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                     Figure 
                      dell'attesa: Simeone e Anna
                      
                      Lc 
                      2,22-38  
                    
  
                      In queste sere vorrei sfiorare con voi alcune figure dell'attesa. 
                      Figure che stazionano in qualche modo nei dintorni della 
                      nascita di Gesù, nomi che si accendono: Elisabetta, Maria, 
                      il Battista, i pastori, Simeone e Anna. 
                    
 E 
                      Il racconto di Luca, il racconto della presentazione del 
                      Signore al tempio, è ricco di allusioni e apre una infinità 
                      di fessure. Noi possiamo solo sfiorarne alcune. A una prima 
                      lettura sembra quasi che l'evangelista Luca in qualche misura 
                      voglia "rifarsi" sulla prima presentazione di quel bambino, 
                      per attenuarne in parte lo sconcerto. Poi vedremo se ci 
                      riuscirà. 
                     Tutti 
                      ricordiamo la prima presentazione: a chi viene presentato 
                      nel suo ingresso al mondo? Viene presentato a dei pastori, 
                      razza scomunicata. Ora Luca lo fa entrare in Gerusalemme, 
                      la grande città, e nel tempio. Vuole forse riparare a quell'ingresso 
                      nel mondo così disadorno? Ma che cosa ha di solenne questo 
                      ingresso di Gesù - il suo primo contatto con il tempio -? 
                      Che cosa ha di solenne? Dove mai si è rifugiata la solennità? 
                      Forse nelle opere d'arte dei nostri più grandi artisti, 
                      che raccontano con splendori di vesti e di coreografie l'evento. 
                      Se stiamo al vangelo, dobbiamo lasciare ogni coreografia! 
                      
