Angelo Casati


Sussulti di speranza
Un parroco si racconta

I cori oggi per lo più sono monocordi e assestati con ossessione sul lamento. Dentro e fuori le chiese. Quasi la terra fosse grigia, il cielo incolore, le case disabitate dallo Spirito. Terra grigia, cieli incolori, case disabitate o occhi spenti, gelidi, superficialmente fermi alla crosta delle cose e della vita? E non sarà l'assenza di cuore a farci camminare, occhi spenti, senza stupori per il vento dello Spirito che filtra ancora oggi per fessure segrete? Lui un giorno disse: "Beati i vostri occhi perché vedono". Perché vedono le fessure del vento.


Edizioni Ancora
Milano 2009

© Ancora via G.B.Niccolini, 8
20154 Milano

Recensione di Enzo Bianchi su "La Stampa"

In giorni in cui in cortili e piazze pubbliche risuonano parole di spiritualità e filosofia, è bene non dimenticare l'ambiguità della "piazza": luogo di convergenza, di convivenza e di dialogo ma anche spazio per l'esteriorità, il chiasso, il vociare che soffoca idee e persone. Se sedersi in piazza è gesto già noto alle pagine bibliche e richiama la saggezza degli anziani, la vivacità dei giovani, il brulicare dei commerci, "scendere in piazza" evoca il più delle volte un cambio di tono, un montare di sentimenti, "un essere fuori luogo... fuori dal luogo decisivo, quello dell'interiorità". Interiorità che invece troviamo sapientemente visitata nelle parole di "un parroco che si racconta" e che ci ricorda una domanda fondamentale per l'autentica spiritualità: "a quali immagini facciamo spazio nel cuore?".

Don Angelo Casati - presbitero ambrosiano dal 1954, a lungo parroco prima a Lecco e poi a S. Giovanni in Laterano a Milano - nel suo Sussulti di speranza (Àncora, pp. 192, e 13,50) parla sottovoce, a volte sussurra poesie sue o di altri - ma sempre la franchezza e l'afflato evangelico ricollocano l'interiorità nella sua dimensione più schietta, perché "se scendi alla punta segreta del cuore, non è per nostalgia di vuoto intimismo, al contrario è per recuperare il vento della libertà, vento di trascinamento nella vita e nella storia".

È davvero un vento di libertà quello che spira in queste pagine, foglie staccatesi dall'Albero - il foglio mensile che don Casati usava per ravvivare i legami con le persone cui andava la sua cura, dentro e fuori la parrocchia - per colorare e allietare l'apparente non senso dei giorni grigi. È un vento che non ha paura di sollevare domande - perché "fede non è far tacere le domande con tortuose e consolatorie risposte, bensì porre le domande estreme e resistere nonostante tutto" - ma che rende compagni di cammino quanti a tali domande non si sottraggono, al di là di qualunque appartenenza.

Del resto questo cammino alla ricerca di una vita interiore, questa quotidiana fatica di abitare il proprio cuore non è patrimonio esclusivo dei cristiani: "Oggi forse più di ieri uomini e donne credenti e diversamente credenti o non credenti sentono di dover abitare questo spazio dell'anima per goderne".

Sì, l'interiorità è un bene di cui godere, è il piacere di prendere consapevolezza del soffio vitale che ci abita e che ci permette di resistere nella nostra dignità umana anche quando tutto intorno sembra congiurare per la barbarie nei rapporti interpersonali e nella convivenza civile.

È la vita normalissima e intensa di una comunità cristiana al cuore della metropoli lombarda quella che scorre in queste pagine: l'alternarsi dei tempi liturgici e delle stagioni, i semplici momenti di gioia e di sofferenza: battesimi, matrimoni, malattie, funerali, innamoramenti e solitudini, incontri casuali e ricerca di una prossimità feconda, tutto nella convinzione che fare strada insieme, anche solo per poco, plasma ciascuno di noi in profondità, colora la sua spiritualità.

Come ci ricorda Primo Levi in una stupenda poesia: "Di noi ciascuno reca l'impronta / Dell'amico incontrato per via: / In ognuno la traccia di ognuno". Versi che al cristiano si fanno domanda: saprà lasciare l'impronta di quel Gesù di cui segue le tracce.

 

 

 

 

 

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