la parola della domenica

 

Anno liturgico A
omelia di don Angelo nella sesta Domenica dopo l'Epifania
secondo il rito ambrosiano


12 febbraio 2017



 

 

1 Sam 21,2-6a.7ab
Sal 42
Eb 4,14-16
Mt 12,9b-21

Il vangelo di Matteo registra in questo capitolo, che oggi stiamo leggendo, un crescendo impetuoso, pauroso, dell'opposizione nei confronti di Gesù. I suoi oppositori, uomini della Legge - una legge spenta - lo tallonano passo passo, cercano appigli, gli tendono insidie. L'asso nella manica, che pensano di avere per toglierselo finalmente di mezzo, è al momento la non osservanza del sabato.

Da parte sua e da parte dei suoi discepoli. Infatti il brano, che precede immediatamente il nostro, registra una disputa a tutto campo tra loro e Gesù per il fatto che i discepoli si erano permessi di cogliere delle spighe nei campi e di mangiarle in giorno di sabato. Cosa che, secondo loro, non era lecito fare.

Gesù ricorda loro - ed è l'episodio che oggi abbiamo letto nel primo libro di Samuele -- che Davide mangiò addirittura pani sacri - che non era lecito mangiare se non ai sacerdoti - il giorno in cui lui e i suoi giovani ebbero fame. Gesù chiuse la questione, dicendo ai farisei che proprio non avevano capito niente di ciò che Dio afferma nel libro del profeta Osea: "misericordia io voglio e non sacrifici".

E quanti ne avevano condannati per non aver capito questo! Rimandava - voi mi capite - alla compassione per ogni persona, sostenendo che l'attenzione e la compassione per le persone hanno la precedenza. Su tutto. Anche sulle leggi. Ora si ritrova con lo stesso problema. Stessi oppositori, stesso problema, quasi fosse una costante negli ambienti cosiddetti religiosi: la precedenza delle leggi sulle persone, sulla compassione.

E ora lo sfidano: sono in una sinagoga, c'è un paralitico. Di che pasta sia Gesù lo sanno. Pensano: vuoi che non lo guarisca anche se è di sabato? Gesù mette a nudo la loro ipocrisia: forse che non salverebbero di sabato una loro pecora caduta in un fosso? E allora, perché è sabato, non si può fare del bene? Sembra di vedere la scena, il paralitico al centro e Gesù che, sfidandoli, dice all'uomo: "Tendi la tua mano!". La mano tornò sana come l'altra.

Gliela giurarono: uno così deve morire! Tengono consiglio per farlo morire. Gesù si allontana. Poco prima aveva citato il profeta Osea, ora cita il profeta Isaia. E cita, a giustificazione del suo modo di operare, un passo forte e tenero del profeta Isaia dove, del Messia, si dice che farà giustizia, ma in un modo nuovo. Che non sta nel contestare o gridare o fare udire la sua voce sulle piazze: non gli interessa fare spettacolo, dare visibilità a se stesso, essere ammirato o riverito, avere potere. Al centro l'altro… e una luminosa compassione.

Una modalità nuova, che si esprime, nelle parole del profeta, con immagini di una tenerezza infinita, che non finiscono mai di emozionarmi ogni volta che le leggo, l'immagine della canna incrinata e quella della fiamma smorta: "Non spezzerà una canna già incrinata, non spegnerà una fiamma smorta". Un modo nuovo di fare giustizia! Due immagini in cui a ognuno di noi sembra di riconoscere Gesù, che dà la precedenza alle persone, la precedenza alla tenerezza.

Mi sono chiesto se non dovremmo tenere negli occhi più spesso queste immagini e lasciarci guidare come faceva Gesù: l'immagine della canna incrinata e della fiamma smorta. E' un esercizio. Ed è anche un'arte. Trovo una persona che già ha il cuore spezzato, come una canna incrinata. Che cosa faccio? La scarto? La deprimo ulteriormente? La destino alla rottamazione? Pensate quante situazioni anche oggi svelano incrinature della vita! Che cosa faccio? "Fasciale": mi dice il vangelo. Fasciale! Con il tuo sguardo, con un tuo gesto, con le tue parole puoi spezzare o puoi fasciare. Ma tu sai da che parte sta il vangelo. Da che parte sta il futuro di quella persona, il futuro di una vita.

Fasciare le incrinature. Contro la cultura dello scarto, direbbe Papa Francesco. Come faceva Gesù. Oggi la lettera agli Ebrei di Gesù ricordava un verbo bellissimo e lo fa con una sottesa nota polemica verso gli altri sacerdoti. La lettera dice che Gesù, al confronto degli altri sacerdoti "seppe prendere parte alle nostre debolezze". Mi sembra bellissimo. Ecco la divaricazione tra lui e gli altri sacerdoti: prendere parte alle debolezze. Io prendo parte? Fascio la canna incrinata? Ma con amore, prendendo parte alla debolezza?

Ed è un discorso che vale per me, vale per la chiesa, una chiesa chiamata dal vangelo non a spezzare, ad allontanare, a escludere, ma a prendersi cura delle debolezze, a fasciare la canna incrinata. Se fossimo fedeli al vangelo, se sempre fossimo stati fedeli al vangelo, lo stile non sarebbe stato quello dell'"o è così o si spacca".

