omelia


Don Angelo al matrimonio di Ilaria e Davide, Santa Maria alla Fontana, Milano, 25 luglio 2015



MATRIMONIO DI ILARIA E DAVIDE

 

Mi tocca un compito non facile: quello di vincere l'emozione e di inoltrarmi nelle letture che Ilaria e Davide hanno raccolto in questo loro libricino. C'è un approdo, temporaneo e c'è una partenza. Oggi per voi, Ilaria e Davide, è un giorno di approdo ed è un giorno di partenza. Di approdo, perché non comincia oggi il vostro cammino, ma dal giorno in cui - non erano queste le parole, ma il senso era questo - l'uno con gli occhi diceva all'altro:

"Tu tienimi
e io mi trasformerò in meraviglia,
tra le tue mani,
al caldo,
quel caldo che di notte
fa crescere il grano"
(Chandra Livia Candiani, da "La bambina pugile, ovvero La precisione dell'amore").

E accadde un cammino. E succederà un cammino. "Guardati dal dimenticare" dice il libro del Deuteronomio "dal dimenticare che non sei stato tu, che le belle città non le hai costruite tu, e le case piene di ogni bene non le hai riempite tu, che le vigne e gli oliveti non li hai piantati tu".

Con questa lettura voi ci avete ricordato la gratitudine. Certo per le vostre famiglie, ma anche per Dio che vi ha condotto e vi condurrà. Nei giorni dell'abbondanza è facile dimenticare. Voi lo vedete come un pericolo: "Guardati dal dimenticare che Dio ti ha condotto, ti ha dato Ilaria, ti ha dato Davide, ti ha dato dimore, e lavoro e frutti di cui godere e rendere grazie".

Non solo, non dimenticare. Ma le parole del tuo Dio ti stiano fisse come luce negli occhi, dentro e fuori la casa. Scrivele sugli stipiti. Per dire che siano sempre in vista dei tuoi occhi. Siano l'orizzonte ultimo delle vostre scelte. Vi accompagnino quando uscite e quando rientrate. E la casa, la vostra diventi il luogo in cui passare la lampada della Parola di Dio che ha illuminato e illumina il vostro cammino. Sia luce per gli occhi dei figli, per gli occhi di chi sarà sul vostro cammino. Passate la fiaccola.

Ebbene questo "vivere con cuore grato" mi sembra ce lo abbiate raccontato anche con il brano di Vangelo. Dove non è sottaciuta la fatica dei sette discepoli che si danno appuntamento per andare a pescare. Di due non è detto il nome, potete essere voi, può essere ciascuno di noi. A noi toccano anche la fatica di vivere e le notti colme del nulla, trascorse senza pescare nulla. Ma a noi tocca anche la fiducia in una parola che ti invita ad osare e spesso non sai chi sta dietro quella parola che da riva ti invita a osare.

Al momento non sai che è del Signore quell'invito: ad osare nonostante una notte in cui tutto è andato buco, quell'invito a gettare la rete in una direzione precisa: "Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete". Benedette - sì, diciamolo - tutte le voci che ci invitano ad osare. Dietro queste si nasconde il Signore. E come non augurarvi che la vostra vita sia nell'immagine di quel litorale dove ci sembra di assistere ancora oggi a un momento bellissimo di spontaneità.

Sul litorale c'è la gioia delle piccole cose, quelle della vita. Questo mescolarsi dei doni della vita: e i sette che portano le reti che sono uno scintillio di pesci e Gesù che ha preparato il fuoco e sopra sta abbrustolendo pane e pesci e sulle sabbie il profumo delle cose della vita. E Gesù, il risorto è in questa festa semplice, un picnic sulla spiaggia del lago. Chissà che cosa si saranno raccontati! Chissà che cosa vi racconterete. Approdo e partenza, dicevo. Non fa parte dei vostri pensieri l'immagine dello sposarsi come un sistemarsi, un accasarsi, bensì come un partire insieme.

E che cosa portare nel viaggio? Ce lo avete ricordato con le parole di Paolo nella lettera a quelli di Corinto. Se avessimo anche tutto ma non avessimo l'amore - dice Paolo - saremmo rame che risuona, cembalo che squilla. Non ci basterebbe neppure avere una fede con carismi eccezionali. La cosa di cui non possiamo fare a meno è l'amore. Capire questo - dice ancora Paolo - è il modo maturo di guardare la vita: "quando eravamo bambini pensavamo da bambini".

Questo è il modo sapiente di guardare la vita. Ma siccome quelli di Corinto erano facili ad entusiasmarsi e ad esaltarsi, magari declamando persino la parola amore, che corre sempre il rischio di essere inflazionata, ecco che Paolo la rende concreta: quello che ci occorre è l'amore della vita di ogni giorno, quello della casa: inizia lì e poi si irradia. E' l'amore che avete visto nelle vostre case: è paziente, è benevolo, non invidia, non si vanta, non si gonfia…

Non sto a ripetere le parole di Paolo, di una concretezza stringente. L'amore dove c'è rispetto del mistero che abita l'altro, dove c'è una fiducia che va oltre la fragilità dell'altro, dove non c'è superiorità o dominio, dove c'è desiderio che l'altro possa fiorire in tutte le sue possibilità, dove il progetto che si costruisce è comune, dove si spera contro ogni speranza, dove l'accoglienza è un punto di non ritorno, dove la casa ha finestre e porte di uscita.

Ecco, la casa! Perdonate tutte queste parole. Troppe. Tenete l'immagine della casa. Padre David Maria Turoldo, un mio caro amico, era solito chiudere la sua esortazione, quasi ad ogni matrimonio, dicendo: "Vi raccomando, non fate un appartamento, fate una casa".

Appartamento dice appartarsi, chiudersi in un'isola felice; la casa dice accoglienza, dice calore dell'ospitalità, dice gioia di sollevare una stanchezza, di rimettere in movimento una speranza. Penso che David oggi lo direbbe anche a voi, a tutti noi: "non fate un appartamento, fate una casa".

(Letture: Deuteronomio 6,1.4-12; Salmo 8; Prima lettera ai Corinti 13, 1-13; Giovanni 21, 1-14)

torna alla home