la parola della domenica

 

Anno liturgico C
omelia di don Angelo nella sesta Domenica di Avvento
secondo il rito ambrosiano


20 dicembre 2015



 

 

Is 62,10-63,3b
Sal 71
Fil 4,4-9
Lc 1,26-38a

Non so, proprio non so, se è questo quello che gli occhi dei popoli - direbbe la lettura - colgono, quando da lontano si soffermano a guardare i credenti, coloro che si riconoscono nel Dio della Bibbia: "Li chiameranno "popolo santo", "Redenti dal Signore". E tu sarai chiamata "Ricercata, "Città non abbandonata".

Voi, mi capite, quasi portassimo stampato in volto - perdonate se mi esprimo così - quasi portassimo stampato in volto non il senso dell'abbandono, della disperazione, bensì la consapevolezza, la consapevolezza e la gioia, di essere stati cercati, raggiunti e liberati dal Signore. Immeritatamente cercati, raggiunti, liberati.

Questa - chiamiamola così - "vicinanza di Dio" che dovrebbe, quasi per un impulso interiore, fiorire in letizia, in amabilità, se stiamo alle parole della lettera ai Filippesi: "Siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto, siate lieti, La vostra amabilità sia nota a tutti. Il Signore è vicino!". Mi colpisce la connessione: "Lieti, amabili… Il Signore è vicino". Come se letizia e amabilità fossero conseguenza necessaria, il frutto luminoso, evidente a tutti, del fatto che il Signore è vicino.

Subito mi è mormorata in cuore una domanda: se la mia vita fosse priva di ogni barlume di letizia e di amabilità, potrebbe essere segno del Dio della vicinanza, del Signore con noi? Il pensiero del Dio che viene a cercare, del Dio che ci raggiunge, del Dio che non abbandona ci riporta d'istinto al racconto dell'annunciazione che ci è stato riproposto in questa domenica che passa sotto il nome di domenica dell'Incarnazione o della divina maternità di Maria.

L'angelo che è mandato a Nazaret e oltrepassa la soglia della casa di Maria non ci parla forse della vicinanza di Dio? "Rallegrati, il Signore è con te". E il pensiero va alla lettera di Paolo: "Siate lieti… Il Signore è vicino". "Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio": hai trovato amore, un amore gratuito come sa essere quello di Dio. Che non è misurato sul contraccambio. Anche il racconto dell'annunciazione diventa racconto della vicinanza di Dio.

Ma, se mi è lecito esprimermi così, di una vicinanza che arriva al paradosso, a ciò che ai nostri occhi, al nostro modo di pensare, poteva sino a quel giorno sembrare incredibile, inimmaginabile, paradossale, perché di questo si tratta: dell'incarnazione, cioè di un Dio che la sua vicinanza non la dice venendo e poi andandosene, ma la dice restando nella carne dell'uomo.

L'angelo se ne va, ma il Figlio di Dio ha preso dimora in questa terra, nel grembo fragile e tenero di una donna, una ragazza di Nazaret. Non è un Dio che viene e va. Avviene il congiungimento tra Dio e l'umanità. Nel grembo di una donna. E' congiungimento. Che non si spezza. Legame che non si spezza. Al cuore mi è ritornata una storia, che la liturgia ci ha proposto in questi giorni che precedono il Natale, la storia di Rut.

Il libro di Rut è un piccolo libro della Bibbia, piccolo ma delizioso, anche commovente. Vorrei quasi consigliarvi di leggerlo per intero, se ne aveste l'opportunità, in questi giorni: sono quattro brevi capitoli. Perché la storia di Rut, di Rut, la moabita e di Noemi, la sua suocera. Noemi è migrata, per via di una carestia, in terra straniera, terra di Moab, dove i suoi due figli sposano due donne del posto. Noemi non solo rimane senza marito, ma le muoiono pure i figli. E decide di ritornare a Betlemme, al suo popolo.

Si alza per ritornare alla sua terra, nel paese di Giuda. Le nuore che le sono affezionate non vorrebbero abbandonarla. Noemi insiste, non vuole che le nuore si sacrifichino per lei. Rimangano nel loro paese, il paese di Moab. Ognuna di loro porta legami con la sua terra. Una delle due, Orpa, si lascia convincere. Non invece Rut. che così risponde a Noemi: "Non insistere con me che ti abbandoni e torni indietro senza di te, perché dove andrai tu, andrò anch'io, e dove ti fermerai, mi fermerò; il tuo popolo sarà il mio popolo e il tuo Dio sarà il mio Dio. Dove morirai tu, morirò anch'io e lì sarò sepolta" (Rt 1, 16-17).

Sono parole commoventi che mi hanno d''istinto riportato alla modalità del venire di Dio nella nostra vita, che non è un venire e un andarsene, è un immergersi e restare: questo il significato di incarnazione. Il divino e l'umano legati insieme, abbracciati insieme. E per sempre. Cominciando dalla storia di Maria, che trova il divino e l'umano abbracciati in sé, nel suo corpo: "Lo Spirito santo scenderà su di te e la potenza dell'Altissimo ti coprirà con la sua ombra". Non so se sempre valutiamo il significato profondo di questo congiungimento - e l'uomo non separi ciò che Dio ha congiunto! -.

Il divino e l'umano che Dio ha congiunto. E' il superamento - voi lo intuite - di ogni schizofrenia religiosa, di ogni spiritualità schizofrenica. Chiamo così una spiritualità che ci fa distinguere tra la vita eterna di cui innamorarsi e la nostra vita terrena da cui prendere distacco. Dio di cui innamorarci, da contemplare e gli umani da relativizzare, dai quali distogliere gli occhi. Un disamoramento chiamato virtù, per via della separazione, la separazione tra sacro e profano.

Il sacro dentro le chiese, di cui innamorarci; il profano fuori, di cui disamorarci, per amore di Dio. O, se non altro, un profano di cui non innamorarci troppo, sempre per amore di Dio. Ma pensate all'incarnazione. Non è il superamento della schizofrenia, tra Dio e uomo? Dio si è fatto uomo. Dio lo trovi dove? Dove è andato a nascondersi? Nella carne, nella storia degli umani.

Non è contro la vita, è nella vita. Pensate all'incarnazione. L'umano non come l'impedimento al divino, ma come la rivelazione del divino, del Dio che ha avvolto dell'ombra della sua presenza il grembo fragile e tenero di una donna. Maria di Nazaret, l'incarnazione, il natale che è sempre più vicino, vengono anche a richiamarci questo: la fede in Dio, la vera fede in Dio, non ci rende, non ci potrà mai rendere - sarebbe un sacrilegio - disumani o meno umani.

Se è fede, se è vera fede, per via del congiungimento, non potrà che renderci più umani. Paolo ce lo ha ricordato oggi nella lettera: "In conclusione, fratelli, quello che è vero, quello che è nobile, quello che è giusto, quello che è puro, quello che è amabile, quello che è onorato, ciò che è virtù e ciò che merita lode, questo sia oggetto dei vostri pensieri".

Potemmo forse dire che accade l'incarnazione ogni volta che uno di noi dice a un altro: "dove andrai tu, andrò anch'io, e dove ti fermerai, io mi fermerò".

 

 


 
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