la parola della domenica
Anno
liturgico C
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1Re
21, 1-19 La parabola è nota. Abbiamo persino dato al ricco un nome, che non ha nel testo: epulone. E' un segno, e non da poco, il fatto che nella parabola il ricco non abbia un nome; mentre ha un nome il povero: Lazzaro. Nomi veri e nomi fasulli, penso a tanti nostri titoli, a ubriacature di nomi. Se non hai umanità, non hai un nome. Anche se lo scrivessero dappertutto. Un giorno Gesù parlò di nomi scritti nel cielo: quello di Lazzaro lo è, non quello del ricco. Ne parlò rivolgendosi ai settantadue discepoli che erano rientrati dalla loro prima missione, entusiasti perché persino ì demoni si sottomettevano al loro potere. Gesù sembrò gelare quell'eccesso di entusiasmo: "Non rallegratevi" disse "perché i demoni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli" (Lc 10, 20). Ho divagato, ma mi intrigava il "senza nome". E, contemporaneamente la domanda: "Io dove vorrei fosse scritto il mio nome?". Forse dovrei rispondere a un'altra domanda: "Io chi servo? E a chi sono affezionato?". E uso intenzionalmente l'espressione "sono affezionato", perché l'ho trovata sulle labbra di Gesù poco prima della parabola. Sentite: "Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l'uno e amerà l'altro, oppure si affezionerà all'uno e disprezzerà l'altro. Non potete servire Dio e la ricchezza". I farisei, che erano attaccati al denaro, ascoltavano tutte queste cose e si facevano beffe di lui. Egli disse loro: "Voi siete quelli che si ritengono giusti davanti agli uomini, ma Dio conosce i vostri cuori: ciò che fra gli uomini viene esaltato, davanti a Dio è cosa abominevole". Se servi la ricchezza, se le sei affezionato, scordati di dire che sei credente, scordati di dire che tu servi Dio o gli sei affezionato: "O Dio o la ricchezza". C'è un abisso, un abisso nel modo di pensare, di scegliere, di agire. Che si riflette poi nei cieli. Lo ricorda Abramo al ricco: "Tra noi e voi è stato fissato un grande abisso". L'abisso comincia dalla terra, e i particolari sono di Gesù - a volte lo dimentichiamo - che si guarda bene dall'edulcorare la situazione: il ricco vestito di abiti di porpora e di bisso, Lazzaro vestito di piaghe; il primo con i suoi lauti banchetti, l'altro affamato di briciole da tavola, riconosciuto dai cani - lo dice Gesù che non è un agitatore allucinato - loro a leccargli le piaghe! Leggiamo la parabola, e ci indigniamo con il ricco, con la sua indifferenza. Perché questo è il problema: l'indifferenza. Ma poi, se resistiamo a coloro che hanno mezzi a non finire per turlupinarci, se stiamo ai numeri che fotografano la realtà, e non alle chiacchiere o agli slogan, una domanda ci passa nel cuore: "E' cambiato qualcosa?". Dopo la parabola? Non dico che non sia cambiato nulla. Ma circa le disuguaglianze e la divaricazione? Circa l'indifferenza? Dopo tutto il ricco concedeva a Lazzaro di sostare alla sua porta. E noi? Alcuni giorni fa un'amica teologa, biblista, Rosanna Virgili, ricordava con parole luminose le tradizioni di ospitalità della sua