la parola della domenica

 

Anno liturgico A
omelia di don Angelo nella decima Domenica dopo Pentecoste
secondo il rito ambrosiano


9 agosto 2020



 

 

Os 1,9a; 2,7a.b-10.16-18.21-22
Sal 47
1Cor 3,10-17
Mc 12,41-44

 

E' un frammento, questo brano di vangelo di Marco, ma frammento di una tenerezza indimenticabile, una tenerezza d'occhi di Gesù per la donna, povera e vedova, dei due spiccioli. Indimenticabile, da non dimenticare: è Gesù stesso che chiama a puntare gli occhi su di lei, chiama i discepoli, e questa mattina chiama me, chiama noi. Accade, nel tempio, qualcosa di vivo. Di tenero. Passatemi la parola, qualcosa - starei per dire - di insolito. Infatti se leggiamo l'intero capitolo, e quello che lo precede, la donna povera e vedova nel tempio - se me lo consentite - appare un'eccezione.

Tre giorni prima, l'ingresso di Gesù a groppa di asino in Gerusalemme, la sera Gesù entra nel tempio. Uno sguardo e subito esce. L'ora è tarda. Il giorno dopo ci ritorna. Non ce la fa a sopportare. A che cosa hanno ridotto il tempio? Rovescia tavole e sedie di venditori di colombe e cambiavalute. Ed ecco il nostro giorno, terzo giorno. Ed è un assedio. Quasi fosse messo sotto processo da un sant'uffizio. A ondate. Prima sommi sacerdoti, scribi e anziani: a chiedergli chi gli avesse dato l'autorità di fare quello che stava facendo. Fallito il tentativo di catturarlo, gli mandano farisei ed erodiani, nel tentativo di coglierlo in fallo. Non basta, ecco arrivano i sadducei. E infine, isolato, ancora uno scriba.

C'era da non poterne più. Irrespirabile l'aria. Ma che cosa era mai diventato quel tempio? Odorava di occupazione. E' così che gli venne come un'urgenza: mettere in guardia da coloro che si erano impossessati di quel luogo, inaridendo la sorgente. Disse - e sono i versetti che precedono immediatamente i nostri - disse: "Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. Divorano le case delle vedove e ostentano di fare lunghe preghiere; essi riceveranno una condanna più grave".

Uno spettacolo che può riproporsi ai nostri giorni. Forse qualcuno di voi ricorda che anni fa Papa Francesco ravvisava quindici malattie che possono contagiare la chiesa, e, tra queste, ricordava - sono parole sue - "la malattia della rivalità e della vanagloria. Quando l'apparenza, i colori delle vesti e le insegne di onorificenza diventano l'obiettivo primario della vita, dimenticando le parole di San Paolo: "Non fate nulla per rivalità o vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso. Ciascuno non cerchi l'interesse proprio, ma anche quello degli altri" (Fil 2,1-4). È la malattia che ci porta a essere uomini e donne falsi…". Se questo è lo spettacolo che di soppiatto trova spazio nel tempio, il tempio è violato nella sua anima profonda.

Penso che abbiate notato come nella prima lettura, a proposito della costruzione del tempio di Gerusalemme, più volte nel brano, Dio lo evochi come "una casa costruita al mio nome". Guai se al suo nome sostituiamo il nostro nome. Nome dice "presenza di Dio": se lo ingombriamo con la nostra gloria, è come se mandassimo in esilio Dio. Perdonate se ora oso entrare nei sentimenti di Gesù. Era ritornato per il terzo giorno nel tempio, sempre asfissiato da un aria irrespirabile: aveva visto personaggi non celebrare Dio, ma celebrare se stessi. Immagino che stesse male dentro. Lui sempre alla ricerca di qualcosa di vero, di sincero, di autentico. Lui "osservava come la folla gettava monete nel tesoro. E tanti ricchi ne gettavano molte".

Ed ecco - perdonate se mi esprimo così - Gesù ha come un sussulto: ecco che i suoi occhi intravvedono, tra i tanti, una donna vedova e povera. C'è un "ma" nel racconto, un "ma" che interrompe quel cerimoniale esibito, senz'anima. Uno stacco, qualcosa di diverso, un "ma" che cambia l'aria del tempio, eccolo: "Ma venuta una povera vedova vi gettò due spiccioli, cioè un quattrino". E Gesù - è scritto - chiama i discepoli: vuole che quella donna vedova e povera, in miseria, lei e il suo gesto rimangano impigliati a memoria negli occhi dei discepoli. Il gesto è silenzioso, come silenziosi sono i due spiccioli che fa scivolare nel tesoro del tempio. A noi sembra di vederla, si nasconde nell'ombra del suo velo, lei, pellegrina dell'interiorità.

Spingo il discorso: quasi Gesù dicesse che casa di Dio era lei. Oggi Paolo scriveva: "Il tempio di Dio siete voi". Era come se Gesù dicesse: "Il tempio di Dio è lei". Chiama ad osservare. Lei, la donna della fede: "Allora, chiamati a sé i suoi discepoli, disse loro: "In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere"" "In verità vi dico...": è l'incipit di quando Gesù dice cose importanti, assolute. "Nella sua miseria ha gettato tutto quanto aveva per vivere". Rimane senza niente, la sua fiducia è estrema, solo Dio.

Sento che devo guardarla questa donna per inoltrarmi nella fede, perché io - non so voi - io qualcosa a buon conto - diciamo "a buon conto"! - me lo tengo. Ma nell'invito di Gesù a guardare la donna vedova e povera mi sembra di cogliere anche un invito a nuove misure di vangelo. E gli occhi non si perdano in personaggi celebrati, incensati. Non sono loro a reggere il mondo. E', invece, una moltitudine di silenziosi, di umili, di semplici: sono loro la forza vera della società, della chiesa, del mondo. E dove sono i miei occhi? Finisco. Vorrei confessarvi che non mi riesce mai di leggere questo brano di Marco senza una pausa di commozione. Mi commuove pensare che oggi parliamo di quella donna.

