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Angelo Casati , il 28/9/2008, S. Giovanni in Laterano, Milano



OMELIA DI SALUTO DI DON ANGELO ALLA COMUNITA'
DI S. GIOVANNI IN LATERANO, MILANO


Non posso nascondervi l'emozione per questa eucaristia. Ricordo l'emozione della prima eucaristia in una domenica di novembre ventidue anni fa. Quella di ventidue anni fa apriva le pagine di un diario, erano pagine bianche. Questa di oggi viene dopo tante pagine scritte. Scritte da voi, da me e soprattutto, io ne sono convinto, da Dio. Mi prende emozione al pensiero delle mille e mille e mille storie di questo diario.

Noi viviamo come sotto una tenda. C'è un tempo per piantare la tenda. C'è un tempo per arrotolarla e andarla a piantare altrove. E' vero, non posso nascondervi che sento il distacco bussare alla punta segreta del cuore. Alla mente ti verrebbe il proverbio: "partire è un po' morire". Ebbene lo sento vero, ma solo in parte. Mi è cara, molto più cara un'altra parola del Cantico dei Cantici. C'è qualcosa più forte della morte, più forte della sensazione di sentirti morire. Più forte, più forte della morte è l'amore. Rimane, rimane forte, una relazione, anche quando arrotoli la tenda e la sposti più in là. Rimane ciò che abbiamo vissuto nell'intimità di una tenda: parole dissepolte, luce che tremava sui volti. Rimangono i sentimenti che ci legano. Tutto è custodito.

Vorrei avere avuto per voi la tenerezza di Francesco di Assisi: di lui si racconta che raccoglieva da terra ogni pezzetto di carta scritto. Diceva che in esso poteva esserci il nome di Dio e perciò non lo si poteva distruggere. Ma si comportava così anche con gli scritti pagani. E quando qualcuno gli faceva notare che lì sicuramente il nome di Dio non era scritto, dichiarava che vi erano pur sempre presenti le lettere, con cui si poteva comporre il nome di Dio. "Nulla" dice Piero Stefani, commentando l'episodio "nulla deve andare perduto, tutto va custodito se in esso è contenuto anche un barlume di significato. Ogni pezzetto di carta può essere uno scrigno, in cui è conservato qualche germe di senso, che non dovrebbe andare disperso come pula al vento".

Abbiamo cercato tutti insieme in questi anni, forse non ci siamo sempre riusciti, di avere questa delicatezza gli uni verso gli altri, la delicatezza di chi è convinto -è stato reso convinto dal vangelo- che ognuno è un pezzetto di carta, in cui può essere scritto il nome di Dio.
Ebbene mi sono chiesto che cosa avrei potuto dirvi in questa eucaristia. E mi sono risposto che non avrei dovuto fare altro che quello che sempre facciamo qui la domenica: cioè commentare le Scritture sacre. Perché questa è la cosa che nella tenda non finirà: nella tenda ci si continua a raccontare il vangelo. Giunto all'ultima pagina, tale è il fascino che riprendi dall'inizio. E questo è il segno che il Signore non è morto nella tua vita. Tu non lo hai messo tra i morti. Ma tra i viventi che tu ascolti. Ti svela il segreto della vita: "Fa' questo e vivrai".

Come vedete oggi mi sono troppo dilungato. Veniamo al brano di Matteo: vorrei dirvi che, staccata dal suo contesto, ci risulta un po' enigmatica la parabola di Gesù sui due figli. La parabola è rivolta ai principi dei sacerdoti e agli anziani del popolo, gli uomini dunque dell'apparato. Gli uomini dell'apparato sono da un lato perennemente disturbati dalla novità, dall'altro sono per natura inquisitori. Hanno visto Gesù entrare in città. Osannato come il benedetto di Dio, colui che viene nel nome del Signore. L'hanno visto entrare poi nel tempio, rovesciare i tavoli di quelli che vi facevano mercato. Hanno udito le acclamazioni entusiaste dei bambini, hanno tentato di farli tacere. L'indomani nel tempio lo affrontano, a muso duro, chiedendogli chi gli ha dato l'autorità di fare tutto questo. E Gesù racconta la piccola parabola: loro sono come quel figlio che dice: "Sì, Signore", ma poi nella vigna non ci va. Loro, pieni di parole, di dichiarazioni, uomini dell'ortodossia, ma impermeabili alla novità di Dio. Mentre quel popolo disprezzato, i pubblicani e le prostitute sono come l'altro figlio, forse un po' contestatore, che dice no, ma poi ci ripensa e va.

La differenza, ce lo siamo detti tante volte, è tra chi è ingessato e chi sa cambiare, tra chi è pieno di sé e chi nella vita da spazio. Se sei immobile, se sei pieno, come puoi dare spazio a Dio o all'altro o alla terra? Perché Dio non è immobile ma cammina, l'altro non è immobile ma cammina, la terra non è immobile ma cammina. Per questo pubblicani e prostitute potevano ospitare Dio: lo potevano ospitare proprio a partire dal vuoto, un vuoto, il loro, riconosciuto. Solo ciò che è vuoto può diventare ospitale. Nel pieno, anche nel pieno religioso, non c'è spazio. Né per Dio né per nessuno.

E oggi Paolo nella lettera ai Filippesi ricordava che Gesù -ecco l'inaudito- "svuotò se stesso", fece il vuoto in sé. Per che cosa? Per potere ospitare noi. Vuoto per amore. Questo è il Gesù dei vangeli e voi fate bene a venire nella tenda della comunità a ripulire - Dio solo sa se in parte ci siamo riusciti- a ripulire l'affresco del vangelo. Perché è la vera memoria di Gesù, non quella contraffatta, che ci salva. Gesù -dice Paolo- si è svuotato, si è abbassato. Così faccia la chiesa, così facciano quelli che credono in lui. Svuotarsi per ospitare.

Sembra un programma per la vita. Servire, come ha fatto lui, il Signore. Ce lo chiede il vangelo. Ma ce lo chiede anche questa generazione nelle sue espressioni più vive, sì a volte ruvide, fino ad apparire qualche volta anticlericale. Voci che in questi anni spesso ci hanno ricordato l'attesa di una chiesa fedele al vangelo, che non sia tra i dominatori del mondo, ma sia umile serva come il suo Signore.

Mentre vi ringrazio a uno a uno, a partire da don Alberto, don Paolo, don Giorgio per avermi accompagnato con il mio limite e sorretto, chiedo a voi il dono di una preghiera, perchè, là dove sposto la tenda, sia fedele alla memoria di Gesù. Che si è svuotato, si è abbassato.
Sono certo che anche voi sarete fedeli a questa memoria, lontani, come dice Paolo, da ogni forma di rivalità o di vana gloria, con tutta umiltà considerando gli altri superiori a se stessi. Sarete, con Don Giuseppe chè è gia qui con noi e che già amate, una tenda della comunione. E sentendone io parlare, renderete piena la mia gioia.

A conclusione di un'omelia che, perdonate, oggi si è troppo dilungata, vorrei ripetervi le parole di Paolo: "Rendete piena la mia gioia con l'unione dei vostri spiriti, con la stessa carità, con i medesimi sentimenti". E ancora "abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù".
Renderete piena la mia gioia.

 

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