terra marchigiana, per poi raccontarci la sua tristezza e il suo sgomento: "Un uomo bianco che lavora in città, uccide, soffocandolo, un ambulante nero e disarmato su un marciapiede di Civitanova dinanzi all'impotenza (?) dei passanti, dentro le immagini dei loro cellulari, unici strumenti 'attivi' mentre si consumava un omicidio frutto di follia e di indifferenza". "Sciagurata smemoratezza" - scrive - "di quell'humus di umanità e civiltà che le Marche hanno veicolato per secoli. Ma c'è, forse, un tarlo ancor più pericoloso che rode, oggi, anche la terra marchigiana: l'indifferenza, lo stare a guardare. Che è ciò che ha colpito di più la pubblica opinione, sentendo la cronaca dell'inumano delitto di Civitanova. Ha detto molto bene don Luigi Ciotti: "Il male non è solo di chi lo commette, ma anche di chi guarda e lascia fare oppure volge lo sguardo altrove"". Non è forse vero che la parabola assume oggi dettagli ancor più inquietanti? I poveri cristi rimossi dalla prossimità delle case, se possibile dalle strade, a volte massacrati. E, rimosso il vangelo, rimosse le parole dei Padri, si difende un altro ordine. Ordine? Ebbene ora vorrei ricordarvi che cosa d'istinto mi è ritornato alla mente ascoltando oggi il racconto di Acab e Nabot. Connessioni. Erano gli anni del primo dopoguerra e il card. Schuster aveva chiamato a predicare, alla messa domenicale più affollata in Duomo, un giovane frate servita, poeta, dalla voce tonante, David Maria Turoldo. Quella domenica - mi raccontava - avrebbe dovuto commentare la parabola del ricco e prevedeva le reazioni di un certo ceto sociale. Si copiò una pagina di S. Ambrogio a commento del gesto spietato del re Acab e della regina Gezabele, che, pur di strappare a Nabot la vigna del suo cuore, per farne orto del loro giardino, non esitarono a farlo barbaramente lapidare. E sant'Ambrogio a commentare con parole urticanti: "Di Acab non ne è nato uno solo; e ciò che è peggio, Acab nasce ogni giorno e non muore mai a questo mondo. Appena ne scompare uno, ne vengono fuori altri, in gran numero, e sono più quelli che rubano di quelli che accettano di rimetterci. Ma neppure Nabot è l'unico povero che sia stato ucciso; ogni giorno un Nabot è prostrato, ogni giorno un povero viene ucciso". E a seguire, con parole ancora più dure. Padre Turoldo, in verità lesse, senza citare la fonte, ma senza nemmeno aggiungere una virgola. Piovvero le critiche, e le accuse arrivarono in Arcivescovado. Il cardinale Schuster, che amava e stimava Padre David, lo mandò a chiamare. Voleva sapere che cosa mai avesse detto di così dirompente il giovane frate servita. Quando Padre David gli passò il foglio, il Cardinale, che era uomo di monasteri, dove sacra e prolungata è la lettura dei Padri della chiesa, sorrise benevolo e disse: "Ma padre Davide, queste sono parole di Sant'Ambrogio. La prossima volta cita la fonte: dì che le parole sono di Sant'Ambrogio. E nessuno avrà a ridire". Ma forse non basta citare la fonte. Dipende dal cuore di chi ascolta. A chi e a che cosa io sono affezionato? E dove vorrei fosse scritto il mio nome?
