articoli di d. Angelo


 

LI GUARDÒ E LI TROVÒ BELLI

Forse lo si vede dagli occhi o da come ne parlo, tant'è che, non una ma più volte, mi è capitato di sentirmi chiedere perché mi innamori così intensamente dei fidanzati. "Guai a chi glieli tocca": va dicendo scherzosamente qualcuno.
Gli è che un po' tutti, credo, ce ne innamoriamo o sarebbe bello ce ne innamorassimo.
Mi chiedi perché? Perché, che cosa c'è di più bello che indugiare su come si guardano due creature che si amano, su cosa filtra nei loro occhi? Li vedi parlarsi teneramente con le mani, appoggiarsi a sostegno l'uno all'altro. Succede quando sono nel grande cerchio agli incontri o quando parliamo e sogniamo insieme il giorno del consenso e tanti altri giorni.
Sono belli, mi dico. Rimangono belli anche quando, nei giorni di vigilia, il loro è viso segnato dalla fatica, la fatica di tanti, forse troppi sfinimenti, che accompagnano la preparazione di un matrimonio.
Sono belli, belli insieme. Li guardo e mi accorgo che hanno il potere, dolce potere, di sciogliere le durezze del mio viso. E mi riscopro che sorrido. Sorrido in silenzio.
E il pensiero va al Libro, le prime pagine del Libro, prime pagine della Genesi, dove è scritto che Dio li trovò belli. La nostra traduzione scrive "cosa buona", "molto buona", ma nella lingua ebraica, meno pallida della nostra, il termine può significare anche, o forse meglio, "cosa bella", "cosa molto bella".
"E vide" - è scritto - "che era una cosa molto bella". Quella coppia, Adamo e Eva, nomi di ogni uomo e di ogni donna, erano belli. E Dio si fermò a guardarli. Anche lui li trovò belli. Perché belli? Non trovi bello che, camminando insieme un uomo e una donna, sia avvenuto come uno svelamento? "Mostrami il tuo viso, fammi sentire la tua voce": dice il Cantico (Ct 2, 14).
Ora che hai intuito la voce più segreta dell'altro, la voce che si rivela nel silenzio, ora che hai scoperto il viso più vero dell'altro, quello che si svela parlandosi al cuore o, forse meglio, parlandosi sul cuore, ora, pur consapevole dei tuoi limiti e della tua fragilità, senza la presunzione ingenua di ipotecare il futuro, ti senti di dire parole che suonano a custodia, a custodia futura dell'altro, parole che dicono amore. Ma non quello delle canzonette. "Quello delle canzonette" - scrive un amico nel romanzo - "è un ammore di melanconia, uno strofinaccio di lacrime e sospiri. Le nostre chiacchiere strette scappano nel vento, che ce le scippa dalla bocca". "L'amore nostro" - scrive - "è un'alleanza e una forza di combattimento" (Erri De Luca, Monte di Dio).
Un'alleanza, una forza di combattimento. E, dentro, la sfida dell'alterità: belli anche perché diversi. Perché l'altro non è il tuo sosia. E nemmeno ti appartiene anelito di clonazione.
Nell'altro hai toccato una pelle diversa. Anche se è della tua stessa razza. L'altro vede cose che tu non vedi. Tu vedi terre di un colore che solo i tuoi occhi gli potranno raccontare.
Raccontiamo paesi diversi. E se siamo a distanza di rispetto e non a vicinanza di invasione e di soffocamento, viaggiamo negli occhi dell'altro e l'altro nei nostri. Purché sia uscita. E nessuno stia a presidiare la sua porta come invalicabile. Amore e matrimonio sono uscita, "estasi". E la parola allude allo "star fuori". Fuori di se stessi e dunque uscita, uscita e accompagnamento.
Sere fa in un incontro di fidanzati provammo emozione, ascoltavamo racconti. E, dentro le storie, quella di una ragazza cattolica e di un ragazzo musulmano. L'ascolto era un'intensità di volti. Come piegati in avanti da un vento, tesi ad ascoltare. Prima lei, Maria Chiara, a dire perché la sua scelta di sposarsi in chiesa. Poi la domanda a lui, Hazem: "Perché tu musulmano ti sposi in una chiesa cattolica?". Ed incominciò - cercava le parole nostre, le conosceva per amore - incominciò dicendo che Maria Chiara lui la sposava in una chiesa cattolica, perché a Maria Chiara voleva bene e sapeva che per lei era importante, molto importante. Poi aggiunse che era contento, felice, di aver incontrato una ragazza credente e non solo- per l'anagrafe credente, perché anche per lui importantissima è nella vita la fede, importante per lui credere in Dio. E il Dio in cui crediamo - disse - al di là di tutto è unico. Ci spiegò anche che nell'Islam due sono le modalità di celebrazione del matrimonio, quella religiosa e quella laica. Ma lui sentiva più suo il matrimonio in un luogo sacro, perché per lui il matrimonio è davanti a Dio.
