la parola della domenica

 

Anno liturgico C
omelia di don Angelo nella quinta Domenica di Quaresima
secondo il rito ambrosiano


7 aprile 2019



 

 

Dt 6,4a; 26,5-11
Sal 104
Rm 1,18-23a
Gv 11,1-53

 

Un lungo commovente racconto e una stranezza, che sempre mi colpisce: che il segno di Gesù - il segno di una vita che, data per morta, si riapre come i germogli in questa stagione - il segno sia contenuto in pochi versetti del racconto, come se tutto si consumasse in un brivido. Gesù che grida a gran voce: "Lazzaro, vieni fuori!". E il morto che esce, piedi e mani legate con bende, il viso avvolto da un sudario. E Gesù che dice: "Liberatelo e lasciatelo andare". E poi quasi più nulla di Lazzaro: lo troveremo a una cena che faranno per lui e ci sarà Gesù con i suoi discepoli.

In verità di lui non è detto nulla anche prima, se non un particolare, bellissimo: quando le sorelle mandano a dire a Gesù della malattia, in un certo senso, usano un altro nome, nome bellissimo, per il loro fratello. Non dicono "Lazzaro". Dicono: "Signore, ecco colui che tu ami è malato". Gli hanno cambiato nome. Lazzaro è diventato:"colui che tu ami". Nelle parole spende l'amicizia, l'amore. Tutto il nostro racconto è sulla strada, ma sullo sfondo c'è una casa che Gesù frequentava, casa di amici. Mi dà una gioia immensa pensare che Gesù, certo appassionato a tutti, nessuno escluso, avesse però nel suo cuore un posto - oserei dire di privilegio - per amici più cari. E la casa di Betania era casa ricercata, e anche un po' casa rifugio: lo sarà in modo particolare nei giorni precedenti la sua cattura, andava a passarvi le notti.

L'evangelista annota: "Gesù amava Marta e sua sorella e Lazzaro". Ebbene tutto il nostro brano è come uno svelamento, un pulsare dall'inizio alla fine, di sentimenti: parole sommesse, lamenti, pianti, confessioni di fiducia, domande senza risposta. Siamo per strada ma, perdonate, è come se fossimo in casa, come se la strada fosse casa, luogo dove è ospitata l'intimità del dirsi. Vi sembrerò stravagante, ma vorrei dirvi - e mi perdonerete - che a me sembra già così prezioso tutto questo mondo di sentimenti che si affaccia nel racconto sulla strada, prima ancora che giungiamo alla tomba fuori la città. Gesti e parole abitate da un sentire profondo, da un pianto che non è da cerimonia, da una vicinanza che non è fittizia.

Tanti volti, quasi una coralità. Bella e preziosa questa coralità. La bellezza dei sentimenti. Come se l'aria odorasse il futuro e fossimo in vigilia di risurrezioni. Pensate invece che brutta la vita quando la coralità che si respira nell'aria, per le strade, è un'altra, quando è il vuoto dei sentimenti, e gli occhi sono senza pupille, gesti e parole marcate brutalmente da odio, da ferocia. Non si è più in avvistamento di risurrezioni, di vita, ma di perdita di vita, di disumanità. Avvistamento di morti, di brutalità. Certo, voi potreste dirmi che i sentimenti non ti mettono al sicuro dalla malattia, dalla morte. Potreste dirmi che, anzi, ingigantiscono il dolore atroce del distacco da coloro che amiamo.

E allora lasciatemi dire quanto sia prezioso che il nostro racconto non veli di un minimo la devastazione del cuore in momenti di tragedie e di morte: la spiritualità degli occhi asciutti non appartiene al vangelo. E nemmeno quella delle preghiere slavate da ogni sorta di lamenti o di grida: "Se tu fossi stato qui mio fratello non sarebbe morto!". Anche questo il racconto insegna: che nemmeno l'amicizia preziosa di Gesù per quella casa e per le sue amiche, per il suo amico, potè salvaguardare i loro visi dal pianto. E Gesù, pensate, accetta il rimprovero sul ritardo di Dio: "Se tu fossi stato qui…". Sei in ritardo. E vorrei dirvi che la preghiera delle due sorelle - a specchio nelle parole: "Se tu fossi stato qui…" - quasi prende legittimazione anche sulle nostre labbra, ogni volta che la sensazione che ci prende è quella che Dio sia in ritardo, ma aggiungo subito: "Non in ritardo di amore".

E a dirmi in modo luminoso che lui non è in ritardo di amore, sono i suoi occhi colmi di pianto. E' scritto che si commosse profondamente, si turbò, scoppiò in pianto. Io non ho risposte sul dolore umano, tanto meno sul dolore innocente. Vi dirò anche che le risposte dei teologi - quelli della razza degli amici di Giobbe - non mi convincono. E' da anni - più di trenta - che mi lascio prendere da questo racconto, dal giorno in cui me ne venivo a casa con la domanda struggente di una bambina. Che, a suo modo, davanti alla morte della sua mamma accusava il ritardo di Dio: si chiedeva perché Dio e perché la sua mamma morta. Ricordo che quella sera, giunto a casa, mi venne spontaneo scrivere una preghiera, poche parole.

