la parola della domenica

 

Anno liturgico A
omelia di don Angelo nella quarta Domenica di Quaresima
secondo il rito ambrosiano


26 marzo 2017



 

 

Es 34,27-35,1
Sal 35
2Cor 3,7-18
Gv 9,1-38b

Penso al cieco e al miracolo della luce. Forse solo un cieco può misurarlo. Lui era cieco dalla nascita. Per lui non si erano avverate le parole che ci vengono spontanee quando nasce un cucciolo d'uomo. Diciamo: "È venuto alla luce…". Lui era uscito, ma non era venuto alla luce: in qualche misura non era mai nato. Penso al cieco che, su comando di Gesù, si incammina verso la piscina di Siloe, con gli occhi impiastricciati di fango.

A guidarlo - penso - il suo bastone, bastone da cieco, ma ancor più - penso - quella spinta che sentiva pulsare nel cuore. Mi sono chiesto da dove gli venisse quella spinta. Da parole - immagino - e da mani. Dalle parole che aveva ascoltato, impigliate ancora nell'aria. E non quelle, certo, dei discepoli che discutevano di peccato. Impariamolo: non sono mai le parole di condanna quelle che ci possono mettere in cammino, né possono mettere in cammino altri.

Forse era stato il timbro delle parole del rabbi di Nazaret. Loro, i ciechi, il timbro della parole è come se lo toccassero, come ne sentissero la musica. E poi le mani, il tocco delle mani, come gli aveva plasmato il fango sugli occhi, la musica delle sue mani. I ciechi conoscono la musica delle mani. Le parole di Gesù, dal silenzio dei suoi occhi, lo avevano fatto come respirare, respirare a pieni polmoni. Diceva che né lui né i suoi genitori avevano peccato perché fosse nato cieco…".

Capovolgeva secoli di insegnamenti religiosi, capovolgeva l'immagine di Dio, del Dio punitore. E poi, per uno, come lui, in sete di luce, quelle parole così assolute, ma anche così intriganti: "Io sono la Luce". E le mani sui suoi occhi, che trasmettevano come fremiti di luce, di tenerezza. Parole e mani gli diedero fiducia. E anche questo è insegnamento per noi: starei per dirvi che parole, cui non seguono mani, non danno fiducia E spesso ne diciamo. Andò alla piscina. Si lavò gli occhi, ci vide. Si era affidato. E non sapeva ancora che faccia avesse.

A dire il vero chi fosse colui che stava dietro quelle parole e quelle mani lo avrebbe intuito a poco a poco. Poi lo avrebbe anche incontrato, Lo aveva intuito - pensate, è paradossale ma è contenuto nel racconto - lo aveva intuito proprio in uno scontro con gli uomini della legge e della religione. Non è forse paradossale che Dio lo si possa anche intravedere - me lo chiedevo - scontrandosi con gli uomini della religione? Tutto quel loro sproloquiare contro il profeta di Nazaret, in lui aveva proprio ottenuto l'effetto opposto, era come se per assurdo con quel loro irato parlare gli avessero aperto gli occhi. E non gli facevano nemmeno più paura. Alzassero pure la voce per intimorirlo.

Attenti a quando alziamo la voce, quasi sempre è il tentativo ingenuo di coprire la debolezza della fede e della ragione, delle ragioni. Lui, per quella luce che cominciava a inondarlo dentro, lui, non poteva credere che la religione fosse un fatto di osservanze e di castighi e che se uno avesse aperto gli occhi di un cieco, in giorno di sabato, fosse un peccatore. Disse con forza che quello era un profeta e, con altrettanta forza, aggiunse che uno così, uno che apriva gli occhi a un cieco non poteva che venire da Dio.

Dio apre gli occhi dei ciechi, questa è la buona notizia. Ti invade la sua luce, questa è la buona notizia del vangelo. Nel racconto è come se vedessimo il volto del cieco diventare sempre più luminoso e, in contemporanea, come se vedessimo abbuiarsi, sempre più abbuiarsi, gli occhi dei suoi accusatori. E la domanda viene spontanea: che cosa apre e che cosa chiude gli occhi? E come sono i miei occhi? Apre gli occhi la fiducia in Gesù.

Ne parlavamo, la fiducia nelle sue parole, una vita che dia credito alle sue parole. Andare dove ci portano le sue parole. Ci chiude l'adorazione di noi stessi, l'adorazione dei nostri schemi mentali, delle nostre meschine vedute, dei nostri imprigionamenti di Dio e dell'altro, il pregiudizio che non ti lascia vedere, non ti lascia ascoltare, ti tiene serrato dentro. E può capitare - dice il vangelo d'oggi - anche tra i gestori del tempio.

