la parola della domenica

 

Anno liturgico C
omelia di don Angelo nella decima Domenica dopo Pentecoste
secondo il rito ambrosiano


24 luglio 2016



 

 

1Re 3,5-15
Sal 71
1Cor 3,18-23
Lc 18,24b-30

Il brano di Luca che oggi abbiamo letto inizia con parole molto severe di Gesù: "Quanto è difficile per quelli che possiedono ricchezze entrare nel regno di Dio" E, a seguire, l'immagine del cammello e della cruna di un ago. Mi sono chiesto come saranno stati gli occhi di Gesù mentre pronunciava parole come queste.

Vedete, erano parole a conclusione. A conclusione di un incontro. Aveva visto una tristezza infinita sul volto di un notabile. E' scritto: "Quando Gesù lo vide così triste, disse…". Aveva visto una tristezza. Quel notabile l'aveva cercato per chiedergli che cosa dovesse fare per ereditare la vita eterna.

Gesù gli aveva ricordato i comandamenti. Lui aveva replicato di averli osservati fin dalla sua giovinezza. E Gesù a dirgli che una cosa gli mancava: vendesse i suoi beni, li distribuisse ai poveri e poi lo seguisse. "Ma quello udendo queste parole" nota il vangelo "divenne assai triste perché era molto ricco".

E segue il nostro brano. Ebbene ho pensato che anche gli occhi di Gesù fossero tristi. Tristi nel vedere come la ricchezza può imprigionare un uomo. Anche buono, come quel notabile! Ha il potere di imprigionare e anche quello di votarci alla tristezza. L'esito: la tristezza. Con un superlativo: "divenne assai triste".

Voi mi direte che non è sempre così, che spesso quelli che hanno molti beni se la spassano senza pensieri e che nella Bibbia non mancano pagine che descrivono impietosamente la loro vita spensierata. "Bevono il vino" dice il profeta Amos " in larghe coppe e si ungono con gli unguenti più raffinati, ma della rovina di Giuseppe non si preoccupano". Non sono tristi, diremmo.

Ebbene mi è venuto da pensare che la tristezza di quel notabile, che non ebbe il coraggio di seguire Gesù e la sua proposta, fosse il segno che ancora gli era rimasto un grumo di umanità: intuiva che i suoi beni lo stavano come soffocando. Ed era assai, assai, triste . Mi sono anche chiesto se la tristezza maggiore, il peggio che possa capitare, non accada proprio quando si è a tal punto soffocati dai beni che nemmeno ci si accorge, non si diventa tristi.

La Bibbia mette in guardia da una possibilità, non teorica ma reale, che la corsa ai beni ti prenda la mano, la mano e il cuore, creando a poco a poco un legame da vera malattia dell'anima, vera malattia della persona e della società. Il discorso è di una attualità bruciante solo che si pensi al potere oggi assunto dall'economia, un potere assoluto, cieco, che non guarda in faccia a nessuno.

Il denaro allora diventa un altro dio, anzi il vero dio. A parole poi possiamo proclamare che la nostra fiducia è in Dio, ma nella realtà è in altro. La nostra sicurezza, la mettiamo in ben altro. L'accumulo dei beni è, alla fin fine, idolatria. A Dio che è roccia hai preferito la labilità, la friabilità, la precarietà della sabbia.

Inguaribile la malattia? Davanti alla durezza delle parole di Gesù sui ricchi, ai discepoli viene spontaneo chiedere: "E chi può essere salvato?". Risponde Gesù: "Ciò che è impossibile agli uomini è possibile a Dio".

E il capitolo successivo racconterà di Zaccheo, "capo dei pubblicani e ricco" si dice e del suo incontro con Gesù, che lo snida dall'albero di avvistamento e si fa invitare a casa sua. Zaccheo dà metà di quello che ha ai poveri e se a qualcuno ha rubato restituisce quattro volte tanto.

"Oggi per questa casa è venuta la salvezza" dirà Gesù. E a noi ritornano le sue parole: "ciò che è impossibile agli uomini è possibile a Dio". E' possibile se apri gli occhi, se apri gli occhi e il cuore. i discepoli - abbiamo visto - ritornano sul problema e questa volta fanno riferimento alla loro scelta: "Noi abbiamo lasciato i beni e ti abbiamo seguito" dice Pietro.

Ed era vero, avevano lasciato case, e barche e reti, i famigliari. "Noi abbiamo lasciato i beni e ti abbiamo seguito". Quasi a chiedere: "Che guadagno ne abbiamo?". E Gesù: "Non c'è nessuno che abbia lasciato casa o moglie o fratelli o genitori o figli per il regno di Dio, che non riceva molto di più nel tempo presente e la vita eterna nel tempo che verrà".

C'è da capire e forse non è facile che cosa sia questo "molto di più nel tempo presente". Penso che per intravedere almeno in parte che cosa sia, occorra uno sguardo sapiente sulla vita. E in questo orizzonte trovo bellissima la preghiera di Salomone che, in sogno, a Dio, che si dice pronto a realizzare una sua richiesta, ora che, giovane, deve governare un popolo numeroso, non chiede lunga vita, ricchezze, la morte dei nemici, ma chiede un cuore docile per fare giustizia, chiede l'arte del discernimento E Dio gli concede un cuore saggio e intelligente.

Mi sono detto che per questo dovrei pregare: per aver un cuore docile, capace di discernere, saggio e intelligente. Se l'avessi, se avessi questa sapienza del vivere, capirei quanto sia vero che, seguendo Gesù e rifiutando l'idolatria dei beni, si guadagna molto già in questa vita.

Solo un cenno a due guadagni: da un lato guadagnerei in libertà, oserei dire in scioltezza. Lo dico con un'immagine: se ci si carica troppo, finisce che non si cammina più. Secondo guadagno: guadagnerei in fraternità. Mentre l'accumulo crea ingiustizie, crea disuguaglianze e povertà, crea sofferenze sulla terra e nell'umanità, la condivisione accende il sogno della fraternità.

E la fraternità è già un inizio, un inizio del regno di Dio sulla terra. Libertà e fraternità. Senti che, già ora, hai ricevuto, e molto di più di quello che hai lasciato. Poi, nel tempo futuro, la vita eterna.

 

 


 
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