Mi venne da scrivere: Forse sogno o anche tu piangi di nascosto, o Signore, sul piccolo fragile volto d'una bimba che inquieta l'infinito silenzio del cielo. O forse già nel segreto le vai sussurrando: "Tua madre risorgerà"? Se tace il singhiozzo come un giorno a Betania poco fuori la casa è perché anche tu piangi, Signore. Non so se scandalizzo qualcuno dicendo che siamo nel tempo del ritardo di Dio, ma insisto ad aggiungere che non è un ritardo di cuore. E che la gloria di Dio - "se credi, vedrai la gloria di Dio" - saprà liberarci - e non chiedetemi come - dalla stretta della morte. Quelle parole che non furono definitive per Lazzaro, che conobbe ancora la stretta della morte, un giorno saranno definitive per ciascuno di noi: "Vieni fuori". Non sarà di certo una rianimazione, lasciamo a Dio la bellezza dell'immaginare, darà forma al "venir fuori dalla morte", alla stagione in cui farà cose nuove. Lasciamo a lui.

Ma perdonate se aggiungo un ultimo pensiero, sospinto dalla bellezza delle parole di Gesù. Dopo che Lazzaro uscì dal sepolcro, disse: "Liberatelo e lasciatelo andare". Non mi ero mai soffermato. Perdonate, è una mia interpretazione. Penso che qualcosa oggi tocchi a noi. Le parole mi sono risuonate come un invito a collaborare alla risurrezione. Ora tocca a voi: "Liberatelo e lasciatelo andare". Quasi Gesù ci volesse compagni di risurrezioni. Voi me lo insegnate: ci sono esperienze di morte prima della morte, ci sono esperienze di non vita prima della fine della vita, ci sono tombe di depressione in cui donne e uomini vivono murati. Non muriamoli di più con la nostra indifferenza o la nostra ferocia. Liberateli e lasciateli andare, collaborate alla risurrezione.

Io non ho potere di risurrezioni. Posso liberare da bende che legano mani e piedi, posso liberare da sudari che avvolgono visi. Posso provare la gioia di vedere donne e uomini andare: "liberateli e lasciateli andare".

 

Lettura del libro del Deuteronomio 6, 4a; 26, 5-11

In quei giorni. Mosè disse: "Ascolta, Israele: tu pronuncerai queste parole davanti al Signore, tuo Dio: "Mio padre era un Arameo errante; scese in Egitto, vi stette come un forestiero con poca gente e vi diventò una nazione grande, forte e numerosa. Gli Egiziani ci maltrattarono, ci umiliarono e ci imposero una dura schiavitù. Allora gridammo al Signore, al Dio dei nostri padri, e il Signore ascoltò la nostra voce, vide la nostra umiliazione, la nostra miseria e la nostra oppressione; il Signore ci fece uscire dall'Egitto con mano potente e con braccio teso, spargendo terrore e operando segni e prodigi. Ci condusse in questo luogo e ci diede questa terra, dove scorrono latte e miele. Ora, ecco, io presento le primizie dei frutti del suolo che tu, Signore, mi hai dato". Le deporrai davanti al Signore, tuo Dio, e ti prostrerai davanti al Signore, tuo Dio. Gioirai, con il levita e con il forestiero che sarà in mezzo a te, di tutto il bene che il Signore, tuo Dio, avrà dato a te e alla tua famiglia".

Sal 104 (105)

® Lodate il Signore, invocate il suo nome. Rendete grazie al Signore e invocate il suo nome, proclamate fra i popoli le sue opere. A lui cantate, a lui inneggiate, meditate tutte le sue meraviglie. ® L'ha stabilita per Giacobbe come decreto, per Israele come alleanza eterna, quando disse: "Ti darò il paese di Canaan come parte della vostra eredità". ® Quando erano in piccolo numero, pochi e forestieri in quel luogo, non permise che alcuno li opprimesse e castigò i re per causa loro: "Non toccate i miei consacrati, non fate alcun male ai miei profeti". ®

Lettera di san Paolo apostolo ai Romani 1,18-23a

Fratelli, l'ira di Dio si rivela dal cielo contro ogni empietà e ogni ingiustizia di uomini che soffocano la verità nell'ingiustizia, poiché ciò che di Dio si può conoscere è loro manifesto; Dio stesso lo ha manifestato a loro. Infatti le sue perfezioni invisibili, ossia la sua eterna potenza e divinità, vengono contemplate e comprese dalla creazione del mondo attraverso le opere da lui compiute. Essi dunque non hanno alcun motivo di scusa perché, pur avendo conosciuto Dio, non lo hanno glorificato né ringraziato come Dio, ma si sono perduti nei loro vani ragionamenti e la loro mente ottusa si è ottenebrata. Mentre si dichiaravano sapienti, sono diventati stolti e hanno scambiato la gloria del Dio incorruttibile con un'immagine e una figura di uomo corruttibile.