                     Che 
                      cosa avremmo visto noi, se ci fossimo nascosti a spiare 
                      la scena, in un angolo appartato e silenzioso del tempio? 
                      Avremmo visto un uomo e una donna portare un bambino, il 
                      loro bambino, uno come tutti, non segnalato, uno come lo 
                      portavano tutti - altri probabilmente quel giorno portavano 
                      il loro bambino -. E non accadeva nulla nel tempio. O meglio, 
                      nulla nelle coreografie, nei riti canonici, nessun inceppo 
                      nella macchinosità delle liturgie. Via uno, ecco un altro. 
                      Ed ecco lui, ecco il bambino di Maria e Giuseppe. E via 
                      lui, ecco un altro. Il rito imperturbabile continuava, senza 
                      sussulti. 
                     Penso 
                      alle nostre liturgie, che possono procedere solenni, vuote 
                      ormai di un'attesa, come una spenta routine. Il racconto 
                      apre dunque una fessura. Quell'uomo e quella donna con il 
                      loro bambino passano inosservati. Gli uomini del tempio 
                      hanno occhi vuoti, vedono entrare il Messia, la gloria del 
                      loro popolo, la luce delle nazioni, e continuano imperterriti 
                      i loro riti, come se nulla accadesse. Forse il Messia loro 
                      lo aspettavano da una famiglia blasonata, non certo da un 
                      uomo e una donna che portavano un'offerta povera, l'offerta 
                      dei poveri. Chi gestisce il tempio, chi raccoglie le offerte 
                      per la purificazione, le prende e non vede. Dio, la salvezza, 
                      la sua venuta, loro la cercavano più in alto, in modalità, 
                      diciamocelo, più appariscenti. 
                     Che 
                      la salvezza fosse in braccio a una madre, in un bimbo senza 
                      parola, era cosa quasi incredibile in un mondo non così 
                      diverso poi dal nostro. Questo ci pone un altro interrogativo. 
                      Non siamo anche, anche noi, come singoli, come società e 
                      come chiesa abbagliati. Non finiamo anche noi per cercare 
                      in alto e per mettere sul candelabro coloro che si impongono 
                      all'attenzione, scordando gli umili? Il bambino taceva o 
                      forse solo piangeva. E gli occhi videro la salvezza. Gli 
                      occhi di chi? Ecco che ci si apre un'altra fessura. Gli 
                      occhi di chi? Appaiono altri volti. 
                     La 
                      solennità di questa presentazione e, starei per dire, la 
                      solennità di ogni vera presentazione del Signore, trova 
                      rifugio negli occhi, o, se volete, nell'anima, dei veri 
                      credenti e non negli apparati: siamo introdotti al volto 
                      di Simeone e di Anna, due volti veri, volti scavati dalla 
                      vecchiaia, ma veri, ancora capaci di attendere. Non si erano 
                      ancora arresi alla monotonia delle cose, alla tentazione 
                      di spegnere, alla sera, i sogni accesi al mattino, perché 
                      tanto - si dice - non cambia niente. Simeone non ha dato 
                      le dimissioni prima: "Ora", dice. "Ora puoi lasciare, Signore, 
                      che il tuo servo vada in pace, perché i miei occhi hanno 
                      visto la tua salvezza". 
                     E 
                      anche Anna non aveva lasciato prima. A ottantaquattro anni 
                      era ancora là, di giorno e di notte, tra quelli che attendevano 
                      la venuta del Redentore. Quanta luce nei loro occhi, di 
                      loro che non appartenevano alle gerarchie del tempio. Teneva 
                      in braccio il bambino, Simeone. Il vecchio e il bambino, 
                      gli estremi della vita, dentro la salvezza. Il vecchio salutava 
                      la salvezza in quel bimbo e benediceva Dio.  
                     E 
                      le sue parole, parole di un vecchio, erano come canto, parole 
                      che la chiesa ricanta ogni sera, all'avvicinarsi della notte, 
                      a Compieta. Così ogni sera. Simeone, il vecchio Simeone, 
                      mai e poi mai avrebbe immaginato che, dopo duemila anni, 
                      ogni sera, sulla terra, si sarebbero ricantate quelle sue 
                      parole. Ne aveva dette nella vita. Ma quelle, proprio quelle, 
                      avrebbero passato il muro d'ombra dei secoli. Per lui, il 
                      vecchio d'anni, quel giorno si realizzava la profezia di 
                      Malachia: "Entrerà nel suo tempio il Signore che voi cercate, 
                      l'angelo dell'alleanza che voi sospirate". La nube luminosa 
                      della presenza di Dio ritornava ad abitare il tempio. Quel 
                      bambino, agli occhi di Simeone era la nube luminosa che 
                      ritornava: "I miei occhi" diceva "hanno visto la salvezza, 
                      luce per illuminare le genti". 
                     Pensate 
                      quante cose gli occhi di quel vecchio avevano visto lungo 
                      il corso della sua lunga vita. Quante cose! E poi alla fine 
                      avrebbe visto la morte, è la cosa che vedono tutti gli umani, 
                      la cosa che vediamo tutti. Ma c'era per lui una promessa: 
                      "che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto 
                      il Cristo del Signore". E ogni giorno poteva pensare che 
                      quello fosse il giorno giusto. Chissà quante volte se lo 
                      sarà detto. Ma poi il giorno finiva: non era stato il giorno 
                      della salvezza. Quel giorno invece, mosso dallo Spirito, 
                      si era recato al tempio e quel giorno gli occhi, i suoi 
                      occhi, videro. Sconcertante, che cosa videro? E gli occhi 
                      videro la salvezza. 
                     Dunque 
                      è una questione di occhi. Tutti vedono la stessa scena, 
                      gli stessi personaggi, c'è che non vede oltre, non vede 
                      altro. C'è chi scopre oltre, chi scopre altro. Forse potremmo 
                      riprendere una delle beatitudini del monte: "Beati i puri 
                      di cuore, vedranno Dio". Beati coloro che hanno custodito 
                      limpidezza, che non si sono lasciati corrompere né da interessi 
                      né da presunzione, vedranno Dio. Simeone e Anna vedono Dio. 
                      Scrive José Antonio Pagola: "Chi accoglie Gesù e lo riconosce 
