articoli di d. Angelo


 

TI CHIAMERÒ ALESSIA

Ti chiamerò Alessia.
Tu mi parlavi. E io mi perdevo nei tuoi occhi e oltre. A buona, emozionante, "perdizione".
Nel nostro incontro c'era qualcosa che non ci apparteneva. Qualcuno lo chiama il destino e alla parola affida la figura del caso, "per caso". Ma né tu né io ci riconosceremmo in questa parola. L'incontro è oltre, oltre il casuale. Per questo dico che mi perdevo nei tuoi occhi e oltre.
Che cosa ti aveva portato in parrocchia quel giorno? Qualcosa (o Qualcuno?) che sta oltre? Immagino che i locali ecclesiastici, a una prima visione, ti siano apparsi un po' strani. Non ci eri abituata. Non avevi nessuna frequentazione di preti. Non sei battezzata.
Mi chiedesti di parlarmi. Eri senza pregiudizi, senza resistenze. Ti dirò che, quando sono meno consunto dall'abitudine, sento come un dono, dono immeritato, che qualcuno mi chieda di parlarmi. Chi sono io perché un uomo, una donna o, ancor più, Dio chieda di parlarmi, mi sveli il suo cuore?
Ti fissavo. Eri oltre. Oltre le cose ovvie. Sentivi dentro di te, mi dicesti, come un'attesa, un bisogno. E ti eri chiesta se quello fosse un luogo in cui esplorare il bisogno, se la fede potesse avere a che fare con l'attesa che ora ti abita. Ti abita e ti mette in cammino.
Storia, la tua, di una ragazza del nostro tempo, dentro stagioni che monotonamente persistiamo a giudicare pallide e chiuse. Storia simbolo, la tua, di innumerevoli storie che mi è accaduto di incontrare, per grazia, in questi anni. Storie quotidiane, silenziose, storie dei "piccoli" del vangelo, dentro istituzioni che privilegiano ciò che fa rumore. Fanno rumore le monete gettate ad esibizione nella cassa delle offerte nel tempio. Non fa rumore l'invisibile moneta della vedova inghiottita dal silenzio. Storie della vedova del vangelo, quella dell'unico spicciolo. Ci ha messo tutta la sua vita, dice il Signore. Lui vedeva. Noi vediamo altro.
Sto deviando, Alessia. Tu mi perdonerai. Era per dire a te, alla mia comunità, ma anche agli amici per cui scrivo, che nella mia vita di prete sono queste - e sono quasi quotidiane, non sono l'eccezione - le storie che mi emozionano.
Arrivavi da lontano. O da vicino? Come un giorno era successo ai Magi, scrutatori di stelle. Da lontano o da vicino? Loro venivano dall'Oriente. E dov'è l'oriente di un uomo o di una donna?
E che cosa trovano i cercatori di stelle, i cercatori di colui che fa palpitare le stelle?Trovano brividi o pesantezze?
Chissà perché, quando vedo arrivare i cercatori di stelle, anche uno solo, uno solo come te, mi prende dentro come un desiderio di protezione, di protezione dei semi che portano nel cuore, troppo spesso in pericolo di asfissia nei nostri ambienti.
Quando mi capitò per caso strano di parlare dei cosiddetti lontani, dei ricercatori di stelle, in un'aula di una facoltà teologica, mi parve di sentire nell'aria una sorta di compassione: il parroco non era attrezzato teologicamente, raccontava storie, storie di vita, si perdeva, come succede agli innamorati, dietro volti. Riposi gli appunti in una busta trasparente, scesi le scale, portavo il peso delle mie ingenuità. Ma poi, fuori, all'aria aperta, testa dura, dice qualcuno, non mi riuscì di disamorarmi delle storie, che vengono guardate con distanza e sufficienza dentro le aule asettiche del sapere, aule che meritano ben altro. Le storie hanno il difetto di non essere nella forma delle sistemazioni didattiche, sono nella forma della vita, sono cammini al sole.
Fuori, all'aria aperta, per reazione forse, sentii farsi ancora più prepotente in me un desiderio di protezione nei confronti dei cercatori di stelle. Che siano protetti da asfissia, da pesantezze, da corte visioni.
È il desiderio che mi porta, durante i colloqui del consenso matrimoniale, a nascondere maldestramente agli occhi dei fidanzati alcune titolature dei documenti dell'incartamento matrimoniale che spengono tristemente ogni emozione all'incontro, del tipo "istruttoria (sic!) matrimoniale" oppure "esame (sic!) dei fidanzati". La pesantezza delle parole e dei documenti, a fronte della "leggerezza" e della libertà dell'amore, a fronte della "leggerezza" e della libertà del vangelo.
Come al contadino a volte succede anche a noi di scrutare atterriti le nubi alte nel cielo. L'alto di coloro che non frequentano le case degli uomini e delle donne del nostro tempo o frequentano solo i salotti. Ci succede di guardare in alto e di augurarci che non sia scroscio a devastazione di steli e germogli, non sia aria amara di crociate e dogmatismi, di esclusioni e condanne, vento di tempesta dai cieli.
Anche Gesù si trovò spesso a difendere dal gelo della rozzezza e della miopia gli inizi dei cammini dei cercatori di stelle: passano nella memoria volti e volti del vangelo.
