la parola della domenica

 

Anno liturgico A
omelia di don Angelo nella quinta Domenica dopo l'Epifania
secondo il rito ambrosiano


5 febbraio 2023



 

 

Is 40,1-11
Sal 32
Rm 4,13-17
Gv 4, 46-54

Per Giovanni, siamo al secondo segno. E anche questo segno è dentro un andare. Gesù fa ritorno in Galilea. Passa per Cana, proprio là dove era accaduto il suo primo segno, quello del vino. E non è un andare casuale: dentro i nomi dei luoghi si svela il suo disegno. Forse potremmo dire che anche il luoghi sono segno, parlano di lui. Mi ha sfiorato un pensiero: chissà se i miei luoghi parlano di me? E che cosa dicono? Ebbene chi legge attentamente il nostro brano non può non annotare questo spostamento progressivo di Gesù: dalla Giudea, terra del popolo della prima alleanza, alla Galilea delle genti, terra di incroci. Passando per la Samaria, terra scismatica: imperdibili nei nostri occhi il pozzo di Sicar, la donna inquieta e poi la città che l'accolse.

Ed ecco ora siamo in Galilea, il secondo segno accade a Cafarnao, in una casa, una realtà comune ad ogni cultura, nella casa di un non giudeo. "Gesù" scrivono due autorevoli esegeti "cambia il suo programma. Non si rivolgerà più alle istituzioni; d'ora in poi andrà in cerca dell'uomo bisognoso di vita, prescindendo dal quadro istituzionale in cui si trova" (J. Mateos - J. Barreto). Siamo discepoli - ecco la notizia - di un Maestro che si sposta verso luoghi più aperti, oserei dire senza appartenenze. Che cosa ci è rimasto? Pensate quanto tempo perdiamo a lamentarci delle chiese che si svuotano. Non dico che non sia un problema. Ma non potrebbe essere anche un'occasione per ritornare a ciò che era all'in principio, quando Gesù passava in luoghi scismatici, sino a prendere casa in luoghi di incroci culturali e religiosi.

E che cosa cela questo spostamento, che - voi mi capite - non è solo uno spostamento geografico? Che cosa se non un atto di fiducia? Che l'altro si senta sfiorato da una parola, da un gesto, da uno sguardo aperto. Ovunque sia, fisicamente o spiritualmente. E che cosa è al contrario questo rincorrere strategie ecclesiastiche le più sofisticate, quasi non credessimo più, o credessimo meno, alla forza nuda dell'evangelo? Alle parole del profeta che oggi ci parlava di un Dio che raduna tutte le genti sino a farci puntare gli occhi alle isole lontane? Riprendo il racconto e ritorno al funzionario del re che aveva un figlio malato a Cafarnao. Anche lui un uomo bisognoso di vita, di vita per il suo figlio; gli avevano parlato di Gesù, che era ritornato in Galilea. "Si recò da lui e gli chiedeva di scendere a guarire suo figlio, perché stava per morire. Gesù gli disse: "Se non vedete segni e prodigi, voi non credete".

Anni fa mi ha colpito, ma ancora oggi mi colpisce, in questo racconto il verbo "scendere": "Gli chiedeva di scendere a guarire suo figlio"; e poi ancora: "Signore, scendi prima che il mio bambino muoia". Forse sto sconfinando, forse il verbo "scendere" annota semplicemente un dettaglio geografico: da Cana a Cafarnao, il cammino di un giorno e si scende. Mi sono però chiesto se, vista la sua reazione, Gesù non avesse colto, sottesa, in quell'invito a scendere, la richiesta di un segno imponente, un gesto portentoso, il Dio dei miracoli. Gesù mette in guardia: "Se non vedete segni e prodigi, voi non credete". Non è questa la modalità del suo scendere; anche se la modalità accade, e di sovente - ed è quasi un costume - nella grammatica degli uomini politici; loro, che scendono, scendono in campo, promettendo miracoli, ostentando potere. Dopotutto apparteneva a quel mondo il funzionario regio. Altro è "scendere in campo" per Gesù.

Nel credo di lui diciamo che discese: "Discese dal cielo per la nostra salvezza". Scende nascosto in un grembo. E alla fine non scenderà alla maniera dei grandi dalla croce, anche se glielo grideranno da sotto: "Se sei figlio di Dio, scendi". Alla fin fine - pensate, e può capitare anche a noi - il funzionario invitava a scendere uno che era già sceso, sceso per la nostra salvezza, per comunicare vita. E al funzionario dice - e chissà ii colore di quelle parole, parole di uno disceso: "Va', tuo figlio vive". Come dire: "Già ora, anche se tu non lo vedi, comunico vita, sono già sceso". Ecco il punto: credere in un Dio sceso, sceso nelle gioie ma anche nelle problematicità del nostro vivere. "Va'" dice al padre di quel figlio. "Va". c'è ancora la bellezza di questo verbo: andare, e senza aver visto segni.

