LI
GUARDÒ E LI TROVÒ BELLI
Forse
lo si vede dagli occhi o da come ne parlo, tant'è
che, non una ma più volte, mi è capitato di
sentirmi chiedere perché mi innamori così
intensamente dei fidanzati. "Guai a chi glieli tocca":
va dicendo scherzosamente qualcuno.
Gli è che un po' tutti, credo, ce ne innamoriamo
o sarebbe bello ce ne innamorassimo.
Mi chiedi perché? Perché, che cosa c'è
di più bello che indugiare su come si guardano due
creature che si amano, su cosa filtra nei loro occhi? Li
vedi parlarsi teneramente con le mani, appoggiarsi a sostegno
l'uno all'altro. Succede quando sono nel grande cerchio
agli incontri o quando parliamo e sogniamo insieme il giorno
del consenso e tanti altri giorni.
Sono belli, mi dico. Rimangono belli anche quando, nei giorni
di vigilia, il loro è viso segnato dalla fatica,
la fatica di tanti, forse troppi sfinimenti, che accompagnano
la preparazione di un matrimonio.
Sono belli, belli insieme. Li guardo e mi accorgo che hanno
il potere, dolce potere, di sciogliere le durezze del mio
viso. E mi riscopro che sorrido. Sorrido in silenzio.
E il pensiero va al Libro, le prime pagine del Libro, prime
pagine della Genesi, dove è scritto che Dio li trovò
belli. La nostra traduzione scrive "cosa buona",
"molto buona", ma nella lingua ebraica, meno pallida
della nostra, il termine può significare anche, o
forse meglio, "cosa bella", "cosa molto bella".
"E vide" - è scritto - "che era una
cosa molto bella". Quella coppia, Adamo e Eva, nomi
di ogni uomo e di ogni donna, erano belli. E Dio si fermò
a guardarli. Anche lui li trovò belli. Perché
belli? Non trovi bello che, camminando insieme un uomo e
una donna, sia avvenuto come uno svelamento? "Mostrami
il tuo viso, fammi sentire la tua voce": dice il Cantico
(Ct 2, 14).
Ora che hai intuito la voce più segreta dell'altro,
la voce che si rivela nel silenzio, ora che hai scoperto
il viso più vero dell'altro, quello che si svela
parlandosi al cuore o, forse meglio, parlandosi sul cuore,
ora, pur consapevole dei tuoi limiti e della tua fragilità,
senza la presunzione ingenua di ipotecare il futuro, ti
senti di dire parole che suonano a custodia, a custodia
futura dell'altro, parole che dicono amore. Ma non quello
delle canzonette. "Quello delle canzonette" -
scrive un amico nel romanzo - "è un ammore di
melanconia, uno strofinaccio di lacrime e sospiri. Le nostre
chiacchiere strette scappano nel vento, che ce le scippa
dalla bocca". "L'amore nostro" - scrive -
"è un'alleanza e una forza di combattimento"
(Erri De Luca, Monte di Dio).
Un'alleanza, una forza di combattimento. E, dentro, la sfida
dell'alterità: belli anche perché diversi.
Perché l'altro non è il tuo sosia. E nemmeno
ti appartiene anelito di clonazione.
Nell'altro hai toccato una pelle diversa. Anche se è
della tua stessa razza. L'altro vede cose che tu non vedi.
Tu vedi terre di un colore che solo i tuoi occhi gli potranno
raccontare.
Raccontiamo paesi diversi. E se siamo a distanza di rispetto
e non a vicinanza di invasione e di soffocamento, viaggiamo
negli occhi dell'altro e l'altro nei nostri. Purché
sia uscita. E nessuno stia a presidiare la sua porta come
invalicabile. Amore e matrimonio sono uscita, "estasi".
E la parola allude allo "star fuori". Fuori di
se stessi e dunque uscita, uscita e accompagnamento.
Sere fa in un incontro di fidanzati provammo emozione, ascoltavamo
racconti. E, dentro le storie, quella di una ragazza cattolica
e di un ragazzo musulmano. L'ascolto era un'intensità
di volti. Come piegati in avanti da un vento, tesi ad ascoltare.
