la parola della domenica

 

Anno liturgico C
omelia di don Angelo nella terza Domenica dopo Pentecoste
secondo il rito ambrosiano


5 giugno 2016



 

 

Gen 3,1-20
Sal 129
Rm 5,18-21
Mt 1-20b-24b

Sarebbe una pretesa ingenua - e voi mi capite - quella di commentare il racconto della Genesi nel breve spazio di un'omelia. Forse possiamo solo raccogliere alcune suggestioni da un brano che fondamentalmente ha un significato sapienziale. Per alla fine, se ci riesce, tentare un collegamento con il brano del vangelo di Matteo.

Dopo le pagine della creazione in cui respira l'armonia e la bellezza - "E Dio vide che era cosa bella. E Dio vide che era cosa molto bella" - ecco una pagina che ci affatica, anche nella lettura. Soprattutto nella lettura della vita, della storia di noi umani. E' come se percepissimo che, accanto a una bellezza che non possiamo dimenticare, respira nella storia anche una minaccia, una minaccia all'armonia, alla bellezza.

Una possibilità anche concreta di perdersi, dico di perdersi in umanità: "Dove sei?" chiede Dio all'adam, a colui che, come dice il nome, è fatto di terra. E non è proprio questa la sensazione che a volte proviamo? Di non spere più dove siamo o dove andiamo. Di accorgerci di essere come nudi, spogliati, spogliati di dignità, e In esibizione del vuoto, luccicante, ma vuoto. C'è la bellezza, ma c'è anche un attentato alla bellezza.

Si può passare dall'armonia alla disarmonia. Il passaggio può avere molte cause. Una vorrei sottolineare - non so se è la più importante, ma mi sembra attraversi come un male tutto il racconto - la chiamo "diffidenza". A cominciare dalla diffidenza nei confronti di Dio. Il serpente, astuto, la semina abilmente nel cuore del terrestre e di Eva. Dio aveva dato loro tutti gli alberi della terra, ma il serpente, dietro il divieto dell'albero della vita, semina il sospetto di un Dio dei divieti, di un Dio concorrente dell'uomo, di un Dio geloso della felicità degli umani, preoccupato che essi stiano a distanza.

Il serpente ha sfigurato Dio. E la sfigurazione - lasciatemi dire - non è del tutto finita. Non permane ancora oggi, in qualche misura, l'immagine del Dio dei divieti, di un Dio padrone che quasi ti fa sentire in colpa se sei felice? E da diffidenza, nasce diffidenza: quella dell'uomo nei confronti della donna, quella della donna nei confronti dell'uomo, quella della natura nei confronti degli umani. Non si aprono per fiducia finestre, non si aprono porte, si ergono muri. Non ci si concede, ci si rifiuta.

Come Dio anche l'altro cambia immagine agli occhi: l'altro è un concorrente, uno che ti ruba spazio, uno che ti domina per un suo, più o meno nascosto, interesse. Un mondo spogliato dalla diffidenza. Un mondo - vorrei aggiungere di striscio - segnato dalla irresponsabilità, perché la colpa è sempre degli altri: "la donna che tu mi hai posto accanto", "il serpente", e così via. Nessuno che si assuma più la sua responsabilità!

Quanta verità sulla vita è nascosta in questa pagina della Genesi! Dove però accade l'inimmaginabile. Su cui troppo raramente sostiamo e che, in verità -oserei dire - è il cuore del racconto. Perché - vedete - Dio aveva detto: "Se mangerete… morirete". E qui a che cosa assistiamo? Che Adamo ed Eva non muoiono! Come se alla fine Dio facesse prevalere la sua misericordia.

E, infatti, dopo aver letto - direi a fatica e un po' con sgomento - tutte le maledizioni, ecco sbucare, alla fine del racconto, una frase che getta tutta un'altra luce. Fossimo capaci anche noi, alla fine di tante maledizioni, spostare di trecentosessanta gradi la visione! Come accade nel racconto. Saremmo dei grandi! Ecco le parole: "L'uomo chiamò sua moglie Eva, perché fu la madre di tutti i viventi". Ma non c'era una promessa di morte? E chi gliel'ha dato, ad Adamo, questo sussulto, questa sfida di vita, dopo tante troppe immagini di morte?

Lasciate che io pensi che quel sussulto quella sfida, ad Adamo siano venute da Dio. Voi sapete che a quei tempi ai nomi si dava un significato importante e Adamo, dopo una giornata come quella, alla sua donna diede un nome che ha in sé la radice della vita: "Sarai sorgente di vita". "E il Signore Dio - versetto tralasciato dalla nostra lettura liturgica, e non mi spiego perché: troppo tenero? - il Signore Dio fece all'uomo e alla sua moglie tuniche di pelli e li vestì". Dalla diffidenza alla fiducia. Si ricomincia a vivere.

La storia della salvezza conosce armonie e disarmonie; ma la bellezza ricomincia a germogliare quando alla diffidenza subentra la fiducia, In questa luce - perdonate l'accostamento - vorrei rileggere il racconto di Matteo. Che svela in tutta la sua limpidezza la grandezza d'animo di Giuseppe. Che non sempre ha avuto un buon riconoscimento nella nostra predicazione fino ad assumere troppo spesso una tonalità scialba, quasi irrilevante.

Giuseppe si trova davanti un problema. E non di poco conto. Uno di quegli eventi che bastano da soli a destabilizzare una vita: Maria aspetta un bambino, non è il suo! Immaginate i pensieri che invadono il suo animo. Il testo del vangelo li ricorda. È la nostra lettura liturgica che li ha dimenticati. Sta scritto: "Giuseppe, suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto".

Era stato per lui come un fulmine a ciel sereno. Uno diverso da lui, uno di noi, si sarebbe lasciato portare lontano, molto lontano, da sentimenti di diffidenza. Forse era la cosa più facile. E invece no. Era come se Maria non avesse perso stima ai suoi occhi, tantomeno amore. Non capiva, ma una cosa capiva che la diffidenza non lo avrebbe portato da nessuna parte.

E lo prende un senso di protezione, la vorrebbe proteggere dal giudizio, dalla maldicenza della gente. C'è un avverbio nel testo che dice il cuore di Giuseppe. Non vuole processi, non vuole denunce legali. La decisione sarà "in segreto" - "in segreto", così è scritto - nella discrezione più assoluta. Sì, poi verrà l'intreccio del sogno nella notte, verrà in soccorso il sogno come indicazione sicura cui abbandonarsi, parola di Dio cui affidarsi.

Ma - mi dicevo - che bello pensare che, già prima del sogno, Giuseppe avesse sfidato quella situazione con un atto di fiducia. Sarà proprio lui, Giuseppe, a dare al bambino il nome di Gesù, il salvatore. Salvatore - potremmo dire - anche dal male della diffidenza.

Si ricominciava a vivere. Nel segno della fiducia.

 

 


 
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