la parola della domenica

 

Anno liturgico A
omelia di don Angelo nella terza Domenica dopo Pentecoste
secondo il rito ambrosiano


25 giugno 2017



 

 

Gen 2,4b-17
Sal 103
Rm 5,12-17
Gv 3,16-21

Ancora una volta una sosta a queste parole, ancora una volta un indugio. Non finire di sostare, di indugiare alle parole. Le parole sono a conclusione - ma io oserei dire, sono a prolungamento al'infinito - del dialogo nella notte tra Gesù e Nicodemo. Chissà quante volte abbiamo letto le parole, ed ecco ancora una volta ci fermiamo. incantati e sorpresi, oserei dire, commossi dalla bellezza: "Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito". Il suo unico. Per il mondo. Ha amato il mondo.

E quando diciamo "mondo" guardiamoci bene dalle astrazioni, come se mondo fosse una parola pallida e vaga. No, ha amato e ama il mondo così com'è, così come lo conosciamo, fatto da noi, il mondo con le sue bellezze, ma anche con le sue disumanità, con le sue oasi di serenità ma anche con le sue aspre conflittualità, con le sue sincerità ma anche con le sue contraddizioni, con creature - e siamo noi - capaci del meglio, ma anche capaci del peggio, con bellezze della natura mozzafiato ma anche con squarci e ferite della natura drammatiche.

E io lo amo? Il mondo? Così com'è? Un amore, quello di Dio, per il mondo, che viene - lasciatemi dire - da lontano. Lo pensavo rileggendo la pagina della creazione che oggi abbiamo ascoltato: appartiene al secondo racconto della creazione, un racconto - e lo abbiamo intravisto - fatto di immagini, di colori, nello stile di una poesia antica, con sconfinamenti nel mito, ma non per questo privo di significati, di svelamenti, di suggestioni. Ed ecco, nel racconto, la terra. Nella sua quasi totalità arida, nessun cespuglio, nessuna erba. Quasi in attesa dell'acqua e dell'uomo.

E poi la meraviglia di una polla d'acqua che fuoriesce dalla terra. E nel racconto - perdonate l'impertinenza - sembra quasi che di acqua abbia bisogno anche Dio, per plasmare l'uomo con polvere dal suolo. Ed ecco Dio pianta un giardino per l'uomo. Che bello - mi dicevo - pensare a Dio come a uno che pianta giardini. Pianta giardini e pianta alberi. Ebbene, se vuoi dire il futuro, pianta un albero. O genera un cucciolo d'uomo. Mi ritornano, alla mente e al cuore, alcune parole luminose di Danilo Dolci, sociologo, educatore, poeta morto sul finire del secolo scorso.

Scriveva: "Chi guarda avanti dieci anni pianta alberi, chi guarda avanti cento anni pianta uomini, e chi guarda avanti solo dieci minuti pianta grane". Forse è anche per questo che in certe occasioni sembra di assistere a una società - talvolta a una chiesa - contagiate e anche intristite da piantagrane. Perché? Perché guardiamo avanti solo dieci minuti. Ritornando al testo delle Genesi potremmo dire che Dio spalanca il futuro piantando alberi e piantando l'uomo. Gli sta a cuore il giardino, simbolo di crescite e di bellezza.

Ma vorrei far notare che il giardino non è già bell'e fatto, non è un dato concluso: anche la creazione non è un atto concluso, è un atto in divenire. Il racconto vuole mettere in evidenza il ruolo di noi umani. E' scritto: "Il Signore Dio, prese l'uomo e lo pose nel giardino di Eden perché lo coltivasse e lo custodisse". Amare il mondo, amare la terra, come fa. Dio, significa fare nostri questi due verbi, che suonano come una consegna. La consegna per il giardino: "… perché lo coltivasse e lo custodisse". Coltivare e custodire.

Nella lettera enciclica "Laudato si'", sulla cura della casa comune, Papa Francesco riprende i due verbi del nostro testo e scrive: "Mentre "coltivare" significa arare o lavorare un terreno, "custodire" vuol dire proteggere, curare, preservare, conservare, vigilare. Ciò implica una relazione di reciprocità responsabile tra essere umano e natura.

Ogni comunità può prendere dalla bontà della terra ciò di cui ha bisogno per la propria sopravvivenza, ma ha anche il dovere di tutelarla e garantire la continuità della sua fertilità per le generazioni future. In definitiva, "del Signore è la terra" (Sal 24,1), a Lui appartiene "la terra e quanto essa contiene" (Dt 10,14). Perciò Dio nega ogni pretesa di proprietà assoluta: "Le terre non si potranno vendere per sempre, perché la terra è mia e voi siete presso di me come forestieri e ospiti" "(Lv 25,23) ( n.67).

