore si accese contro il suo popolo ed egli ebbe in orrore la sua eredità. ® Molte volte li aveva liberati, eppure si ostinarono nei loro progetti e furono abbattuti per le loro colpe; ma egli vide la loro angustia, quando udì il loro grido. ®

Prima lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicesi 2, 1-2. 4-12

Voi stessi, fratelli, sapete bene che la nostra venuta in mezzo a voi non è stata inutile. Ma, dopo avere sofferto e subìto oltraggi a Filippi, come sapete, abbiamo trovato nel nostro Dio il coraggio di annunciarvi il vangelo di Dio in mezzo a molte lotte. Come Dio ci ha trovato degni di affidarci il Vangelo così noi lo annunciamo, non cercando di piacere agli uomini, ma a Dio, che prova i nostri cuori. Mai infatti abbiamo usato parole di adulazione, come sapete, né abbiamo avuto intenzioni di cupidigia: Dio ne è testimone. E neppure abbiamo cercato la gloria umana, né da voi né da altri, pur potendo far valere la nostra autorità di apostoli di Cristo. Invece siamo stati amorevoli in mezzo a voi, come una madre che ha cura dei propri figli. Così, affezionati a voi, avremmo desiderato trasmettervi non solo il vangelo di Dio, ma la nostra stessa vita, perché ci siete diventati cari. Voi ricordate infatti, fratelli, il nostro duro lavoro e la nostra fatica: lavorando notte e giorno per non essere di peso ad alcuno di voi, vi abbiamo annunciato il vangelo di Dio. Voi siete testimoni, e lo è anche Dio, che il nostro comportamento verso di voi, che credete, è stato santo, giusto e irreprensibile. Sapete pure che, come fa un padre verso i propri figli, abbiamo esortato ciascuno di voi, vi abbiamo incoraggiato e scongiurato di comportarvi in maniera degna di Dio, che vi chiama al suo regno e alla sua gloria.

Lettura del Vangelo secondo Marco 10, 35-45

In quel tempo. Si avvicinarono al Signore Gesù Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedeo, dicendogli: "Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo". Egli disse loro: "Che cosa volete che io faccia per voi?". Gli risposero: "Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra". Gesù disse loro: "Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato?". Gli risposero: "Lo possiamo". E Gesù disse loro: "Il calice che io bevo anche voi lo berrete, e nel battesimo in cui io sono battezzato anche voi sarete battezzati. Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato". Gli altri dieci, avendo sentito, cominciarono a indignarsi con Giacomo e Giovanni. Allora Gesù li chiamò a sé e disse loro: "Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. Anche il Figlio dell'uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti".

 

 

 

 


 
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