Pensate quante situazioni, a causa delle nostre durezze, hanno lungo i tempi spezzato le canne incrinate! Siano insegnamento per l'oggi. E sfioro l'altra immagine, quella della fiamma smorta, ma per dire una cosa sola - si potrebbe continuare a lungo dietro l'immagine - ma una cosa sola basta. Tutti noi, penso abbiamo presente, che cosa succede in una lampada quando il lucignolo per mancanza di olio si è fatto fumigante, i suoi sfrigolii, quasi in vigilia di spegnimento.

Ebbene non soffiargli addosso tutta la tua presunzione, si spegnerebbe e nemmeno versagli addosso una massa di olio, annegherebbe. Dagli una goccia d'olio, quella che lo fa rinvenire. Non rovesciamogli addosso tutti i nostri teoremi, tutte le nostre complicazioni, tutte le nostre codificazioni, che spesso odorano di ipocrisia, come quelle lontane dispute sul sabato ai tempi di Gesù! Da' allo stoppino che muore, una goccia.

Si, dovremmo chiedere a Dio l'intelligenza - dico l'intelligenza spirituale - della piccola goccia d'olio. Un parola giusta, piccola, al tempo giusto, un gesto giusto, piccolo all'ora giusta. E' quello che puoi, è la piccola cosa che puoi, piccola, ma fa ardere. Fa ardere il cuore che si era intristito, fa ardere la fiducia che si era come consumata.

Vorrei dire tutta la mia gratitudine ed emozione a Gesù. Che si è piegato su questa canna incrinata che sono io, su questo stoppino dalla fiamma smorta che sono io. E che io impari, che tutti impariamo da lui a fasciare, a dare una goccia d'olio. Lo Spirito ci illumini.

Lettura del primo libro di Samuele 21, 2-6a.7ab

In quei giorni. Davide si recò a Nob dal sacerdote Achimèlec. Achimèlec, trepidante, andò incontro a Davide e gli disse: "Perché sei solo e non c'è nessuno con te?". Rispose Davide al sacerdote Achimèlec: "Il re mi ha ordinato e mi ha detto: "Nessuno sappia niente di questa cosa per la quale ti mando e di cui ti ho dato incarico". Ai miei giovani ho dato appuntamento al tal posto. Ora però se hai sottomano cinque pani, dammeli, o altra cosa che si possa trovare". Il sacerdote rispose a Davide: "Non ho sottomano pani comuni, ho solo pani sacri per i tuoi giovani, se si sono almeno astenuti dalle donne". Rispose Davide al sacerdote: "Ma certo! Dalle donne ci siamo astenuti dall'altro ieri". Il sacerdote gli diede il pane sacro, perché non c'era là altro pane che quello dell'offerta, ritirato dalla presenza del Signore.

Sal 42 (43)

® La tua verità, Signore, sia luce al mio cammino. Fammi giustizia, o Dio, difendi la mia causa contro gente spietata; liberami dall'uomo perfido e perverso. ® Manda la tua luce e la tua verità: siano esse a guidarmi, mi conducano alla tua santa montagna, alla tua dimora. ® Verrò all'altare di Dio, a Dio, mia gioiosa esultanza. A te canterò sulla cetra, Dio, Dio mio. ® Perché ti rattristi, anima mia, perché ti agiti in me? Spera in Dio: ancora potrò lodarlo, lui, salvezza del mio volto e mio Dio.

® Lettera agli Ebrei 4, 14-16

Fratelli, poiché abbiamo un sommo sacerdote grande, che è passato attraverso i cieli, Gesù il Figlio di Dio, manteniamo ferma la professione della fede. Infatti non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia prendere parte alle nostre debolezze: egli stesso è stato messo alla prova in ogni cosa come noi, escluso il peccato. Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia per ricevere misericordia e trovare grazia, così da essere aiutati al momento opportuno.

Lettura del Vangelo secondo Matteo 12, 9b-21

In quel tempo. Il Signore Gesù andò nella sinagoga; ed ecco un uomo che aveva una mano paralizzata. Per accusarlo, i farisei domandarono a Gesù: "È lecito guarire in giorno di sabato?". Ed egli rispose loro: "Chi di voi, se possiede una pecora e questa, in giorno di sabato, cade in un fosso, non l'afferra e la tira fuori? Ora, un uomo vale ben più di una pecora! Perciò è lecito in giorno di sabato fare del bene". E disse all'uomo: "Tendi la tua mano". Egli la tese e quella ritornò sana come l'altra. Allora i farisei uscirono e tennero consiglio contro di lui per farlo morire. Gesù però, avendolo saputo, si allontanò di là. Molti lo seguirono ed egli li guarì tutti e impose loro di non divulgarlo, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaia: "Ecco il mio servo, che io ho scelto; / il mio amato, nel quale ho posto il mio compiacimento. / Porrò il mio spirito sopra di lui / e annuncerà alle nazioni la giustizia. / Non contesterà né griderà / né si udrà nelle piazze la sua voce. / Non spezzerà una canna già incrinata, / non spegnerà una fiamma smorta, / finché non abbia fatto trionfare la giustizia; / nel suo nome spereranno le nazioni".

 

 


 
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