E' bellissimo, mi incanto, leggo: "Quell'uomo credette alla parola che Gesù gli aveva detto e si mise in cammino": Lui sta alla parola, si mette in cammino. E non è forse questo il miracolo? O anche questo? O prima di tutto questo? Ha del miracoloso il mettersi in cammino. Ha del miracoloso anche per noi: non aspettare miracoli, credere alla parola e metterci in cammino. E' così che viviamo e facciamo vivere. E Dio passa in questo nostro guarire dai segni della morte, della assuefazione, della corruzione. Che lo sappiamo o no. Passa quando riusciamo a vivere e a far vivere, a respirare e a far respirare, aria di libertà e di vita. Mi si aprono pensieri, su questo modo nascosto di operare di Gesù. Accadde al figlio del funzionario di Cafarnao: gli accadde di sentire di stare improvvisamente, inaspettatamente, bene e di non sapere da dove e come fosse accaduto.

Accade anche a me, può accadere anche a noi, di alzarci da un letargo, di superare difficoltà o la noia del vivere, di muovere finalmente passi, di amare, di respirare, come fossimo guariti. Sì, ci accade di alzarci; e al momento non sostiamo a pensare. Poi dopo, a volte il giorno dopo, spesso molto dopo, ci accade di riconoscere di essere stati miracolosamente e inaspettatamente raggiunti, sfiorati da un Dio disceso. Sfiorati dai suoi occhi, dall'amore che tiene in cuore per noi. Giusto in quell'ora. Da lontano, che non era un essere lontano di cuore. Giovanni annota la coincidenza dell'ora: "Gli dissero: "Ieri, un'ora dopo mezzogiorno, la febbre lo ha lasciato"".

E la mia ora dopo mezzogiorno?

 

Lettura del profeta Isaia - Is 66, 18b-22

Così dice il Signore Dio: "Io verrò a radunare tutte le genti e tutte le lingue; essi verranno e vedranno la mia gloria. Io porrò in essi un segno e manderò i loro superstiti alle popolazioni di Tarsis, Put, Lud, Mesec, Ros, Tubal e Iavan, alle isole lontane che non hanno udito parlare di me e non hanno visto la mia gloria; essi annunceranno la mia gloria alle genti. Ricondurranno tutti i vostri fratelli da tutte le genti come offerta al Signore, su cavalli, su carri, su portantine, su muli, su dromedari, al mio santo monte di Gerusalemme - dice il Signore -, come i figli d'Israele portano l'offerta in vasi puri nel tempio del Signore. Anche tra loro mi prenderò sacerdoti leviti, dice il Signore. Sì, come i nuovi cieli e la nuova terra, che io farò, dureranno per sempre davanti a me - oracolo del Signore -, così dureranno la vostra discendenza e il vostro nome".

Sal 32 (33)

Esultate, o giusti, nel Signore. Tema il Signore tutta la terra, tremino davanti a lui gli abitanti del mondo, perché egli parlò e tutto fu creato, comandò e tutto fu compiuto. R Il Signore annulla i disegni delle nazioni, rende vani i progetti dei popoli. Ma il disegno del Signore sussiste per sempre, i progetti del suo cuore per tutte le generazioni. R Il Signore guarda dal cielo: egli vede tutti gli uomini; dal trono dove siede scruta tutti gli abitanti della terra, lui, che di ognuno ha plasmato il cuore e ne comprende tutte le opere. R

Lettera di san Paolo apostolo ai Romani - Rm 4,13-17

Fratelli, non in virtù della Legge fu data ad Abramo, o alla sua discendenza, la promessa di diventare erede del mondo, ma in virtù della giustizia che viene dalla fede. Se dunque diventassero eredi coloro che provengono dalla Legge, sarebbe resa vana la fede e inefficace la promessa. La Legge infatti provoca l'ira; al contrario, dove non c'è Legge, non c'è nemmeno trasgressione. Eredi dunque si diventa in virtù della fede, perché sia secondo la grazia, e in tal modo la promessa sia sicura per tutta la discendenza: non soltanto per quella che deriva dalla Legge, ma anche per quella che deriva dalla fede di Abramo, il quale è padre di tutti noi - come sta scritto: "Ti ho costituito padre di molti popoli" - davanti al Dio nel quale credette, che dà vita ai morti e chiama all'esistenza le cose che non esistono.

Lettura del Vangelo secondo Giovanni - Gv 4, 46-54

In quel tempo. Il Signore Gesù andò di nuovo a Cana di Galilea, dove aveva cambiato l'acqua in vino. Vi era un funzionario del re, che aveva un figlio malato a Cafàrnao. Costui, udito che Gesù era venuto dalla Giudea in Galilea, si recò da lui e gli chiedeva di scendere a guarire suo figlio, perché stava per morire. Gesù gli disse: "Se non vedete segni e prodigi, voi non credete". Il funzionario del re gli disse: "Signore, scendi prima che il mio bambino muoia". Gesù gli rispose: "Va', tuo figlio vive". Quell'uomo credette alla parola che Gesù gli aveva detto e si mise in cammino. Proprio mentre scendeva, gli vennero incontro i suoi servi a dirgli: "Tuo figlio vive!". Volle sapere da loro a che ora avesse cominciato a star meglio. Gli dissero: "Ieri, un'ora dopo mezzogiorno, la febbre lo ha lasciato". Il padre riconobbe che proprio a quell'ora Gesù gli aveva detto: "Tuo figlio vive", e credette lui con tutta la sua famiglia. Questo fu il secondo segno, che Gesù fece quando tornò dalla Giudea in Galilea.

 

 


 
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