Non so se avete pensato al dono iscritto - vorrei dire per natura - nei nostri occhi. Con i nostri occhi noi andiamo fuori, sono occhi di uscita, sono occhi di esodo, diventiamo esploratori del mondo. E' un miracolo iscritto in noi fin dall'inizio. E penso agli occhi dei bambini, rivedo i loro occhi, curiosi di tutto, curiosi del mondo. E mi chiedo come mai poi per disavventura i nostri occhi si chiudano e quali siano le cause di questo ottenebramento. Andrebbero indagate una per una, malattie degli occhi, un contromiracolo.

A velare i nostri occhi, come per cataratta pesante, l'arroganza, la superficialità, l'indifferenza, il delirio del proprio io, la durezza del cuore. Tutto ciò fa scomparire, dai visi e dalla vita, la luminosità, spengono il volto. Possiamo poi mettere tutti i veli possibili - come dice di Mosè con un po' di ironia san Paolo - per far credere che sotto il velo i nostri volti siano luminosi, ma il gioco non regge: un istinto coglie la presenza o l'assenza di un riverbero negli occhi, nel viso, nella vita. Quando passa il vangelo invece passa la luce, si ridesta la fiducia. E si dice grazie.

Penso al passaggio di Papa Francesco, passaggio di vangelo. E mi tornano al cuore le parole di un poeta inglese: "Grazie a voi che ci proponete il Vangelo come una notizia che rende felici, come una Parola che rimette in cammino, come uno slancio che, ogni giorno, dona ad ognuno una nuova possibilità. Grazie a voi che testimoniate la fede nella semplicità del vostro esistere. A voi poveri del mondo che conoscete i segreti dell'umanità. A voi credenti che diffondete la luce in ogni angolo della vita senza fare propaganda. A Gesù che è il volto più grande dell'uomo il volto più vicino a Dio". (da "Sorgenti trascurate" di Charles Singer )

 

Lettura del libro dell'Esodo 34, 27 - 35, 1

In quei giorni. Il Signore disse a Mosè: "Scrivi queste parole, perché sulla base di queste parole io ho stabilito un'alleanza con te e con Israele". Mosè rimase con il Signore quaranta giorni e quaranta notti, senza mangiar pane e senza bere acqua. Egli scrisse sulle tavole le parole dell'alleanza, le dieci parole. Quando Mosè scese dal monte Sinai - le due tavole della Testimonianza si trovavano nelle mani di Mosè mentre egli scendeva dal monte - non sapeva che la pelle del suo viso era diventata raggiante, poiché aveva conversato con lui. Ma Aronne e tutti gli Israeliti, vedendo che la pelle del suo viso era raggiante, ebbero timore di avvicinarsi a lui. Mosè allora li chiamò, e Aronne, con tutti i capi della comunità, tornò da lui. Mosè parlò a loro. Si avvicinarono dopo di loro tutti gli Israeliti ed egli ingiunse loro ciò che il Signore gli aveva ordinato sul monte Sinai. Quando Mosè ebbe finito di parlare a loro, si pose un velo sul viso. Quando entrava davanti al Signore per parlare con lui, Mosè si toglieva il velo, fin quando non fosse uscito. Una volta uscito, riferiva agli Israeliti ciò che gli era stato ordinato. Gli Israeliti, guardando in faccia Mosè, vedevano che la pelle del suo viso era raggiante. Poi egli si rimetteva il velo sul viso, fin quando non fosse di nuovo entrato a parlare con il Signore. Mosè radunò tutta la comunità degli Israeliti e disse loro: "Queste sono le cose che il Signore ha comandato di fare".

Sal 35 (36)

