la parola della domenica

 

Anno liturgico A
omelia di don Angelo nella quarta Domenica di Pasqua
secondo il rito ambrosiano


30 aprile 2023



 

 

At 6,1-7
Sal 134
Rm 10,11-15
Gv 10,11-18

E così, quel giorno, si diede nome di "pastore". "Io sono il buon pastore". Anzi, se stiamo all'etimo greco, "Il pastore bello". Gli era cara l'immagine. Adesso sto fantasticando: gli era diventata cara ben presto, dal giorno in cui sua madre e suo padre - ed era ancora piccolo - gli fecero raccontò di quella notte anomala in cui era nato e i primi a fare visita non erano stati, come normalmente accade, parenti o gente di spicco; no, erano venuti pastori bucando a lume di lanterne il buio della notte. Poi imparò a dare nome di pastore a Dio, quando suo padre e sua madre gli raccontavano passi delle Scritture sacre. E lui a sgranare gli occhi: "Come un pastore egli fa pascolare il gregge e con il suo braccio lo raduna; porta gli agnellini sul petto e conduce dolcemente le pecore madri" (Is 40,11).

Poi i pastori Gesù li conobbe dal vivo, vide greggi migrare lontano, vide pascoli, vide recinti, e scoprì, sino a parlarne, quasi una sorta di complicità tra gregge e pastore. Per lui - starei per dire - è la complicità a fare la differenza tra mercenari e pastori. Lui il nome di pastore buono, anzi "bello", se lo diede con limpidezza e forza in un serrato dibattito con alcuni farisei, scandalizzati che avesse fatto del fango in giorno di sabato per dare luce agli occhi di uno che gli occhi li aveva bui dalla nascita. "Ma che pastori siete?" - sembra dire loro - "Fate carte false per farvi passare come pastori. Voi proprio non sapete che cosa vuol dire prendersi cura delle pecore. Voi non passate dalla porta del recinto, vi entrate di soppiatto, come ladri e briganti. Non vi importa delle pecore, vi importa tosarle. Siete dei mercenari, per voi le pecore sono merce, da sfruttare per i vostri interessi. Voi le pecore le tenete chiuse, in un recinto soffocante fatto di leggi e precetti. Io come pastore bello ho la legittimità di entrare nel recinto - il Padre mio me l'ha data -. Ed io le pecore le porto fuori, le conduco a pascoli di respiro, do la vita per loro".

E si rincorrono nel brano verbi bellissimi che raccontano la complicità tra pastore e pecore, verbi su cui spesso abbiamo sostato e su cui sempre dovremmo sostare, perché il compito di essere pastori, di essere degli 'appassionati della cura', non è un'esclusiva dei preti o dei religiosi. Nella vita siamo chiamati tutti, in qualche misura e in modalità diverse, a prenderci cura degli altri, delle situazioni, della terra. Ad essere nel quotidiano pastori, pastori belli, belli della bellezza del pastore Gesù. Uno stile, che non è solo stile. Le parole di Gesù sul pastore sono tenerissime, giungono al punto di sfiorare i sentimenti che fanno nido nel cuore. Penso ad alcuni verbi: il pastore 'conosce' le pecore; le pecore 'le chiama per nome', verbi di una cura affettuosa. Il verbo conoscere nella lingua di Gesù racconta una relazione che si affaccia a una intimità, là dove uno vive l'altro. ll pastore chiama per nome e le pecore, tra mille, riconoscono la voce del loro pastore.

Per Gesù, tu non sei una massa grigia, indistinta, uniforme, un numero in un algoritmo. Sei tu, ti chiama con il tuo nome. E questo è il miracolo di Dio e ti prende emozione al pensarlo: ti senti riconosciuto in una immensità. E' il brivido che a volte ti sfiora, quando ti accade di contemplare le stelle: Fiorirà questa notte il cielo e sarà un prato di stelle. E tu, Dio, a chiamarle per nome una ad una in una intimità inviolata. Essere pastori dunque è uscire dalla tristezza dell'anonimato: vivere la bellezza del nome, che riceviamo e che diamo. Vorrei aggiungere che essere pastori al modo di Gesù significa anche uscire da una logica che troppo ha dominato, in ogni ambito, e non è ancora estinta, anzi: la logica della autoreferenzialità. La logica di coloro che fanno riferimento esclusivo a sè stessi e pretendono che gli altri facciano riferimento esclusivo a se stessi. Per effetto di questa logica da pastori si diventa padroni.