Penso alle generazioni future, e vado sognando donne e uomini che piantino, guardando avanti cento anni! C'è un divieto nel giardino: "Dell'albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare". Potremmo dire: guardati da un atteggiamento dispotico, dall'atteggiamento di chi ha la pretesa di essere il metro di tutto. E' un divieto a salvaguardia del giardino: più diventiamo dispotici, più siamo di quelli che sanno tutto e possono tutto… e più diventiamo la rovina del giardino, della terra e dell'umanità.

La terra, il mondo non sono da asservire o da sfruttare o da scartare, sono da amare. Dio, mandandoci il suo Figlio, ci ha raccontato l'amore per il mondo, per la terra. Gesù, non per giudicare il mondo, è venuto! Ma "perché il mondo sia salvato per mezzo di lui". Con lui, dice Giovanni, "la luce è venuta nel mondo".

La luce - capite -. Importante la luce! Potremmo dire che rimanendo nella sua luce, camminando nella via che lui ci ha aperto, facciamo la fortuna del giardino, della terra e dell'umanità. Perché lui ci ha insegnato non solo ad amare, ma come amare, come amare la terra e l'umanità. Quando noi ci neghiamo alla luce, alla luce che filtra dalla sua parola e dalla nostra coscienza, ci condanniamo con le nostre stesse mani, condanniamo noi stessi e il giardino. E come se volessimo costringere erba, cespugli, fiori e piante nel buio di una stanza senza finestre.

Dove non filtra luce ci si intristisce: Intristisce il giardino, intristiamo noi. Oggi ci è stato raccontato l'amore di Dio per il mondo, per la terra, per l'umanità. Possa la vita, la nostra vita, raccontare il nostro amore, la nostra cura, la nostra custodia. Per questo mondo, per questa nostra terra, per questa nostra umanità.

 

 

Lettura del libro della Genesi 2, 4b-17

Nel giorno in cui il Signore Dio fece la terra e il cielo nessun cespuglio campestre era sulla terra, nessuna erba campestre era spuntata, perché il Signore Dio non aveva fatto piovere sulla terra e non c'era uomo che lavorasse il suolo, ma una polla d'acqua sgorgava dalla terra e irrigava tutto il suolo. Allora il Signore Dio plasmò l'uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l'uomo divenne un essere vivente. Poi il Signore Dio piantò un giardino in Eden, a oriente, e vi collocò l'uomo che aveva plasmato. Il Signore Dio fece germogliare dal suolo ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare, e l'albero della vita in mezzo al giardino e l'albero della conoscenza del bene e del male. Un fiume usciva da Eden per irrigare il giardino, poi di lì si divideva e formava quattro corsi. Il primo fiume si chiama Pison: esso scorre attorno a tutta la regione di Avìla, dove si trova l'oro e l'oro di quella regione è fino; vi si trova pure la resina odorosa e la pietra d'ònice. Il secondo fiume si chiama Ghicon: esso scorre attorno a tutta la regione d'Etiopia. Il terzo fiume si chiama Tigri: esso scorre a oriente di Assur. Il quarto fiume è l'Eufrate. Il Signore Dio prese l'uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse. Il Signore Dio diede questo comando all'uomo: "Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dell'albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, nel giorno in cui tu ne mangerai, certamente dovrai morire".

Sal 103 (104)

® Benedetto il Signore che dona la vita. Quante sono le tue opere, Signore! Le hai fatte tutte con saggezza; la terra è piena delle tue creature. ® Tutti da te aspettano che tu dia loro il cibo a tempo opportuno. Tu lo provvedi, essi lo raccolgono; apri la tua mano, si saziano di beni. ® Nascondi il tuo volto: li assale il terrore; togli loro il respiro: muoiono, e ritornano nella loro polvere. Mandi il tuo spirito, sono creati, e rinnovi la faccia della terra. ®

Lettera di san Paolo apostolo ai Romani 5, 12-17

Fratelli, come a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e, con il peccato, la morte, e così in tutti gli uomini si è propagata la morte, poiché tutti hanno peccato… Fino alla Legge infatti c'era il peccato nel mondo e, anche se il peccato non può essere imputato quando manca la Legge, la morte regnò da Adamo fino a Mosè anche su quelli che non avevano peccato a somiglianza della trasgressione di Adamo, il quale è figura di colui che doveva venire. Ma il dono di grazia non è come la caduta: se infatti per la caduta di uno solo tutti morirono, molto di più la grazia di Dio e il dono concesso in grazia del solo uomo Gesù Cristo si sono riversati in abbondanza su tutti. E nel caso del dono non è come nel caso di quel solo che ha peccato: il giudizio infatti viene da uno solo, ed è per la condanna, il dono di grazia invece da molte cadute, ed è per la giustificazione. Infatti se per la caduta di uno solo la morte ha regnato a causa di quel solo uomo, molto di più quelli che ricevono l'abbondanza della grazia e del dono della giustizia regneranno nella vita per mezzo del solo Gesù Cristo.

Lettura del Vangelo secondo Giovanni 3, 16-21

In quel tempo. Il Signore Gesù disse a Nicodèmo: "Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell'unigenito Figlio di Dio. E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio".

 

 


 
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