la parola della domenica

 

Anno liturgico C
omelia di don Angelo nella quinta Domenica dopo Pentecoste
secondo il rito ambrosiano


19 giugno 2016



 

 

Gen 18,1-2a.16-33
Sal 27
Rm 4,16-25
Lc 13,23-29

Che senso dare alle parole? Anche alle parole del vangelo che oggi abbiamo ascoltato? A volte, a una prima lettura - e non solo alla prima - ci sembrano di difficile comprensione; a volte, confessiamolo, addirittura contraddittorie, a volte dure. E' il caso - e senz'altro ve ne siete accorti - delle parole di Gesù sulla "porta stretta".

Che senso dare all'aggettivo "stretto": "Sforzatevi di entrare per la porta stretta". L'affermazione segue la domanda di un tale: "Signore sono pochi quelli che si salvano?". Ma già il fatto che Gesù non dia numeri, né accetti la misura dei "pochi", è indicativo e fa pensare. Quante cose nel nostro brano fanno pensare! Fa pensare che la domanda del tale non sia una domanda da fermi, mentre si è fermi. Ma "in viaggio": "mentre era in cammino verso Gerusalemme" è scritto.

E subito ti attraversa un pensiero, forse poco fondato dal punto di vista esegetico: "Dove andavano i pensieri di Gesù in quel momento, mentre camminava?". Non sarà che in quel momento i suoi pensieri andassero alla porta stretta che sarebbe stato chiamato ad attraversare a Gerusalemme, la porta stretta della croce? Ma subito ti si affaccia un'altra domanda: "Stretta la porta della croce?".

Certo se pensi allo strazio infinito che portò con sé. Ma se poi ricordi le parole di Gesù "Quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me" - "tutti" è scritto - ti vien fatto di pensare: "Più ampia di così la porta !". Il pensiero va allora a chi resta fuori e a perché resta fuori. Penso che ognuno di voi abbia notato come Gesù risponda con un intrigante repentino cambio di orizzonte sui "salvati".

In gioco, per chi poneva la domanda, erano gli altri. Se ne salvano pochi? Il discorso era alla terza persona. E Gesù senza esitazioni di sorta, con decisione, lo porta alla seconda persona. Come a dire: in gioco siete voi. Sforzatevi voi! "Voi, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta dicendo: "Signore, aprici". Ma egli vi risponderà: "Non so di dove siete!". Ma come? "Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze. E ora dici e lo ripeti anche: "Non so di dove siete!".

Mi ha molto colpito questa affermazione, ripetuta: "Non so di dove siete!". Si può mangiare e bere in presenza di Gesù, ascoltarlo fin sulle piazze ed essere - lasciatemi che mi esprima così - essere di un altro paese. Che non ha nulla a spartire con il paese di Gesù. E - voi mi capite - parlo di un paese interiore, fatto di pensieri, di passioni, di emozioni. Il pericolo è reale. Non basta la frequentazione esteriore.

Il pericolo è reale. Anche per i nostri rapporti quotidiani: si può stare insieme una vita in una famiglia, frequentarsi per anni, che so io, in un gruppo, in una parrocchia, in un ufficio, in una scuola ed essere di mondi diversi, lontanissimi. Al punto da dire: "Ma io che c'entro? E' un mondo, una visione della vita, un modo di pensare che non mi appartiene". Non so di dove siete. E Gesù fa un'aggiunta: "Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia".

Quasi dicesse: "Non mi interessano le pratiche che riguardano me, si entra dalla porta non per opere che riguardano me - mangiare in mia presenza, ascoltare i miei insegnamenti -; la misura sono gli altri: se siete giusti o no con gli altri. Siete operatori di giustizia o operatori di ingiustizia? Di dove siete? Venite dalla giustizia, dall'onorare nella vostra vita la giustizia?

E io - mi chiedo - io l'ho onorata, la onoro, la giustizia? E' il mio paese, è la mia città? La giustizia! Ma ecco che Gesù sorprendentemente, allarga l'orizzonte. Sentitelo: "Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio".

Questo - voi mi capite - significa che operatori di giustizia si può essere sotto tutti i cieli, da tutte le terre, dai mondi più diversi: "Siederanno a mensa nel regno di Dio"! E allora che cosa mi sembra di capire se ritono alla categoria "stretto", "largo". Mi sembra di capire che la porta è chiusa se il cuore è stretto, se i miei pensieri sono stretti, se la mia visione della vita, degli altri, della società, è stretta. La porta è chiusa se, quando leggo: "Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio", non sono preso da sussulti di gioia, da entusiasmo, da sogni, ma rimango indifferente opaco al sogno di Dio. A volte si fa fatica a realizzarlo. Ma tu vai in quella direzione!

Il pensiero mi riporta al brano della Genesi, alla commovente preghiera di Abramo per gli abitanti di Sodoma. Uno potrebbe dire: dalli per perduti! E poi c'è di mezzo Dio. Ma che bello che Dio voglia confidare il suo pensiero ad Abramo, che la Scrittura chiama l'"amico" di Dio! E che bello che Abramo discuta con Dio. Come lo abitasse una passione. Dopo tutto non gliel'aveva forse promesso Dio che sarebbe diventato "padre di molti popoli"? E tra quei popoli, tra quelle genti non c'erano forse anche quelli di Sodoma?

E' come se Abramo prendesse sul serio quella sua paternità universale. E "tira il prezzo" - lasciate che mi esprima così - con Dio: se si trovassero cinquanta, quaranta, trenta, venti, dieci giusti? E' struggente questa preghiera di intercessione, quasi che ad Abramo si spezzasse il cuore al pensiero di una distruzione, fosse pure distruzione per un male. Leggevo la preghiera di Abramo e mi commuovevo.

Come vorrei - mi dicevo - che anche la nostra preghiera avesse questo orizzonte aperto e non fosse circoscritta a un mondo ristretto. Ma avesse la passione di Abramo, la abitasse una passione, una passione per questa nostra terra, per questo nostro paese, per questa nostra città, che ci facessimo carico del male e del dolore del mondo.

Abramo non si rassegna. Tenta anche con Dio, tenta anche quando sembra che non ci sia più niente da fare. Insegnamento prezioso per i nostri giorni, troppo segnati da un senso di disfattismo. Di disfattismo e di resa. Di Abramo oggi la lettera ai Romani scriveva: "Egli non vacillò nella fede pur vedendo già morto il proprio corpo - aveva circa cento anni - e morto il corpo di Sara. Non esitò di fronte alla promessa di Dio". Non si arrese.

Ci rimanga - è una preghiera - la fede di Abramo, del nostro padre Abramo.

 

 


 
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