la parola della domenica

 

Anno liturgico C
omelia di don Angelo nella quinta Domenica d'Avvento
secondo il rito ambrosiano


12 dicembre 2021



 

 

Is 30,18-26b
Sal 145
2Cor 4,1-6
Gv 3,23-32a

Ho letto le parole tratte dal rotolo di Isaia e una domanda mi è passata nel cuore: quando un profeta annuncia al suo popolo giorni in cui ci sarà pioggia per il seme nascosto nel terreno e abbondante sarà il pane, e le stalle floride, e luce della luna come la luce del sole e la luce del sole per sette giorni, usa parole accecate di bellezza per segnalare, a breve, un tempo definitivo di bene? O forse lui per il primo è cosciente che le immagini vanno a suggerire solo squarci di cielo e di terra e di umanità per cui dare corpo ed anima e passione? I profeti non indulgono a ingenui ottimismi, infondono in chi lo ascolta il brivido della speranza.

Guai a dissacrare la speranza riducendola a ottimismo di maniera. C'è una irriducibile differenza. Un ottimismo ingenuo ci fa stare con le mani in mano, nella fiducia a che Dio ce la mandi buona, la speranza al contrario genera coraggio per i giorni che viviamo e oltre. Si sposa al coraggio. E coraggio è parola che sa di progetti, sia pure parziali, sa di mani, sa di bene. Ce lo ha ripetuto con forza, la scorsa domenica, papa Francesco, ribadendo che "la speranza che nasce dal Vangelo non consiste nell'aspettare passivamente che un domani le cose vadano meglio, ma nel rendere oggi concreta la promessa di salvezza di Dio.

Oggi, ogni giorno. La speranza cristiana non è infatti l'ottimismo beato di chi spera che le cose cambino e nel frattempo continua a farsi la sua vita, ma è costruire ogni giorno, con gesti concreti, il Regno dell'amore, della giustizia e della fraternità che Gesù ha inaugurato. A noi è chiesto questo: di essere, tra le quotidiane rovine del mondo, instancabili costruttori di speranza; di essere luce mentre il sole si oscura; di essere testimoni di compassione mentre attorno regna la distrazione; di essere presenze attente nell'indifferenza diffusa". Ebbene le parole del profeta suonavano, come spesso accade, come un appello urgente al cambiamento: dagli idoli vani a colui che è maestro di vita.

Forse ha colpito anche voi quel grido "fuori!". E a chi e a che cosa dico "fuori" nella mia vita? Fuori gli idoli. Ne abbiamo costruiti tanti e non abbiamo ancora finito di costruirli ai nostri giorni. Riascoltiamo le parole: "Considererai cose immonde le tue immagini ricoperte d'argento; i tuoi idoli rivestiti d'oro getterai via come un oggetto immondo. 'Fuori!', tu dirai loro". Fuori perché fanno la rovina dell'anima e della terra. E quale il criterio per dire "fuori"? Il profeta parla di un maestro. Riascoltiamo: "Non si terrà più nascosto il tuo maestro; i tuoi occhi vedranno il tuo maestro, i tuoi orecchi sentiranno questa parola dietro di te: 'Questa è la strada, percorretela'". Il pensiero mi corre al vangelo, a Giovanni, il Battista, era un profeta, il più grande dei profeti. Ebbene invita a guardare a un altro. Riascoltiamolo: "Voi stessi mi siete testimoni che io ho detto: "Non sono io il Cristo", ma: "Sono stato mandato avanti a lui".

Lo sposo è colui al quale appartiene la sposa; ma l'amico dello sposo, che è presente e l'ascolta, esulta di gioia alla voce dello sposo. Ora questa mia gioia è piena. Lui deve crescere; io, invece, diminuire". C'è una voce da ascoltare, quella di Gesù che per Giovanni è maestro e sposo a un tempo. II contesto profuma di intimità. Lui è anche uno sposo. E tu sai che cosa passa tra coloro che si sono detti e si dicono amore. Oserei dire che il maestro non è più in cattedra, è in casa. E' disceso: stiamo per rivivere la discesa del Maestro, l'avvicinamento dello Sposo. E dunque non è un ascolto a distanza. Chi lo ascolta, come Giovanni, "esulta di gioia alla voce dello sposo". E' come se Giovanni dicesse: "Non sono io la via, la via porta il nome di un altro: Gesù. Mi si affollano pensieri.

Ne condivido con voi due. Il primo. E' accaduto e ancora accade che ci facciamo maestri noi, maestri in assoluto, mentre noi avremmo dovuto predicare, come scrive Paolo, "lo splendore del vangelo". Non poche volte, invece, abbiamo predicato noi stessi, le nostre verità che erano solo opinioni, a volte case di carta, edifici su sabbie mobili. E mi segue una domanda: "Come è stato possibile dimenticare le parole di Gesù, parole sue, scritte non chissà dove, ma nel vangelo: "E non fatevi chiamare "maestri", perché uno solo è il vostro Maestro, il Cristo"? (Mt 23,10). Il richiamo urgente dunque è a dare il nostro ascolto non agli idoli del tempo, ma Gesù.

Ed ecco il secondo pensiero: il mio sguardo, al bussare di pensieri, usciva da queste pareti, navigava questo paese che amo, e tutti i paesi del mondo e mi chiedevo di Gesù, il Maestro. A volte pensiamo, o facciamo, come se fossimo il mondo intero. Ci ha ricordato questo, ma anche altro, dalle pagine di un quotidiano in questi giorni Gabriella Caramore, carissima amica, in una sua intervista che prende finalmente al cuore il problema: "Poiché - dice - di fatto viviamo in un'epoca che - come afferma lo stesso Bergoglio, e come affermava lucidamente il cardinal Martini - ha decretato la fine della cristianità, poiché la fede non costituisce più il presupposto della vita comunitaria, se si vuole salvare qualcosa del cristianesimo occorre gettarlo fuori dai luoghi chiusi, dai tabernacoli come dalle dottrine, e farlo rivivere come piccolo seme di cose buone gettato in mezzo alle sterpaglie del mondo". Fin qui Gabriella.

