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                     Quando 
                      la passione è negli occhi e sulla pelle. Parlare dopo aver 
                      toccato. 
                      
                     Perché 
                      un vecchio prete di ottantasei anni sia qui questa sera 
                      a parlarvi, alcuni di voi lo sanno: non per una competenza 
                      sui profeti e maestri che illuminano questo bellissimo ciclo 
                      di incontri che avete progettato. Ma semplicemente per un 
                      debito di amicizia nei confronti del vostro decano don Mirko, 
                      un'amicizia che risale agli anni di vento del Concilio, 
                      in una città ben precisa, Busto Arsizio. Come alludevo, 
                      non ho competenze storiografiche - per fortuna le avevano 
                      coloro che mi hanno preceduto -. Dunque da me non aspetterete 
                      discorsi esaustivi su papa Francesco. Tra l'altro, per grazia, 
                      è un papa in movimento. Difficile fermarlo in un fotogramma. 
                      Ci sorprenderà, penso, molte volte ancora. Dirò qualcosa 
                      che mi è sembrato di scorgere in lui. Per fessure. E ne 
                      dimenticherò mille altre. E andrò, come il mio solito, per 
                      sussulti. Vi dirò subito che a colpirmi nel sottotitolo 
                      dei vostri incontri, erano alcune immagini. A me piacciono 
                      le immagini. Ecco il sottotitolo: "I profeti hanno sempre 
                      in cuore e sulle spalle una primavera che li sospinge". 
                      Primavera, cuore, spalle. "C'è" mi direte " nel titolo anche 
                      l'immagine dei giganti: "In cammino sulle spalle dei giganti", 
                      ma confesso che mi è un po' meno cara l'immagine dei giganti, 
                      anche se. in questo vostro contesto allude ad altro. Il 
                      gigantismo mi mette un po' paura. E vorrei proprio cominciare 
                      di qui, per aprire qualche fessura su Papa Francesco. E' 
                      tutt'altro che un gigante. E apparve così fin dalla prima 
                      sera. Erano gesti semplici, i suoi, ma ad alcuni di noi 
                      era sembrato da subito che, dietro quei gesti, stesse un 
                      pensiero, una immagine di chiesa che ci faceva riandare 
                      agli orizzonti del Concilio. Ecco io cercherò di radunare 
                      qualche pensiero dietro i gesti di quella sera. Si è tolto 
                      fin dalla prima sera l'imponenza, tutto ciò che alla figura 
                      del papa legava l'immagine di una certa sovranità, nei vestiti, 
                      nelle parole, nei gesti. E' diventato il papa dell'immediatezza. 
                      Al Maestro di cerimonie che lo invitava ad indossare, sopra 
                      la veste bianca, la mozzetta di velluto rosso, bordata di 
                      ermellino, e la croce d'oro, con piglio deciso disse. "Questa 
                      la mette lei; io mi tengo questa, la croce di quando sono 
                      divenuto vescovo, una croce di ferro". L'imponenza allontana, 
                      voleva immediatezza. Lo guardammo, era come abitato da una 
                      passione di vicinanza, quella del pastore cha fa vita con 
                      il gregge: quella passione era nei suoi occhi e sulla sua 
                      pelle. Disse : "Buona sera" era una chiesa che entrava negli 
                      spazi della giornata, nella casa, nelle ore delle case. 
                      L'ora della sera. "Che sia buona, per voi": disse.. La mente 
                      andava a Papa Giovannni, al suo discorso alla sera del Concilio. 