                      come Inviato da Dio sono due anziani dalla fede semplice 
                      e dal cuore aperto, che hanno vissuto la loro lunga vita 
                      aspettando la salvezza di Dio. I loro nomi sembrano suggerire 
                      che sono personaggi simbolici. L'anziano si chiama Simeone 
                      ("Il Signore ha ascoltato"), l'anziana si chiama Anna ("Dono"). 
                      Rappresentano tanta gente dalla fede semplice che, in tutti 
                      i popoli di tutti i tempi, vive con la fiducia riposta in 
                      Dio. I due appartengono agli ambienti più sani d'Israele. 
                      Sono conosciuti come il "Gruppo dei Poveri di Jahvè". 
                     Sono 
                      persone che non hanno nulla, solo la loro fede in Dio. Non 
                      pensano alla loro fortuna né al loro benessere. Aspettano 
                      solo da Dio la "consolazione" di cui ha bisogno il suo popolo, 
                      la "liberazione" che vanno cercando generazione dopo generazione, 
                      la "luce" che illumina le tenebre in cui vivono i popoli 
                      della terra. Ora sentono che le loro attese si compiono 
                      in Gesù. Questa fede semplice che aspetta da Dio la salvezza 
                      definitiva è la fede della maggioranza. Una fede poco coltivata, 
                      che si concreta quasi sempre in preghiere goffe e distratte, 
                      che si formula in espressioni poco ortodosse, che si risveglia 
                      soprattutto in momenti difficili di angoscia. Una fede che 
                      Dio non ha alcun problema a comprendere e accogliere". 
                     E 
                      mi nasce dentro una domanda che già prima mi aveva sfiorato. 
                      Non avremo noi un po' di sufficienza per le persone semplici, 
                      un po' di giudizio critico, perché diciamo, e se non lo 
                      diciamo, forse lo pensiamo che queste sono persone poco 
                      acculturate spiritualmente. Chi può giudicare la fede? La 
                      fede dei semplici? Mettiamo in cattedra i semplici. E non 
                      è forse commovente il fatto che alla folla radunata per 
                      il suo primo "Angelus" un papa abbia detto che lui la misericordia 
                      l'ha imparata non solo dal libro di un suo cardinale, ma 
                      dalle parole di un umile donna di Buenos Aires. "Ricordo, 
                      appena Vescovo, nell'anno 1992, è arrivata a Buenos Aires 
                      la Madonna di Fatima e si è fatta una grande Messa per gli 
                      ammalati. Io sono andato a confessare, a quella Messa. E 
                      quasi alla fine della Messa mi sono alzato, perché dovevo 
                      amministrare una cresima. E' venuta da me una donna anziana, 
                      umile, molto umile, ultraottantenne. Io l'ho guardata e 
                      le ho detto: "Nonna - perché da noi si dice così agli anziani 
                      - nonna, lei vuole confessarsi?". "Sì, mi ha detto. "Ma 
                      se lei non ha peccato …". E lei mi ha detto: "Tutti abbiamo 
                      peccati …". "Ma forse il Signore non li perdona …". "Il 
                      Signore perdona tutto", mi ha detto, sicura. "Ma come lo 
                      sa, lei, signora? ". "Se il Signore non perdonasse tutto, 
                      il mondo non esisterebbe". Io ho sentito una voglia di domandarle: 
                      "Mi dica, signora, lei ha studiato alla Gregoriana? ", perché 
                      quella è la sapienza che dà lo Spirito Santo: la sapienza 
                      interiore verso la misericordia di Dio". 
                     Di 
                      Simeone è detto che era "un uomo giusto e timorato di Dio, 
                      che aspettava la consolazione d'Israele". I timorati di 
                      Dio, cioè quelli che non si sentono padroni di Dio né del 
                      suo mistero: davanti a lui stanno, come Mosè, togliendosi 
                      i calzari, sanno di calpestare terra santa. Giusti e timorati 
                      di Dio sono quelli che "aspettano la consolazione del loro 
                      popolo". Hanno occhi per il popolo. A loro stanno a cuore 
                      non le sorti personali, non gli interessi personali, ma 
                      quelli del bene comune. Sono quelli che non si sono arresi, 
                      non si sono rassegnati al degrado. Ancora aspettano. Aspettano 
                      il conforto, non semplicemente il loro, ma quello di un 
                      popolo. Aspettano la consolazione, non semplicemente la 
                      loro, ma quella di un popolo. 
                     Quelli, 
                      annota il vangelo, "mossi dallo Spirito". È un'immagine 
                      che potrebbe interrogarci. E non si può barare: "da che 
                      cosa sono mosso?". Ed è domanda che potrebbe svelare tante 
                      cose, anche della vita. Chiediti: "Da che cosa sono mosso? 
                      Dallo Spirito?" "Ora puoi lasciare, Signore" dice Simeone 
                      "che il tuo servo vada in pace." Posso andare a morire. 
                      E la morte non mi farà paura, non mi annienterà con il suo 
                      volto di terrore. 
                     Tante 
                      cose, dicevamo, aveva visto Simeone nella sua lunga vita: 
                      non gli avevano risolto quel terrore della morte. Ne aveva 
                      viste di cose! Anche noi quante dal giorno in cui siamo 
                      stati messi alla luce, dal giorno in cui i nostri occhi 
                      cominciarono a contemplare il volto di una madre, di un 
                      padre. Assieme a eventi laceranti della vita, abbiamo visto 
                      e vediamo, confessiamolo, anche volti a noi cari, di una 
                      tenerezza struggente. Eppure non ci bastano, neanche quelli 
                      più cari, perché possiamo andarcene senza paura. Non ci 
                      bastano per andarcene in pace. Ed è per questo che vorremmo 
                      che tutti incrociassero Gesù e la sua luce, perché tutti 
                      potessimo insieme andare in pace. Perché la sua luce ha 
                      tolto l'ombra della paura sia alla vita che alla morte. 
                      Se lo lasceremo entrare nel suo tempio, se ci lasceremo 
                      muovere dal suo Spirito, non avremo paura di andarcene. 
                      E andremo in pace. 
                       
                       
                       
                      
                      don Angelo Casati 
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