La seguo: il Maestro - penso - è sceso, è nella casa. E casa è ogni donna e ogni uomo. In ascolto della coscienza. E allora mi ritornano le parole del card. Martini, che più volte vi ho ricordato, e la sua convinzione "che lo Spirito c'è, anche oggi, come al tempo di Gesù e degli Apostoli: c'è e sta operando, arriva prima di noi, lavora più di noi e meglio di noi; a noi non tocca né seminarlo né svegliarlo, ma anzitutto riconoscerlo, accoglierlo, assecondarlo, fargli strada, andargli dietro. C'è e non si è mai perso d'animo rispetto al nostro tempo; al contrario sorride, danza, penetra, investe, avvolge, arriva anche là dove mai avremmo immaginato".

Fuori gli idoli, dentro il Maestro.

 

Lettura del profeta Isaia - Is 30,18-26b

In quei giorni. Isaia disse: "Il Signore aspetta con fiducia per farvi grazia, per questo sorge per avere pietà di voi, perché un Dio giusto è il Signore; beati coloro che sperano in lui. Popolo di Sion, che abiti a Gerusalemme, tu non dovrai più piangere. A un tuo grido di supplica ti farà grazia; appena udrà, ti darà risposta. Anche se il Signore ti darà il pane dell'afflizione e l'acqua della tribolazione, non si terrà più nascosto il tuo maestro; i tuoi occhi vedranno il tuo maestro, i tuoi orecchi sentiranno questa parola dietro di te: "Questa è la strada, percorretela", caso mai andiate a destra o a sinistra. Considererai cose immonde le tue immagini ricoperte d'argento; i tuoi idoli rivestiti d'oro getterai via come un oggetto immondo. "Fuori!", tu dirai loro. Allora egli concederà la pioggia per il seme che avrai seminato nel terreno, e anche il pane, prodotto della terra, sarà abbondante e sostanzioso; in quel giorno il tuo bestiame pascolerà su un vasto prato. I buoi e gli asini che lavorano la terra mangeranno biada saporita, ventilata con la pala e con il vaglio. Su ogni monte e su ogni colle elevato scorreranno canali e torrenti d'acqua nel giorno della grande strage, quando cadranno le torri. La luce della luna sarà come la luce del sole e la luce del sole sarà sette volte di più, come la luce di sette giorni, quando il Signore curerà la piaga del suo popolo".

Sal 145 (146)

Vieni, Signore, a salvarci. Il Signore rimane fedele per sempre, rende giustizia agli oppressi, dà il pane agli affamati. Il Signore libera i prigionieri. R Il Signore ridona la vista ai ciechi, il Signore rialza chi è caduto, il Signore ama i giusti, il Signore protegge i forestieri. R Egli sostiene l'orfano e la vedova, ma sconvolge le vie dei malvagi. Il Signore regna per sempre, il tuo Dio, o Sion, di generazione in generazione. R

Seconda lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi - 2Cor 4,1-6

Fratelli, avendo questo ministero, secondo la misericordia che ci è stata accordata, non ci perdiamo d'animo. Al contrario, abbiamo rifiutato le dissimulazioni vergognose, senza comportarci con astuzia né falsificando la parola di Dio, ma annunciando apertamente la verità e presentandoci davanti a ogni coscienza umana, al cospetto di Dio. E se il nostro Vangelo rimane velato, lo è in coloro che si perdono: in loro, increduli, il dio di questo mondo ha accecato la mente, perché non vedano lo splendore del glorioso vangelo di Cristo, che è immagine di Dio. Noi infatti non annunciamo noi stessi, ma Cristo Gesù Signore: quanto a noi, siamo i vostri servitori a causa di Gesù. E Dio, che disse: "Rifulga la luce dalle tenebre", rifulse nei nostri cuori, per far risplendere la conoscenza della gloria di Dio sul volto di Cristo.

Lettura del Vangelo secondo Giovanni - Gv 3,23-32a

In quel tempo. Giovanni battezzava a Ennòn, vicino a Salìm, perché là c'era molta acqua; e la gente andava a farsi battezzare. Giovanni, infatti, non era ancora stato gettato in prigione. Nacque allora una discussione tra i discepoli di Giovanni e un Giudeo riguardo alla purificazione rituale. Andarono da Giovanni e gli dissero: "Rabbì, colui che era con te dall'altra parte del Giordano e al quale hai dato testimonianza, ecco, sta battezzando e tutti accorrono a lui". Giovanni rispose: "Nessuno può prendersi qualcosa se non gli è stata data dal cielo. Voi stessi mi siete testimoni che io ho detto: "Non sono io il Cristo", ma: "Sono stato mandato avanti a lui". Lo sposo è colui al quale appartiene la sposa; ma l'amico dello sposo, che è presente e l'ascolta, esulta di gioia alla voce dello sposo. Ora questa mia gioia è piena. Lui deve crescere; io, invece, diminuire". Chi viene dall'alto è al di sopra di tutti; ma chi viene dalla terra, appartiene alla terra e parla secondo la terra. Chi viene dal cielo è al di sopra di tutti. Egli attesta ciò che ha visto e udito.

 

 


 
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