                      Lui chiuse con una "Buona notte!". Pensate, un papa, Papa 
                      Giovanni, che dice: "La mia persona conta niente: è un fratello 
                      che parla a voi, un fratello divenuto padre per volontà 
                      di Nostro Signore…". Pensate, un papa, Papa Giovanni, che 
                      non chiude con una benedizione; tutti gli ecclesiastici 
                      chiudono con una benedizione, ma con la buona notte. Era 
                      la chiesa nel mondo, nelle case: "Addio, figlioli. Alla 
                      benedizione aggiungo l'augurio della buona notte". Ed ora, 
                      un Papa, Papa Francesco, che apre il suo ministero augurando 
                      "buona sera". Quasi ad allontanare la visione di una chiesa 
                      che fa le sue cose e non le stanno a cuore le sere delle 
                      donne e degli uomini, le sere del mondo. Il Papa del concilio 
                      si chiamava fratello. Il papa, che veniva dalla fine del 
                      mondo, il suo essere fratello lo disse con un gesto che 
                      non finisce di stupire, dove la fraternità ha la precedenza 
                      sul ruolo: chiede una benedizione, una preghiera, chiedeva 
                      di essere benedetto dal suo popolo, prima di benedire. Un 
                      popolo che benedice il suo pastore. L'impressione fu enorme, 
                      era profumo di vangelo. Era un cristiano, uno che cammina 
                      dietro Gesù, il rabbi di Nazaret. Ci sembrò di intuire chi 
                      fosse Bergoglio. Chi è Bergoglio? Pensate che questa domanda 
                      la fece al papa stesso P. Antonio Spadaro, direttore de 
                      "La Civiltà cattolica, in una sua prima intervista per la 
                      rivista dei Gesuiti.. Gli chiese un po' a bruciapelo: "Chi 
                      è Jorge Mario Bergoglio?". "Il Papa" scrive "mi fissa in 
                      silenzio. Gli chiedo se è una domanda che è lecito porgli… 
                      Lui fa cenno di accettare la domanda e mi dice: "non so 
                      quale possa essere la definizione più giusta… Io sono un 
                      peccatore. Questa è la definizione più giusta. E non è un 
                      modo di dire, un genere letterario. Sono un peccatore". 
                      Il Papa continua a riflettere, compreso, come se non si 
                      aspettasse quella domanda, come se fosse costretto a una 
                      riflessione ulteriore. "Sì, posso forse dire che sono un 
                      po' furbo, so muovermi, ma è vero che sono anche un po' 
                      ingenuo. Sì, ma la sintesi migliore, quella che mi viene 
                      più da dentro e che sento più vera, è proprio questa: "sono 
                      un peccatore al quale il Signore ha guardato"". E ripete: 
                      "io sono uno che è guardato dal Signore. Il mio motto 'Miserando 
                      atque eligendo' l'ho sentito sempre come molto vero per 
                      me". Il motto di Papa Francesco è tratto dalle Omelie di 
                      san Beda il Venerabile, il quale, commentando l'episodio 
                      evangelico della vocazione di san Matteo, scrive: "Vide 
                      Gesù un pubblicano e, siccome lo guardò con sentimento di 
                      amore e lo scelse, gli disse: Seguimi". E papa Francesco 
                      aggiunge: "il gerundio latino 'miserando' mi sembra intraducibile 
                      sia in italiano sia in spagnolo. A me piace tradurlo con 
                      un altro gerundio che non esiste: 'misericordiando'". Perdonate 
                      la digressione:: in queste parole mi è parso si sentire 
                      l'eco di altre parole quelle del card, Martini che nell'introduzione 
                      al libro del Sinodo, scriveva di misericordia e di Gesù. 
                      Dice: "in Lui, misericordia fatta carne, siamo chiamati 
                      a essere la Chiesa della misericordia; in Lui, povero per 
                      scelta, la Chiesa povera e amica dei più poveri" Capite 
                      perché Mons. Borgonovo arciprete del nostro Duomo disse 
                      che Il primo miracolo fatto dal card. Martini fu l'elezione 
                      di Papa Bergoglio. Misericordiando.. Voi mi direte che il 
                      messaggio della misericordia non era mai venuto meno nella 
                      testimonianza della chiesa lungo i secoli. Certo, ma a volte 
                      aveva preso il sopravvento, sino a togliergli la nota dominante, 
                      un pesante legalismo, per cui la fede sembrava rattrappirsi 
                      in un insieme di dogmi da credere e di prescrizioni da osservare. 
                      Il rischio era di perdere il cuore dell'evangelo. Che è 
                      la misericordia. E nella parola "misericordia" pulsano - 
                      e voi tutto lo avvertite - due parole: "miseria" e "cuore", 
                      quasi a parlarci di una miseria che ci ci prende al cuore. 
                      il cristianesimo come "fatto di cuore". Guai se si cancella 
                      il primato del cuore. Sempre in quell'intervista del 19 
                      settembre 2013 il Papa con chiarezza disse al suo intervistatore: 
                      "Non possiamo insistere solo sulle questioni legate ad aborto, 
                      matrimonio omosessuale e uso dei metodi contraccettivi. 