Quelli - dice Gesù - ai quali non importa delle pecore, importa di sé stessi. Una logica che in ambito ecclesiale ha nome di 'clericalismo', contro cui sta combattendo con determinazione, strenuamente, papa Francesco. Il 'dominio', che è il contrario della corresponsabilità, del condividere con altri la cura e le scelte. E in questo orizzonte mi sembra affascinante e, insieme, limpido, il messaggio del brano tratto oggi dagli Atti degli apostoli. Come ogni comunità, anche quella delle origini non è al riparo dalla complessità dei problemi. E' scritto: "In quei giorni, aumentando il numero dei discepoli, quelli di lingua greca mormorarono contro quelli di lingua ebraica perché, nell'assistenza quotidiana, venivano trascurate le loro vedove". Che fare? Innanzitutto si ascoltano le voci, si dà importanza a una sensazione diffusa. Si avverte la necessità di un cambiamento, un bisogno di collaborazioni nel campo dell'assistenza.

Poi, notate, non si fa avanti uno a decidere, dall'alto, per tutti; e non è nemmeno un gruppo a decidere, quello degli apostoli. I nomi di coloro che collaboreranno nel servizio alle mense, i primi sette diaconi, devono venire da una proposta che scaturisca dalla base. Così vogliono gli apostoli e questo dovrebbe essere lo stile per tutti i tempi. Sentite: "Fratelli, cercate fra voi sette uomini di buona reputazione, pieni di Spirito e di sapienza, ai quali affideremo questo incarico". Piacque questa proposta, ne scelsero sette. Su di loro imposero le mani. Questo lo stile: attingere idee da tutti, scegliere con tutti. Così anche in questa nostra stagione, all'affaccio di nuovi problemi. Un mio caro amico, prete, scrittore, un artista, don Marco Campedelli, così invita: "Essere pastori delle idee: tirarle fuori dai piccoli recinti, dove manca l'aria, la prospettiva, l'orizzonte. Spesso sono le idee senza spessore, senza immaginazione che creano un mondo disumano. Pensare da pastori e non da mercenari. Pensare avendo sempre davanti gli occhi degli altri, non la roba".

Il pastore bello aveva sempre davanti gli occhi degli altri.

 

Lettura degli Atti degli Apostoli - At 6, 1-7

In quei giorni, aumentando il numero dei discepoli, quelli di lingua greca mormorarono contro quelli di lingua ebraica perché, nell'assistenza quotidiana, venivano trascurate le loro vedove. Allora i Dodici convocarono il gruppo dei discepoli e dissero: "Non è giusto che noi lasciamo da parte la parola di Dio per servire alle mense. Dunque, fratelli, cercate fra voi sette uomini di buona reputazione, pieni di Spirito e di sapienza, ai quali affideremo questo incarico. Noi, invece, ci dedicheremo alla preghiera e al servizio della Parola". Piacque questa proposta a tutto il gruppo e scelsero Stefano, uomo pieno di fede e di Spirito Santo, Filippo, Pròcoro, Nicànore, Timone, Parmenàs e Nicola, un prosèlito di Antiòchia. Li presentarono agli apostoli e, dopo aver pregato, imposero loro le mani. E la parola di Dio si diffondeva e il numero dei discepoli a Gerusalemme si moltiplicava grandemente; anche una grande moltitudine di sacerdoti aderiva alla fede.

Sal 134 (135)

Benedite il Signore, voi tutti suoi servi. Oppure: Alleluia, alleluia, alleluia. Lodate il nome del Signore, lodatelo, servi del Signore, voi che state nella casa del Signore, negli atri della casa del nostro Dio. Il Signore si è scelto Giacobbe, Israele come sua proprietà. R Lodate il Signore, perché il Signore è buono; cantate inni al suo nome, perché è amabile. Signore, il tuo nome è per sempre; Signore, il tuo ricordo di generazione in generazione. Sì, il Signore fa giustizia al suo popolo e dei suoi servi ha compassione. R Benedici il Signore, casa d'Israele; benedici il Signore, casa di Aronne; benedici il Signore, casa di Levi; voi che temete il Signore, benedite il Signore. Da Sion, benedetto il Signore, che abita in Gerusalemme!

Lettera di san Paolo apostolo ai Romani - Rm 10,11-15

Fratelli, dice la Scrittura: "Chiunque crede in lui non sarà deluso". Poiché non c'è distinzione fra Giudeo e Greco, dato che lui stesso è il Signore di tutti, ricco verso tutti quelli che lo invocano. Infatti: "Chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato". Ora, come invocheranno colui nel quale non hanno creduto? Come crederanno in colui del quale non hanno sentito parlare? Come ne sentiranno parlare senza qualcuno che lo annunci? E come lo annunceranno, se non sono stati inviati? Come sta scritto: "Quanto sono belli i piedi di coloro che recano un lieto annuncio di bene!".

Lettura del Vangelo secondo Giovanni - Gv 10,11-18

In quel tempo. Il Signore Gesù disse ai farisei: "Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario - che non è pastore e al quale le pecore non appartengono - vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore. Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore. Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio".

 

 


 
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