Di lei, - pensate - dopo duemila anni. Non sappiamo quale fosse il suo nome. Ma Gesù ancora una volta ci ha raccontato di lei. Perché la guardassimo. Come lui l'ha guardata.

 

 

Lettura del primo libro dei Re - 1Re 8,15-30

In quei giorni. Salomone disse: "Benedetto il Signore, Dio d'Israele, che ha adempiuto con le sue mani quanto con la bocca ha detto a Davide, mio padre: "Da quando ho fatto uscire Israele, mio popolo, dall'Egitto, io non ho scelto una città fra tutte le tribù d'Israele per costruire una casa, perché vi dimorasse il mio nome, ma ho scelto Davide perché governi il mio popolo Israele". Davide, mio padre, aveva deciso di costruire una casa al nome del Signore, Dio d'Israele, ma il Signore disse a Davide, mio padre: "Poiché hai deciso di costruire una casa al mio nome, hai fatto bene a deciderlo; solo che non costruirai tu la casa, ma tuo figlio, che uscirà dai tuoi fianchi, lui costruirà una casa al mio nome". Il Signore ha attuato la parola che aveva pronunciato: sono succeduto infatti a Davide, mio padre, e siedo sul trono d'Israele, come aveva preannunciato il Signore, e ho costruito la casa al nome del Signore, Dio d'Israele. Vi ho fissato un posto per l'arca, dove c'è l'alleanza che il Signore aveva concluso con i nostri padri quando li fece uscire dalla terra d'Egitto". Poi Salomone si pose davanti all'altare del Signore, di fronte a tutta l'assemblea d'Israele e, stese le mani verso il cielo, disse: "Signore, Dio d'Israele, non c'è un Dio come te, né lassù nei cieli né quaggiù sulla terra! Tu mantieni l'alleanza e la fedeltà verso i tuoi servi che camminano davanti a te con tutto il loro cuore. Tu hai mantenuto nei riguardi del tuo servo Davide, mio padre, quanto gli avevi promesso; quanto avevi detto con la bocca l'hai adempiuto con la tua mano, come appare oggi. Ora, Signore, Dio d'Israele, mantieni nei riguardi del tuo servo Davide, mio padre, quanto gli hai promesso dicendo: "Non ti mancherà mai un discendente che stia davanti a me e sieda sul trono d'Israele, purché i tuoi figli veglino sulla loro condotta, camminando davanti a me come hai camminato tu davanti a me". Ora, Signore, Dio d'Israele, si adempia la tua parola, che hai rivolto al tuo servo Davide, mio padre! Ma è proprio vero che Dio abita sulla terra? Ecco, i cieli e i cieli dei cieli non possono contenerti, tanto meno questa casa che io ho costruito! Volgiti alla preghiera del tuo servo e alla sua supplica, Signore, mio Dio, per ascoltare il grido e la preghiera che il tuo servo oggi innalza davanti a te! Siano aperti i tuoi occhi notte e giorno verso questa casa, verso il luogo di cui hai detto: "Lì porrò il mio nome!". Ascolta la preghiera che il tuo servo innalza in questo luogo. Ascolta la supplica del tuo servo e del tuo popolo Israele, quando pregheranno in questo luogo. Ascoltali nel luogo della tua dimora, in cielo; ascolta e perdona!".

Sal 47 (48)

Adoriamo Dio nella sua santa dimora. Grande è il Signore e degno di ogni lode nella città del nostro Dio. La tua santa montagna, altura stupenda, è la gioia di tutta la terra. Il monte Sion, vera dimora divina, è la capitale del grande re. R Come avevamo udito, così abbiamo visto nella città del Signore degli eserciti, nella città del nostro Dio; Dio l'ha fondata per sempre. O Dio, meditiamo il tuo amore dentro il tuo tempio. R Come il tuo nome, o Dio, così la tua lode si estende sino all'estremità della terra. Questo è Dio, il nostro Dio in eterno e per sempre. R

Prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi - 1Cor 3,10-17

Fratelli, secondo la grazia di Dio che mi è stata data, come un saggio architetto io ho posto il fondamento; un altro poi vi costruisce sopra. Ma ciascuno stia attento a come costruisce. Infatti nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già vi si trova, che è Gesù Cristo. E se, sopra questo fondamento, si costruisce con oro, argento, pietre preziose, legno, fieno, paglia, l'opera di ciascuno sarà ben visibile: infatti quel giorno la farà conoscere, perché con il fuoco si manifesterà, e il fuoco proverà la qualità dell'opera di ciascuno. Se l'opera, che uno costruì sul fondamento, resisterà, costui ne riceverà una ricompensa. Ma se l'opera di qualcuno finirà bruciata, quello sarà punito; tuttavia egli si salverà, però quasi passando attraverso il fuoco. Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? Se uno distrugge il tempio di Dio, Dio distruggerà lui. Perché santo è il tempio di Dio, che siete voi.

Lettura del Vangelo secondo Marco - Mc 12,41-44

In quel tempo. Seduto di fronte al tesoro, il Signore Gesù osservava come la folla vi gettava monete. Tanti ricchi ne gettavano molte. Ma, venuta una vedova povera, vi gettò due monetine, che fanno un soldo. Allora, chiamati a sé i suoi discepoli, disse loro: "In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere".

 

 


 
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