                      Io non ho parlato molto di queste cose, e questo mi è stato 
                      rimproverato. Ma quando se ne parla, bisogna parlarne in 
                      un contesto. Il parere della Chiesa, del resto, lo si conosce, 
                      e io sono figlio della Chiesa, ma non è necessario parlarne 
                      in continuazione. Una pastorale missionaria non è ossessionata 
                      dalla trasmissione disarticolata di una moltitudine di dottrine 
                      da imporre con insistenza. L'annuncio di tipo missionario 
                      si concentra sull'essenziale, sul necessario, che è anche 
                      ciò che appassiona e attira di più, ciò che fa ardere il 
                      cuore, come ai discepoli di Emmaus. Dobbiamo quindi trovare 
                      un nuovo equilibrio, altrimenti anche l'edificio morale 
                      della Chiesa rischia di cadere come un castello di carte, 
                      di perdere la freschezza e il profumo del Vangelo. La proposta 
                      evangelica deve essere più semplice, profonda, irradiante. 
                      È da questa proposta che poi vengono le conseguenze morali". 
                      Ebbene io mi chiedo: "Siamo proprio così sicuri che noi 
                      stessi come persone e le nostre comunità non corrano il 
                      rischio di perdere freschezza e profumo?". Misericordiando. 
                      E non fu solo parola dell'inizio, divenne parola che accompagna 
                      il ministero di papa Francesco, come eco di un torrente. 
                      Con il suo invito insistito a far sì che nelle chiese gli 
                      uomini e le donne di oggi trovino l'accoglienza della misericordia. 
                      Con il suo invito a non aver paura della tenerezza. La parola 
                      "tenerezza", che sembrava cancellata o ignorata dai discorsi 
                      e dai documenti di papi e di vescovi, dalle omelie dei preti 
                      e dai libri dei teologi si è improvvisamente riaccesa nella 
                      chiesa per le parole di un Papa, Francesco, il vescovo di 
                      Roma. Per ben sei volte - pensate - la parola "tenerezza" 
                      appare nel suo discorso di inizio pontificato, "tenerezza", 
                      con un invito ben due volte a non averne paura. Disse: "Non 
                      dobbiamo avere paura della bontà, anzi neanche della tenerezza!" 
                      E non è forse commovente il fatto che alla folla radunata 
                      per il suo primo "Angelus" un papa abbia detto che lui la 
                      misericordia l'ha imparata non solo dal libro di un suo 
                      cardinale, ma dalle parole di un umile donna di Buenos Aires? 
                      Prima ricordò che la misericordia, secondo il card. Kaspers, 
                      è il meglio che possiamo sentire: "Cambia il mondo. Un po' 
                      di misericordia rende il mondo meno freddo e più giusto". 
                      Ma poi subito aggiunse: "Ricordo, appena Vescovo, nell'anno 
                      1992, è arrivata a Buenos Aires la Madonna di Fatima e si 
                      è fatta una grande Messa per gli ammalati. Io sono andato 
                      a confessare, a quella Messa. E quasi alla fine della Messa 
                      mi sono alzato, perché dovevo amministrare una cresima. 
                      E' venuta da me una donna anziana, umile, molto umile, ultraottantenne. 
                      Io l'ho guardata e le ho detto: "Nonna - perché da noi si 
                      dice così agli anziani - nonna, lei vuole confessarsi?". 
                      "Sì, mi ha detto. "Ma se lei non ha peccato …". E lei mi 
                      ha detto: "Tutti abbiamo peccati …". "Ma forse il Signore 
                      non li perdona …". "Il Signore perdona tutto", mi ha detto, 
                      sicura. "Ma come lo sa, lei, signora? ". "Se il Signore 
                      non perdonasse tutto, il mondo non esisterebbe". Io ho sentito 
                      una voglia di domandarle: "Mi dica, signora, lei ha studiato 
                      alla Gregoriana? ", perché quella è la sapienza che dà lo 
                      Spirito Santo: la sapienza interiore verso la misericordia 
                      di Dio". Siamo in molti oggi a chiederci come mai questo 
                      "miracolo", che uomini e donne del nostro tempo, credenti 
                      e non credenti, nel giro di poche ore, siano rimasti colpiti, 
                      oserei dire affascinati, dalla predicazione del perdono, 
                      così insistente nelle parole di papa Francesco. Non sarà 
                      che a rendere credibile il messaggio sia proprio la tenerezza 
                      che abita lo sguardo di un papa? E non sarà che a rendere 
                      credibile il messaggio della chiesa di oggi sia la tenerezza 
                      che abita il nostro sguardo di credenti? Una questione di 
                      sguardo. Ritorniamo ai gesti dell'inizio: rifiutò la mozzetta 
                      di velluto rosso bordata di ermellino e la croce d'oro; 
                      salutò con un buona sera la folla. Ed ecco altro gesto luminosissimo 
                      degli inizi , rifiutò l'appartamento pontificio, andò a 
                      vivere a casa Santa Marta. E spiegò con chiarezza la scelta. 