® Signore, nella tua luce vediamo la luce. Signore, il tuo amore è nel cielo, la tua fedeltà fino alle nubi, la tua giustizia è come le più alte montagne, il tuo giudizio come l'abisso profondo: uomini e bestie tu salvi, Signore.® Quanto è prezioso il tuo amore, o Dio! Si rifugiano gli uomini all'ombra delle tue ali, si saziano dell'abbondanza della tua casa: tu li disseti al torrente delle tue delizie. ® È in te la sorgente della vita, alla tua luce vediamo la luce. Riversa il tuo amore su chi ti riconosce, la tua giustizia sui retti di cuore.® Seconda lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi 3, 7-18 Fratelli, se il ministero della morte, inciso in lettere su pietre, fu avvolto di gloria al punto che i figli d'Israele non potevano fissare il volto di Mosè a causa dello splendore effimero del suo volto, quanto più sarà glorioso il ministero dello Spirito? Se già il ministero che porta alla condanna fu glorioso, molto di più abbonda di gloria il ministero che porta alla giustizia. Anzi, ciò che fu glorioso sotto quell'aspetto, non lo è più, a causa di questa gloria incomparabile. Se dunque ciò che era effimero fu glorioso, molto più lo sarà ciò che è duraturo. Forti di tale speranza, ci comportiamo con molta franchezza e non facciamo come Mosè che poneva un velo sul suo volto, perché i figli d'Israele non vedessero la fine di ciò che era solo effimero. Ma le loro menti furono indurite; infatti fino ad oggi quel medesimo velo rimane, non rimosso, quando si legge l'Antico Testamento, perché è in Cristo che esso viene eliminato. Fino ad oggi, quando si legge Mosè, un velo è steso sul loro cuore; "ma quando vi sarà la conversione al Signore, il velo sarà tolto". Il Signore è lo Spirito e, dove c'è lo Spirito del Signore, c'è libertà. E noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l'azione dello Spirito del Signore.

 

Lettura del Vangelo secondo Giovanni 9, 1-38b

In quel tempo. Passando, il Signore Gesù vide un uomo cieco dalla nascita e i suoi discepoli lo interrogarono: "Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?". Rispose Gesù: "Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio. Bisogna che noi compiamo le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può agire. Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo". Detto questo, sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco e gli disse: "Va' a lavarti nella piscina di Sìloe" - che significa Inviato. Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva. Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, perché era un mendicante, dicevano: "Non è lui quello che stava seduto a chiedere l'elemosina?". Alcuni dicevano: "È lui"; altri dicevano: "No, ma è uno che gli assomiglia". Ed egli diceva: "Sono io!". Allora gli domandarono: "In che modo ti sono stati aperti gli occhi?". Egli rispose: "L'uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango, mi ha spalmato gli occhi e mi ha detto: "Va' a Sìloe e làvati!". Io sono andato, mi sono lavato e ho acquistato la vista". Gli dissero: "Dov'è costui?". Rispose: "Non lo so". Condussero dai farisei quello che era stato cieco: era un sabato, il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi. Anche i farisei dunque gli chiesero di nuovo come aveva acquistato la vista. Ed egli disse loro: "Mi ha messo del fango sugli occhi, mi sono lavato e ci vedo". Allora alcuni dei farisei dicevano: "Quest'uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato". Altri invece dicevano: "Come può un peccatore compiere segni di questo genere?". E c'era dissenso tra loro. Allora dissero di nuovo al cieco: "Tu, che cosa dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?". Egli rispose: "È un profeta!". Ma i Giudei non credettero di lui che fosse stato cieco e che avesse acquistato la vista, finché non chiamarono i genitori di colui che aveva ricuperato la vista. E li interrogarono: "È questo il vostro figlio, che voi dite essere nato cieco? Come mai ora ci vede?". I genitori di lui risposero: "Sappiamo che questo è nostro figlio e che è nato cieco; ma come ora ci veda non lo sappiamo, e chi gli abbia aperto gli occhi, noi non lo sappiamo. Chiedetelo a lui: ha l'età, parlerà lui di sé". Questo dissero i suoi genitori, perché avevano paura dei Giudei; infatti i Giudei avevano già stabilito che, se uno lo avesse riconosciuto come il Cristo, venisse espulso dalla sinagoga. Per questo i suoi genitori dissero: "Ha l'età: chiedetelo a lui!". Allora chiamarono di nuovo l'uomo che era stato cieco e gli dissero: "Da' gloria a Dio! Noi sappiamo che quest'uomo è un peccatore". Quello rispose: "Se sia un peccatore, non lo so. Una cosa io so: ero cieco e ora ci vedo". Allora gli dissero: "Che cosa ti ha fatto? Come ti ha aperto gli occhi?". Rispose loro: "Ve l'ho già detto e non avete ascoltato; perché volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche voi suoi discepoli?". Lo insultarono e dissero: "Suo discepolo sei tu! Noi siamo discepoli di Mosè! Noi sappiamo che a Mosè ha parlato Dio; ma costui non sappiamo di dove sia". Rispose loro quell'uomo: "Proprio questo stupisce: che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi. Sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma che, se uno onora Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta. Da che mondo è mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla". Gli replicarono: "Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi?". E lo cacciarono fuori. Gesù seppe che l'avevano cacciato fuori; quando lo trovò, gli disse: "Tu, credi nel Figlio dell'uomo?". Egli rispose: "E chi è, Signore, perché io creda in lui?". Gli disse Gesù: "Lo hai visto: è colui che parla con te". Ed egli disse: "Credo, Signore!".

 

 


 
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