Lettura del Vangelo secondo Giovanni 11, 1-53

In quel tempo. Un certo Lazzaro di Betània, il villaggio di Maria e di Marta sua sorella, era malato. Maria era quella che cosparse di profumo il Signore e gli asciugò i piedi con i suoi capelli; suo fratello Lazzaro era malato. Le sorelle mandarono dunque a dirgli: "Signore, ecco, colui che tu ami è malato". All'udire questo, Gesù disse: "Questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio venga glorificato". Gesù amava Marta e sua sorella e Lazzaro. Quando sentì che era malato, rimase per due giorni nel luogo dove si trovava. Poi disse ai discepoli: "Andiamo di nuovo in Giudea!". I discepoli gli dissero: "Rabbì, poco fa i Giudei cercavano di lapidarti e tu ci vai di nuovo?". Gesù rispose: "Non sono forse dodici le ore del giorno? Se uno cammina di giorno, non inciampa, perché vede la luce di questo mondo; ma se cammina di notte, inciampa, perché la luce non è in lui". Disse queste cose e poi soggiunse loro: "Lazzaro, il nostro amico, si è addormentato; ma io vado a svegliarlo". Gli dissero allora i discepoli: "Signore, se si è addormentato, si salverà". Gesù aveva parlato della morte di lui; essi invece pensarono che parlasse del riposo del sonno. Allora Gesù disse loro apertamente: "Lazzaro è morto e io sono contento per voi di non essere stato là, affinché voi crediate; ma andiamo da lui!". Allora Tommaso, chiamato Dìdimo, disse agli altri discepoli: "Andiamo anche noi a morire con lui!". Quando Gesù arrivò, trovò Lazzaro che già da quattro giorni era nel sepolcro. Betània distava da Gerusalemme meno di tre chilometri e molti Giudei erano venuti da Marta e Maria a consolarle per il fratello. Marta dunque, come udì che veniva Gesù, gli andò incontro; Maria invece stava seduta in casa. Marta disse a Gesù: "Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! Ma anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà". Gesù le disse: "Tuo fratello risorgerà". Gli rispose Marta: "So che risorgerà nella risurrezione dell'ultimo giorno". Gesù le disse: "Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?". Gli rispose: "Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo". Dette queste parole, andò a chiamare Maria, sua sorella, e di nascosto le disse: "Il Maestro è qui e ti chiama". Udito questo, ella si alzò subito e andò da lui. Gesù non era entrato nel villaggio, ma si trovava ancora là dove Marta gli era andata incontro. Allora i Giudei, che erano in casa con lei a consolarla, vedendo Maria alzarsi in fretta e uscire, la seguirono, pensando che andasse a piangere al sepolcro. Quando Maria giunse dove si trovava Gesù, appena lo vide si gettò ai suoi piedi dicendogli: "Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!". Gesù allora, quando la vide piangere, e piangere anche i Giudei che erano venuti con lei, si commosse profondamente e, molto turbato, domandò: "Dove lo avete posto?". Gli dissero: "Signore, vieni a vedere!". Gesù scoppiò in pianto. Dissero allora i Giudei: "Guarda come lo amava!". Ma alcuni di loro dissero: "Lui, che ha aperto gli occhi al cieco, non poteva anche far sì che costui non morisse?". Allora Gesù, ancora una volta commosso profondamente, si recò al sepolcro: era una grotta e contro di essa era posta una pietra. Disse Gesù: "Togliete la pietra!". Gli rispose Marta, la sorella del morto: "Signore, manda già cattivo odore: è lì da quattro giorni". Le disse Gesù: "Non ti ho detto che, se crederai, vedrai la gloria di Dio?". Tolsero dunque la pietra. Gesù allora alzò gli occhi e disse: "Padre, ti rendo grazie perché mi hai ascoltato. Io sapevo che mi dai sempre ascolto, ma l'ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato". Detto questo, gridò a gran voce: "Lazzaro, vieni fuori!". Il morto uscì, i piedi e le mani legati con bende, e il viso avvolto da un sudario. Gesù disse loro: "Liberàtelo e lasciàtelo andare". Molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di ciò che egli aveva compiuto, credettero in lui. Ma alcuni di loro andarono dai farisei e riferirono loro quello che Gesù aveva fatto. Allora i capi dei sacerdoti e i farisei riunirono il sinedrio e dissero: "Che cosa facciamo? Quest'uomo compie molti segni. Se lo lasciamo continuare così, tutti crederanno in lui, verranno i Romani e distruggeranno il nostro tempio e la nostra nazione". Ma uno di loro, Caifa, che era sommo sacerdote quell'anno, disse loro: "Voi non capite nulla! Non vi rendete conto che è conveniente per voi che un solo uomo muoia per il popolo, e non vada in rovina la nazione intera!". Questo però non lo disse da se stesso, ma, essendo sommo sacerdote quell'anno, profetizzò che Gesù doveva morire per la nazione; e non soltanto per la nazione, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi. Da quel giorno dunque decisero di ucciderlo.

 

 


 
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