                      Disse: "Ho scelto di abitare qui, nella camera 201, perché 
                      quando ho preso possesso dell'appartamento pontificio, dentro 
                      di me ho sentito distintamente un "no". L'appartamento pontificio 
                      nel Palazzo Apostolico non è lussuoso. È antico, fatto con 
                      buon gusto e grande, non lussuoso. Ma alla fine è come un 
                      imbuto al rovescio. È grande e spazioso, ma l'ingresso è 
                      davvero stretto. Si entra col contagocce, e io no, senza 
                      gente non posso vivere. Ho bisogno di vivere la mia vita 
                      insieme agli altri". Bellissimo. Casa Marta è un suo gesto, 
                      ma è anche un'indicazione per tutta la chiesa per ciascuno 
                      di noi. Riascoltiamo: "Io senza gente non posso vivere. 
                      Ho bisogno di vivere la mia vita insieme agli altri". Vivere 
                      insieme agli altri, lo disse ai vescovi italiani nel Convegno 
                      di Firenze. Lo disse con un esempio. Disse: "Ai vescovi 
                      chiedo di essere pastori. Non di più, pastori! Sia questa 
                      la vostra gioia: sono pastore. Sarà la gente, il vostro 
                      gregge, a sostenervi. Di recente ho letto su un giornale 
                      di un vescovo che raccontava che era in metrò all'ora di 
                      punta e c'era talmente tanta gente che non sapeva più dove 
                      mettere la mano per reggersi. Spinto a destra e a sinistra, 
                      si appoggiava alle persone per non cadere. E così ha pensato 
                      che, oltre la preghiera, quello che fa stare in piedi un 
                      vescovo, è la sua gente". Lo disse. E lo ripete di frequente 
                      con una frase che è diventata quasi un refrain: "Portatevi 
                      addosso l'odore delle pecore". Casa Marta fu il primo dei 
                      gesti. Come se lui in qualche misura volesse, prima di parlare, 
                      vivere tra la gente. Come se lui volesse toccare, prima 
                      di parlare. Anche le sue esortazioni apostoliche parlano 
                      di un Vescovo, il vescovo di Roma, che tocca, tocca la carne, 
                      poi parla. Tocca il pericolo di un cristianesimo ridotto 
                      a complesse dottrine, che perde la vivacità e la passione 
                      di un racconto, senza la gioia che è essenziale al vangelo, 
                      e scrive alla sua chiesa e al mondo la "Evangelii guadium". 
                      Il vescovo di Roma tocca gli esiti nefasti di una devastazione 
                      dissennata della natura, devastazione della casa comune 
                      e scrive alla chiresa e al mondo la "Laudato si'". Tocca 
                      con animo di pastore i problemi che oggi investono il matrimonio 
                      e le famiglie e scrive alla chiesa e al mondo pagine di 
                      fiducia e di accoglienza, scrive misricordiando, l' "Amoris 
                      laetitia". Parla di ciò che ha toccato. Con tenerezza. Lo 
                      vedi anche visibilmente, lo vedi dagli occhi, dal viso, 
                      dalle mani che toccano, o cercano di toccare. A volte, nel 
                      suo sbilanciarsi per toccare il capo di un bambino o un 
                      viso di donna, ti prende timore che possa addirittura cadere. 
                      Voi mi capite, segno di una chiesa che esce, si sbilancia, 
                      che tocca, non importa se può cadere. Anche il suo Signore 
                      è caduto. Quella casa di Santa Marta è un programma, è il 
                      programma di quella che lui chiama chiesa in uscita. Ne 
                      parlò già dalla prima Pentecoste del 2013, rivolgendosi 
                      ai movimenti. Voi mi perdonerete la lunga citazione, per 
                      me bellissima. Disse: "In questo momento di crisi non possiamo 
                      preoccuparci soltanto di noi stessi, chiuderci nella solitudine, 
                      nello scoraggiamento, nel senso di impotenza di fronte ai 
                      problemi. Non chiudersi, per favore! Questo è un pericolo: 
                      ci chiudiamo nella parrocchia, con gli amici, nel movimento, 
                      con coloro con i quali pensiamo le stesse cose… ma sapete 
                      che cosa succede? Quando la Chiesa diventa chiusa, si ammala, 
                      si ammala. Pensate ad una stanza chiusa per un anno; quando 
                      tu vai, c'è odore di umidità, ci sono tante cose che non 
                      vanno. Una Chiesa chiusa è la stessa cosa: è una Chiesa 
                      ammalata. La Chiesa deve uscire da se stessa. Dove? Verso 
                      le periferie esistenziali, qualsiasi esse siano, ma uscire. 