Prima lei, Maria Chiara, a dire perché la sua scelta
di sposarsi in chiesa. Poi la domanda a lui, Hazem: "Perché
tu musulmano ti sposi in una chiesa cattolica?". Ed
incominciò - cercava le parole nostre, le conosceva
per amore - incominciò dicendo che Maria Chiara lui
la sposava in una chiesa cattolica, perché a Maria
Chiara voleva bene e sapeva che per lei era importante,
molto importante. Poi aggiunse che era contento, felice,
di aver incontrato una ragazza credente e non solo- per
l'anagrafe credente, perché anche per lui importantissima
è nella vita la fede, importante per lui credere
in Dio. E il Dio in cui crediamo - disse - al di là
di tutto è unico. Ci spiegò anche che nell'Islam
due sono le modalità di celebrazione del matrimonio,
quella religiosa e quella laica. Ma lui sentiva più
suo il matrimonio in un luogo sacro, perché per lui
il matrimonio è davanti a Dio.
Nella sala respirava l'emozione. Per l'incontro con l'alterità.
Una alterità che, a ben guardare, è già
incisa in noi fin dall'utero, nell'essere uomo e donna.
Alterità incancellata. A prova di insana distruzione
là dove purtroppo la miopia degli umani costruisce
per insipienza o per paura confini desolanti tra i sessi.
Avvenne anche, alcune sere dopo, quando nei nostri discorsi
filtrava, quasi senza che ce ne accorgessimo, un eccesso
di preoccupazione, quasi una pretesa di sicurezze, di garanzie,
di assicurazione sul futuro, che fosse proprio lui, Hazem,
l'uomo di una religione altra, a chiederci se non ci dovessimo
abbandonare più fiduciosamente a Dio.
Il richiamo forte, sia pur privo di ogni durezza, riaccese
in noi le parole di Gesù che metteva in guardia dall'affanno,
raccontando di un Padre che veste i fiori del campo e nutre
gli uccelli dell'aria. Pagine cancellate nella memoria di
una società che, pur dicendosi cristiana, ha fatto
un mito, quasi un assoluto, della programmazione, censurando
ogni abbandono. Mentre chiunque osi pensare non può
non convenire che l'improgrammabile abita di diritto, di
nascita il matrimonio, che è strada, che è
futuro.
Dentro un tempo, il nostro, che sta consumando se stesso
nell'organizzazione, quasi che l'unica cosa importante sia
radunare dentro la vela legname, preparare attrezzi, distribuire
incarichi e lavori, in una parola organizzare, organizzare
anche un matrimonio, Pia e Alberto sul frontespizio del
loro libretto di matrimonio, quasi pagine di bordo per traversate
future, hanno disegnato la figura di una vela e, dentro
le pagine, le parole di Antoine de Saint Exupéry,
profondamente vere anche per un matrimonio: "Se vuoi
costruire un'imbarcazione, non preoccuparti di adunare uomini
per raccogliere legname, preparare attrezzi, affidare incarichi
e distribuire lavoro, vedi piuttosto di risvegliare in loro
la nostalgia del mare e della sua sconfinata grandezza".
Forse è tempo che liberiamo immaginazione anche per
il matrimonio, e che non siano i matrimoni l'uno il clone
dell'altro. E condividere con chi si sposa la nostalgia
del mare. E sognare insieme, oltre i modelli già
percorsi, navigazioni non imprigionate.
Succede oggi sempre più spesso che chi si sposa predisponga
per la celebrazione un libricino. Se mi è consentito
un consiglio, vorrei suggerire di interrogare attentamente
questi esili libricini. E la preferenza non vada a quelli
"perfetti", che non fanno che ripetere quanto
sta già puntualmente scritto. Puntualmente, alla
virgola. Ma vada invece a quelli che conservano qualche
sussulto di pensiero o di immaginazione: una lettura nuova
dalla Bibbia o da libri meno "sacri" ma non privi
dello svelamento dello spirito. Leggere e sostare: sono
istruzioni per un viaggio, promemoria per la navigazione.
Le rotte non sono mai l'una uguale all'altra. E noi non
siamo gente di terra ferma, ma di altre terre. Siamo figli
di Abramo cui fu detto: "Esci dalla tua terra".
Dal conosciuto. Inventa una cosa nuova.
E, se mi rimane ancora spazio, lo darei a un monito di Padre
David Maria Turoldo. Lo riodo nella sua voce forte: "Non
fate l'appartamento, fate una casa". No all'ap-partamento
nel senso dell'appartarsi, sì alla casa nel senso
dell'ospitalità.
E l'ultimo spazio bianco, ultimo veramente, va di diritto
alla parola del Salmo: "Guardate a Lui e sarete raggianti,
non saranno confusi i vostri volti" (Sl 33, 6). Perché
non vi succeda di non sapere più chi siete e dove
siete. Nella navigazione guardate a Lui. E sarete raggianti.
don
Angelo
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