documenti e interviste


Alessandro Zaccuri, intervista don Angelo Casati, su Avvenire, 9 dicembre 2014



Metropoli, la porta aperta di Dio

 

La parrocchia presso la quale risiede da qualche anno si affaccia su una strada del centro di Milano, ma per arrivare a casa sua occorre prendere la via a fianco, famosa in tutto il mondo per i negozi che ospita. Si supera il portone e, mentre ci si inoltra nel lungo corridoio, ci si ritrova a schivare le commesse che, di buon mattino, stanno sistemando la merce da esporre per Natale.

"A volte capita pure sul marciapiede, sa? - racconta il sacerdote-poeta - Le persone guardano le vetrine e nemmeno si accorgono di venirti addosso. All'inizio era una situazione che un po' mi infastidiva, poi però mi sono detto che non dovevo covare risentimento. Anche ci passa da queste parti in cerca di un capo alla moda, infatti, porta dentro di sé un lembo di Dio. È la lezione di Etty Hillesum: disseppellire il Dio che sta dentro i cuori devastati. E si può essere devastati anche dal troppo benessere, dalla mancanza di solidarietà".

All'età di 83 anni, don Angelo parla del nostro tempo come di una stagione entusiasmante, che annuncia una rinascita. In libreria è appena arrivato "Il sorriso di Dio" (il Saggiatore, pagine 416, euro 18), che raccoglie tre fra i titoli più significativi della sua vasta produzione spirituale: "Diario di un curato di città", "Incontri con Gesù", "La fede sottovoce".
Un libro corposo, al quale si può affiancare un limpido volumetto di meditazioni natalizie, "I giorni dello stupore", pubblicato dalla Fraternità di Romena (pagine 96, euro 10).

Sorriso, stupore: sono questi, oggi, i segni dei tempi?

"Mi torna in mente il modo in cui il cardinale Carlo Maria Martini si riferiva al Concilio - risponde Casati -. Eravamo entusiasti, diceva, guardavamo al futuro, parlavamo al mondo. Ecco, è quello che sta accadendo adesso. C'è un'attesa di notizie buone che porta a riconoscere nel Vangelo la vera buona notizia per l'uomo. Questo passa per la figura di Papa Francesco, non c'è dubbio, ma poi travalica, va oltre. Si avverte nella Chiesa, nella società".

Quali sono stati per lei gli incontri più importanti?

"Ho avuto molti compagni di strada e ho imparato a capire che ogni persona che mi si accosta può diventare per me pane per il cammino. Perché il cum-panis è colui che divide il pane con noi e che per noi si fa pane, appunto. La mia tribù si compone di tanti volti e ciascuno mi ha segnato con una domanda. Quando insegnavo in seminario, non consideravo gli studenti come vasi da riempire. Ero io, semmai, che dovevo capire che cosa si portavano nel cuore. Il complimento più bello me lo fatto una bambina di neppure dodici anni. Si era sparsa la voce che stavo per lasciare la parrocchia di Lecco e lei mi ha fermato in una delle stradine che guardano sul lago. "Chi mi parlerà sottovoce di Dio?", mi ha domandato. Ha espresso bene quello che ho sempre tentato di fare: cercare Dio non nella declamazione di una fede recitata, ma in una voce sottile, che sapesse farsi compagna di ciascuno".

Quanto ha contato l'amicizia con padre David Maria Turoldo?

"Moltissimo, anche perché è stato lui a spronarmi a raccogliere gli articoli che pubblicavo sui settimanali diocesani, è stato lui a incoraggiarmi a scrivere versi. Per un certo periodo è stato mio ospite a Lecco e non perdeva occasione per rimproverarmi con ironia. Voi parroci vi agitate troppo, ripeteva, sempre a correre di qua e di là, ma come fate..."

Aveva ragione?

"Vede, gli uomini come Turoldo possono essere paragonati all'invaso d'acqua di una diga, su in quota. Sono necessari, ma poi l'acqua deve scendere a valle, raggiungere l'alveo dei fiumi".

E questo lo fanno i parroci?

"Questo è stato per me, fin dal principio, il senso del mio essere sacerdote. La parrocchia mi è sempre piaciuta molto, sia quando ero coadiutore a Busto Arsizio, sia quando sono stato curato a Lecco e a Milano. La parrocchia è una struttura aperta, per accedere alla quale non è richiesta alcuna appartenenza. Spingi la porta ed entri, senza che nessuno pretenda nulla da te. Le persone più lontane dalla Chiesa possono varcare quella soglia, con esiti spesso sorprendenti".

Anche quello con il cardinal Martini è stato un rapporto importante...

"Importante, anzitutto, era la sua insistenza sulla Parola di Dio, la sua capacità di ripartire ogni volta dalla notizia buona del Vangelo, dall'annuncio di una misericordia che tutto avvolge. Fisicamente era un gigante, ma non parlava mai dall'alto, sapeva mettersi al livello dell'interlocutore. Sono tratti che ritrovo nello stile episcopale di Papa Francesco".

Nei suoi scritti lei torna spesso sul ruolo della donna nella Chiesa...

"Sì, nella Chiesa e nel mondo. Mi ha sempre colpito lo sguardo femminile, così differente da quello maschile, la disponibilità a considerare ogni questione da una prospettiva inattesa per noi uomini. Quello della donna è un pensiero meno astratto, più orientato al prendersi cura, alla resistenza di fronte alle difficoltà della vita. Leggendo il Vangelo, ci si rende conto di quanto Gesù avesse, nei confronti delle donne, un atteggiamento che doveva apparire sconcertante per l'epoca. Nessun rabbino avrebbe mai ammesso una donna tra i suoi discepoli, Gesù arriva addirittura a farsi imporre un miracolo da una di loro. Dalla Cananea, per l'esattezza, che non per niente i cristiani ortodossi chiamano "la Teologa"".

Il nostro mondo è attraversato da molte paure. Qual è la più pericolosa?

"La paura di amare, probabilmente. Ci impedisce di incontrare l'altro, di riconoscerne il volto, di accarezzarlo. Non si esiste, altrimenti, perché è uscire da noi stessi. Chi non ama rimane rinchiuso in sé, nella morte".

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