                      Gesù ci dice: "Andate per tutto il mondo! Andate! Predicate! 
                      Date testimonianza del Vangelo!" (cfr Mc 16,15). Ma che 
                      cosa succede se uno esce da se stesso? Può succedere quello 
                      che può capitare a tutti quelli che escono di casa e vanno 
                      per la strada: un incidente. Ma io vi dico: preferisco mille 
                      volte una Chiesa incidentata, incorsa in un incidente, che 
                      una Chiesa ammalata per chiusura! Uscite fuori, uscite! 
                      Pensate anche a quello che dice l'Apocalisse. Dice una cosa 
                      bella: che Gesù è alla porta e chiama, chiama per entrare 
                      nel nostro cuore (cfr Ap 3,20). Questo è il senso dell'Apocalisse. 
                      Ma fatevi questa domanda: quante volte Gesù è dentro e bussa 
                      alla porta per uscire, per uscire fuori, e noi non lo lasciamo 
                      uscire, per le nostre sicurezze, perché tante volte siamo 
                      chiusi in strutture caduche, che servono soltanto per farci 
                      schiavi, e non liberi figli di Dio?". Lui per il primo esce 
                      e parla di chiesa in uscita Agli universitari un giorno 
                      disse: "Per favore non guardate la vita dal balcone, ma 
                      mischiatevi lì dove ci sono le sfide, la lotta contro la 
                      povertà, per i valori. Il contesto socio- culturale in cui 
                      vivere è appesantito da mediocrità e noia. Non bisogna rassegnarsi 
                      alla monotonia. Ma andare oltre l'ordinario. Non lasciatevi 
                      rubare l'entusiasmo". Bellissimo, "non state alla finestra 
                      o al balcone, scendete". Succede a volte - e voi mi capite 
                      - che ci si rintani nell'appartamento, anche mentalmente, 
                      così che le parole o le proposte sembrano venire dall'appartamento, 
                      sembrano paludate; non sono nel linguaggio di ogni giorno, 
                      quello che la gente comune parla; non sono nei problemi 
                      di ogni giorno, quelli che la gente comune vive. E chi ascolta 
                      o vede sembra avere l'aria di chi ci dice: "Ma voi siete 
                      fuori dal mondo!". Ebbene c'è un essere fuori dal mondo 
                      che ci è vietato. Non fatevi l'appartamento nel senso dell'appartarsi. 
                      Mischiatevi. Lui, Francesco, ha coniato un verbo "balconare": 
                      "Non balconare la vita aspettando il fallimento". Ed ecco 
                      che il Papa proprio in questo orizzonte accanto alla parola 
                      "uscita", chiesa in uscita, mette la parola "incontro" e 
                      la parola "poveri". Ecco come prosegue: "In questa "uscita" 
                      è importante andare all'incontro; questa parola per me è 
                      molto importante: l'incontro con gli altri. Perché? Perché 
                      la fede è un incontro con Gesù, e noi dobbiamo fare la stessa 
                      cosa che fa Gesù: incontrare gli altri. Noi viviamo una 
                      cultura dello scontro, una cultura della frammentazione, 
                      una cultura in cui quello che non mi serve lo getto via, 
                      la cultura dello scarto. Ma su questo punto, vi invito a 
                      pensare - ed è parte della crisi - agli anziani, che sono 
                      la saggezza di un popolo, ai bambini… la cultura dello scarto! 
                      Ma noi dobbiamo andare all'incontro e dobbiamo creare con 
                      la nostra fede una "cultura dell'incontro", una cultura 
                      dell'amicizia, una cultura dove troviamo fratelli, dove 
                      possiamo parlare anche con quelli che non la pensano come 
                      noi, anche con quelli che hanno un'altra fede, che non hanno 
                      la stessa fede. Tutti hanno qualcosa in comune con noi: 
                      sono immagini di Dio, sono figli di Dio. Andare all'incontro 
                      con tutti, senza negoziare la nostra appartenenza. E un 
                      altro punto è importante: con i poveri. Se usciamo da noi 
                      stessi, troviamo la povertà. Oggi - questo fa male al cuore 
                      dirlo - oggi, trovare un barbone morto di freddo non è notizia. 