Lettura del primo libro dei Re - 1Re 21, 1-19 In quei giorni. Avvenne questo episodio. Nabot di Izreèl possedeva una vigna che era a Izreèl, vicino al palazzo di Acab, re di Samaria. Acab disse a Nabot: "Cedimi la tua vigna; ne farò un orto, perché è confinante con la mia casa. Al suo posto ti darò una vigna migliore di quella, oppure, se preferisci, te la pagherò in denaro al prezzo che vale". Nabot rispose ad Acab: "Mi guardi il Signore dal cederti l'eredità dei miei padri". Acab se ne andò a casa amareggiato e sdegnato per le parole dettegli da Nabot di Izreèl, che aveva affermato: "Non ti cederò l'eredità dei miei padri!". Si coricò sul letto, voltò la faccia da un lato e non mangiò niente. Entrò da lui la moglie Gezabele e gli domandò: "Perché mai il tuo animo è tanto amareggiato e perché non vuoi mangiare?". Le rispose: "Perché ho detto a Nabot di Izreèl: "Cedimi la tua vigna per denaro, o, se preferisci, ti darò un'altra vigna" ed egli mi ha risposto: "Non cederò la mia vigna!"". Allora sua moglie Gezabele gli disse: "Tu eserciti così la potestà regale su Israele? Àlzati, mangia e il tuo cuore gioisca. Te la farò avere io la vigna di Nabot di Izreèl!". Ella scrisse lettere con il nome di Acab, le sigillò con il suo sigillo, quindi le spedì agli anziani e ai notabili della città, che abitavano vicino a Nabot. Nelle lettere scrisse: "Bandite un digiuno e fate sedere Nabot alla testa del popolo. Di fronte a lui fate sedere due uomini perversi, i quali l'accusino: "Hai maledetto Dio e il re!". Quindi conducetelo fuori e lapidatelo ed egli muoia". Gli uomini della città di Nabot, gli anziani e i notabili che abitavano nella sua città, fecero come aveva ordinato loro Gezabele, ossia come era scritto nelle lettere che aveva loro spedito. Bandirono un digiuno e fecero sedere Nabot alla testa del popolo. Giunsero i due uomini perversi, che si sedettero di fronte a lui. Costoro accusarono Nabot davanti al popolo affermando: "Nabot ha maledetto Dio e il re". Lo condussero fuori della città e lo lapidarono ed egli morì. Quindi mandarono a dire a Gezabele: "Nabot è stato lapidato ed è morto". Appena Gezabele sentì che Nabot era stato lapidato ed era morto, disse ad Acab: "Su, prendi possesso della vigna di Nabot di Izreèl, il quale ha rifiutato di dartela in cambio di denaro, perché Nabot non vive più, è morto". Quando sentì che Nabot era morto, Acab si alzò per scendere nella vigna di Nabot di Izreèl a prenderne possesso. Allora la parola del Signore fu rivolta a Elia il Tisbita: "Su, scendi incontro ad Acab, re d'Israele, che abita a Samaria; ecco, è nella vigna di Nabot, ove è sceso a prenderne possesso. Poi parlerai a lui dicendo: "Così dice il Signore: Hai assassinato e ora usurpi!". Gli dirai anche: "Così dice il Signore: Nel luogo ove lambirono il sangue di Nabot, i cani lambiranno anche il tuo sangue"". Sal 5 Ascolta, Signore, il povero che t'invoca. Porgi l'orecchio, Signore, alle mie parole: intendi il mio lamento. Sii attento alla voce del mio grido, o mio re e mio Dio, perché a te, Signore, rivolgo la mia preghiera. R Tu non sei un Dio che gode del male, non è tuo ospite il malvagio; gli stolti non resistono al tuo sguardo. R Tu hai in odio tutti i malfattori, tu distruggi chi dice menzogne. Sanguinari e ingannatori, il Signore li detesta. R Lettera di san Paolo apostolo ai Romani - Rm 12,9-18 Fratelli, la carità non sia ipocrita: detestate il male, attaccatevi al bene; amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda. Non siate pigri nel fare il bene, siate invece ferventi nello spirito; servite il Signore. Siate lieti nella speranza, costanti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera. Condividete le necessità dei santi; siate premurosi nell'ospitalità. Benedite coloro che vi perseguitano, benedite e non maledite. Rallegratevi con quelli che sono nella gioia; piangete con quelli che sono nel pianto. Abbiate i medesimi sentimenti gli uni verso gli altri; non nutrite desideri di grandezza; volgetevi piuttosto a ciò che è umile. Non stimatevi sapienti da voi stessi. Non rendete a nessuno male per male. Cercate di compiere il bene davanti a tutti gli uomini. Se possibile, per quanto dipende da voi, vivete in pace con tutti. Lettura del Vangelo secondo Luca - Lc 16,19-31 In quel tempo. Il Signore Gesù disse: "C'era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe. Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: "Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell'acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma". Ma Abramo rispose: "Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi". E quello replicò: "Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch'essi in questo luogo di tormento". Ma Abramo rispose: "Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro". E lui replicò: "No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno". Abramo rispose: "Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti"".
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