Anche lui a difendere i piccoli dalla pesantezza delle presunzioni, dall'assolutezza arrogante degli insegnamenti. I piccoli, quelli per i quali non finiva di benedire Dio, affaticati e non liberati dalla religione, gravati di pesi che, a suo dire, i detentori dell'ortodossia nemmeno sfioravano con un dito: "Venite a me, voi che siete affaticati, il mio giogo al contrario è dolce e il mio carico leggero". La "legge-rezza" e la libertà del Vangelo.
E la parola "libertà" mi riconduce a te, Alessia, ai cammini nel sole, ai germogli, che vivono della rugiada del vangelo. Che cosa avrei potuto proporre a una ragazza come te, abitata da un'attesa se non la Bibbia, il Vangelo, che, come dice la parola, è buona notizia e colui che è un vangelo, una buona notizia, Gesù di Nazaret?
Rimasi sorpreso. Erano passati solo alcuni giorni, sorpreso e commosso, dalle tue parole. "Finalmente" dicevi "Milano si è tinta di sole. Continuo a leggere la Bibbia, con a volte la sensazione di comprendere, di sentire e che non ci sia quasi bisogno di pensare troppo, di capire. Succede semplicemente che delle cose risuonano, mi commuovono, mi fanno venire una gran voglia di vivere, un gran desiderio di avventure umane, della propria avventura umana".
La leggerezza, la libertà del vangelo. E io con l'attesa in cuore di capire che cosa avesse incantato una come te dietro le pagine che raccontano di Gesù.
"Sono rimasta affascinata" mi dicesti "dalla libertà di Gesù, dalla libertà che dà Gesù. Non ho mai trovato qualcosa di simile. Respiro la libertà".
Sì, la respiri ad ogni pagina. Ed è sconcertante che chi tocca le pagine per la prima volta ne rimanga segnato, sedotto, mentre noi, che le abbiamo ricevute da tempo, in tante nostre espressioni siamo per lo più confinati nella figura di chi vive l'assuefazione alle direttive e non nella figura della libertà di Gesù, una libertà che gli veniva dalla sua passione per Dio e per l'uomo. La passione per Dio e per l'uomo lo rendeva luminosamente libero.
Libero di una libertà che faceva scandalo. Quanto scandalo, Alessia, nei vangeli! Noi preferiamo sorvolare, ma quanto scandalo! Quasi ad ogni pagina, per quella sua libertà interiore. Insopprimibile.
Noi facciamo scandalo per l'opposto.
Ritornano alla memoria le parole di Padre Giulio Bevilacqua. Paolo VI, che lo ebbe suo stimato padre spirituale, lo volle cardinale, un cardinale che rifiutò, allergia da vangelo, le vesti rosse di porpora.
Scriveva Padre Bevilacqua: "Una razza nuova ha prolificato su questa teologia della dedicazione e su questa teologia del calcolo (deve essere poi la teologia della legge), sono nati non degli umili, dei deboli che il tempio di Dio si gloria di accogliere tra le sue pareti, ma degli evasi dall'impegno battesimale. Lo stile è stato fissato per sempre da osservatori senza reticenze e senza misericordia. Mounier li definiva "esseri impacciati che non vi guardano in faccia, che camminano con il volto al suolo, che pesano e misurano il gesto al millimetro, eroi linfatici, vasi di noia, sacri sillogismi, ombre di ombre". Péguy, trent'anni prima ne aveva smontato il meccanismo psicologico dicendo: "Perché non hanno forza per essere della natura, credono di appartenere alla grazia. Perché non hanno coraggio temporale, credono di essere penetrati dall'eterno. Perché non possono appartenere al mondo che rifiutano, credono di appartenere a Dio". Struzzi che nascondono le loro teste nelle sabbie del cielo. Tale fotografia potrebbe anche fissare i risultati di certi metodi formativi che organizzano la santità come un itinerario di fuga o come un recinto di filo spinato perché nessun contatto si stabilisca con una realtà quotidiana che può essere maleodorante di sudore o di sterco, ma che il Verbo vuol pure stringere nelle sue mani come creta per nuove creazioni più perfette delle prime".
E con le parole di Padre Bevilacqua ritornano alla mente quelle di Paolo VI, suo figlio spirituale, che il 9 luglio 1969 diceva: "Il nostro tempo, di cui il Concilio si fa interprete e guida, reclama libertà. Avremo un periodo nella vita della chiesa di maggior libertà, cioè di minori obbligazioni legali e minori inibizioni interiori. Sarà ridotta la disciplina formale, abolita ogni arbitraria intolleranza, ogni assolutismo, sarà semplificata la legge positiva, temperato l'esercizio dell'autorità, sarà promosso il senso di quella libertà cristiana che tanto interessò la prima generazione cristiana".
Sono parole di un Papa, eppure oggi sembrano distanti, quasi un auspicio che attende ancora il suo compimento, un germoglio che attende di fiorire.
Che torni a far scandalo, a motivo della testimonianza dei credenti, la libertà di Gesù, quella che ha affascinato i tuoi occhi e il tuo cuore, Alessia!
Tu leggi e respiri la libertà: I cercatori di stelle leggono e respirano la libertà.

don Angelo


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