                      Oggi è notizia, forse, uno scandalo. Uno scandalo: ah, quello 
                      è notizia! Oggi, pensare che tanti bambini non hanno da 
                      mangiare non è notizia. Questo è grave, questo è grave! 
                      Noi non possiamo restare tranquilli! Mah… le cose sono così. 
                      Noi non possiamo diventare cristiani inamidati, quei cristiani 
                      troppo educati, che parlano di cose teologiche mentre prendono 
                      il tè, tranquilli. No! Noi dobbiamo diventare cristiani 
                      coraggiosi e andare a cercare quelli che sono proprio la 
                      carne di Cristo, quelli che sono la carne di Cristo! Questo 
                      è il problema: la carne di Cristo, toccare la carne di Cristo, 
                      prendere su di noi questo dolore per i poveri. La povertà, 
                      per noi cristiani, non è una categoria sociologica o filosofica 
                      o culturale: no, è una categoria teologale. Direi, forse 
                      la prima categoria, perché quel Dio, il Figlio di Dio, si 
                      è abbassato, si è fatto povero per camminare con noi sulla 
                      strada". Penso di aver abusato della vostra pazienza. Ma 
                      sarei disonesto se non aggiungessi un ultimo pensiero: nasconderei 
                      una parte, se pur piccola, ma velenosa, della realtà. Con 
                      Papa Francesco noi respiriamo primavera, noi sogniamo a 
                      occhi aperti, ma non possiamo purtroppo nasconderci che 
                      ci sono oggi nella chiesa - pensate, nella chiesa! - coloro 
                      che subdolamente, a volte anche apertamente, sfidano il 
                      vescovo di Roma, fanno la fronda e attaccano con un livore 
                      che non avremmo mai immaginato, sino a tacciarlo di eresia, 
                      solo perché non ha mummificato - come invece fanno loro 
                      - la tradizione. Penso che il papa abbia motivo di chiederci 
                      di pregare: "Mi raccomando, pregate per me". Penso anche 
                      che è giunta l'ora in cui tutti noi - e guardo a voi questa 
                      sera - , nel nostro ambiente, là dove siamo, cerchiamo di 
                      difendere con tutte le nostre forze il sogno, la primavera 
                      della chiesa. Difendere come? Sarò ingenuo, ma ponendo alle 
                      critiche di costoro una domanda: "Ma che cosa faceva, che 
                      cosa diceva di diverso Gesù? Questo papa sta pagando il 
                      prezzo della profezia. Va difesa la profezia. Ne va del 
                      vangelo. Proprio in questi giorni mi è capitato di leggere 
                      una lettera che va circolando in varie nazioni del mondo, 
                      chiedendo adesioni. La lettera dice: "Caro e stimatissimo 
                      papa Francesco, le tue iniziative pastorali e la loro fondazione 
                      teologica sono oggi sottoposte a un veemente attacco da 
                      parte di un gruppo nella Chiesa. Con questa lettera aperta 
                      noi ti vogliamo esprimere la nostra gratitudine per la tua 
                      coraggiosa e teologicamente ineccepibile leadership pontificale. 
                      In poco tempo tu sei riuscito a rinnovare la cultura pastorale 
                      della Chiesa cattolica romana in fedeltà alle sue origini 
                      in Gesù. La gente ferita, la natura ferita vanno dritte 
                      al tuo cuore, Tu vedi la Chiesa come un ospedale da campo 
                      sul ciglio della vita. Al centro della tua preoccupazione 
                      c'è ogni singola persona amata da Dio. Nell'incontro con 
                      gli altri la compassione e non una angustiante interpretazione 
                      legalistica della legge deve avere l'ultima parola. Dio 
                      e la sua misericordia caratterizzano l'impostazione pastorale 
                      che tu vorresti per la Chiesa. Il tuo sogno è di una Chiesa 
                      madre e pastora. Noi condividiamo il tuo sogno. Ti preghiamo 
                      di non allontanarti dal cammino che hai intrapreso e ti 
                      assicuriamo il nostro pieno sostegno e la nostra costante 
                      preghiera"( n un suo piccolo libro , "Il Cristo dei papaveri", 
                      scrive: "Tra la mia vita e la mia morte, una semplice parete 
                      di carta. Io ti sento camminare dietro". (Tutti possono 
                      firmare questa lettera, andando sul sito www.pro-pope-francis.com) 
                      . 
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