Nella sala respirava l'emozione. Per l'incontro con l'alterità. Una alterità che, a ben guardare, è già incisa in noi fin dall'utero, nell'essere uomo e donna. Alterità incancellata. A prova di insana distruzione là dove purtroppo la miopia degli umani costruisce per insipienza o per paura confini desolanti tra i sessi.
Avvenne anche, alcune sere dopo, quando nei nostri discorsi filtrava, quasi senza che ce ne accorgessimo, un eccesso di preoccupazione, quasi una pretesa di sicurezze, di garanzie, di assicurazione sul futuro, che fosse proprio lui, Hazem, l'uomo di una religione altra, a chiederci se non ci dovessimo abbandonare più fiduciosamente a Dio.
Il richiamo forte, sia pur privo di ogni durezza, riaccese in noi le parole di Gesù che metteva in guardia dall'affanno, raccontando di un Padre che veste i fiori del campo e nutre gli uccelli dell'aria. Pagine cancellate nella memoria di una società che, pur dicendosi cristiana, ha fatto un mito, quasi un assoluto, della programmazione, censurando ogni abbandono. Mentre chiunque osi pensare non può non convenire che l'improgrammabile abita di diritto, di nascita il matrimonio, che è strada, che è futuro.
Dentro un tempo, il nostro, che sta consumando se stesso nell'organizzazione, quasi che l'unica cosa importante sia radunare dentro la vela legname, preparare attrezzi, distribuire incarichi e lavori, in una parola organizzare, organizzare anche un matrimonio, Pia e Alberto sul frontespizio del loro libretto di matrimonio, quasi pagine di bordo per traversate future, hanno disegnato la figura di una vela e, dentro le pagine, le parole di Antoine de Saint Exupéry, profondamente vere anche per un matrimonio: "Se vuoi costruire un'imbarcazione, non preoccuparti di adunare uomini per raccogliere legname, preparare attrezzi, affidare incarichi e distribuire lavoro, vedi piuttosto di risvegliare in loro la nostalgia del mare e della sua sconfinata grandezza".
Forse è tempo che liberiamo immaginazione anche per il matrimonio, e che non siano i matrimoni l'uno il clone dell'altro. E condividere con chi si sposa la nostalgia del mare. E sognare insieme, oltre i modelli già percorsi, navigazioni non imprigionate.
Succede oggi sempre più spesso che chi si sposa predisponga per la celebrazione un libricino. Se mi è consentito un consiglio, vorrei suggerire di interrogare attentamente questi esili libricini. E la preferenza non vada a quelli "perfetti", che non fanno che ripetere quanto sta già puntualmente scritto. Puntualmente, alla virgola. Ma vada invece a quelli che conservano qualche sussulto di pensiero o di immaginazione: una lettura nuova dalla Bibbia o da libri meno "sacri" ma non privi dello svelamento dello spirito. Leggere e sostare: sono istruzioni per un viaggio, promemoria per la navigazione. Le rotte non sono mai l'una uguale all'altra. E noi non siamo gente di terra ferma, ma di altre terre. Siamo figli di Abramo cui fu detto: "Esci dalla tua terra". Dal conosciuto. Inventa una cosa nuova.
E, se mi rimane ancora spazio, lo darei a un monito di Padre David Maria Turoldo. Lo riodo nella sua voce forte: "Non fate l'appartamento, fate una casa". No all'ap-partamento nel senso dell'appartarsi, sì alla casa nel senso dell'ospitalità.
E l'ultimo spazio bianco, ultimo veramente, va di diritto alla parola del Salmo: "Guardate a Lui e sarete raggianti, non saranno confusi i vostri volti" (Sl 33, 6). Perché non vi succeda di non sapere più chi siete e dove siete. Nella navigazione guardate a Lui. E sarete raggianti.

don Angelo


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