LA
LUCENTEZZA DEL SOLE E IL FRUSCIO DELLE OMBRE
Soffro la sproporzione. E non solo al passaggio da un anno
all'altro, quando uomini del pensiero, della cosa pubblica
o della religione avanzano le loro tesi così sicure
e così seducenti.
E io mi ritrovo, come è scritto nel rotolo di Isaia,
a calcolare con l'esiguità di un palmo l'estensione
dei cieli, a misurare con un cavo di mano le acque del mare,
a pesare con una bilancia, la mia piccola bilancia, montagne
e colline. Soffro la sproporzione e vivo sulla pelle l'eccesso.
Un eccesso che non mi appartiene.
Non sono rare, è bene confessarlo, nella vita le
ore in cui ci chiediamo che senso abbia, se abbia un senso
ciò che accade sotto i nostri occhi. O se non sia
senza senso, nel paese dell'insensatezza. Quasi ci toccasse
la sorte di andare, testa bassa, tra cose insensate.
Testa bassa, figura di uomini e donne arresi, "cani
bastonati" è in uso dire. Testa bassa. Occhi
senza interrogazione. Dominati da un destino. Destino cieco.
Diversa, così mi sembra la figura della testa reclinata.
Di chi esplora, in sentieri di silenzio, nel suo cuore.
Occhi dello spirito, non spenti, che interrogano l'eccesso.
Ho incrociato la testa reclinata, non arresa, in un vangelo
del primo giorno dell'anno, là dove Luca racconta
di Maria, davanti all'eccesso: i pastori se ne erano andati
dopo aver visto il segno, un bambino, il suo, in fasce nella
ruvida paglia di una mangiatoia. Li aveva visti scomparire
nella notte, inghiottiti da un buio che odorava di mistero.
E lei, ora sola, a misurare l'eccesso. Lei donna, piccola
donna davanti all'eccesso. Luca scrive: "Maria conservava
tutte queste cose, meditandole nel suo cuore". Era
come un ricucire pezzi, il bisogno di ricucire pezzi, ma,
forse anche, di ricucire se stessa, perchè a volte
siamo come a pezzi, fatti a pezzi dagli accadimenti della
vita. Fatti a pezzi dal dolore o dalla gioia o dall'emozione.
O dall'eccesso.
Il vangelo ricorda che, anni dopo, di anni ne saranno trascorsi
dodici, in un giorno di pellegrinaggio, Maria si sentirà
fatta a pezzi e cercherà di ricucire. Sarà
quando il ragazzo all'insaputa di tutti, sceglierà
di disertare la carovana. Se ne resterà al tempio
e sembrerà quasi non pentirsi né dell'angoscia
della madre né dell'angoscia del padre. Dirà
parole che rasenteranno la durezza. Anche allora, secondo
l'evangelista Luca, passerà il viaggio di ritorno
da quel pellegrinaggio, cercando di mettere in dialogo una
cosa e l'altra, in un confronto faticoso con l'eccesso.
Gli studiosi della Bibbia - e sia benedetto Dio che non
ci lascia mancare questa razza preziosa di scavatori di
parole e di sensi - fanno notare che il verbo "meditare",
riferito da Luca a Maria, nell'originale greco, alla lettera,
significa "gettare insieme", sym-bàllein,
verbo che immediatamente riporta alla nostra memoria la
parola "simbolo".
Leggendo, giorni fa, il libro di un teologo francese, affetto
da vent'anni dal morbo di Parkinson, Xavier Thévenot,
in una delle sue pagine mi sono imbattuto in un significato
che mi era nuovo di "simbolo": "il simbolo
designa un segno di riconoscimento, in origine un oggetto
diviso in due, di cui due ospiti conservavano ciascuno una
metà e che lasciavano in eredità ai propri
figli. Questi, riavvicinando le due parti, potevano verificare
che i loro parenti avevano contratto relazioni di ospitalità".
Mi sono così innamorato per alcuni giorni della parola
simbolo, del verbo gettare insieme, mettere insieme. Non
è poi così ingenua, mi sono detto, la scena
dei bambini intenti nel loro gioco a mettere insieme tasselli
di un puzzle e la loro gioia alle fine per il disegno nella
sua interezza.
Ti confesso che il verbo "gettare insieme", mettere
in relazione", all'inizio di un anno, mi risuonava
quasi come un augurio.
Mi emozionava pensare che a ciascuno di noi fosse affidato
un pezzo del grande disegno e che grazia delle grazie fosse
"mettere insieme". Non siamo stati immaginati
come totalità, e solo riavvicinando le parti ci sarà
dato da un lato scoprire con emozione la bellezza del disegno
nella sua interezza e dall'altro verificare non senza un
brivido la comune origine.
Se ne parlava una sera in casa di Annamaria e Carlo, carissimi
amici. Era sera di passaggio da un anno all'altro, passaggio
in semplicità, leggero come lo sbuffo della neve
sulle auto in sosta nella città silenziosa, ancora
non contaminata dal frastuono dei botti della mezzanotte.
Annamaria e Carlo mi confidarono quella sera che qualcosa
rassomigliante al simbolo era avvenuto nel giorno del loro
matrimonio, quando ritagliarono in piccoli pezzi il testo
di un intero libro della Bibbia, il Cantico dei cantici,
affidando qualche versetto ad ognuno dei parenti ed amici.
Con il sogno forse sottaciuto di ricomporre tutti insieme,
versetto accanto a versetto, quella emozionante appassionata
storia di amore, raccontata in uno dei libri più
belli della Bibbia.
È mettendoci insieme, e non invece escludendoci,
è mettendo insieme la parte che ci è stata
affidata, e non tenendocela per noi stessi, è mettendo
insieme che noi potremo ritrovare o almeno intravedere il
grande disegno e celebrare, fuori delle chiese, e non solo
nelle parole delle liturgie, bensì nella vita, la
nostra comune origine in un Padre che è Padre di
tutti.
E non cominciò forse lui, Dio, come è scritto
nel grande racconto simbolico delle origini, a mettere insieme
il terrestre e la sua donna? E non perché fossero
una metà, Dio non fa le cose a metà, ma per
la bellezza di un disegno, che nel suo pensiero non era
avventura di solitudine ma di congiungimento: "e i
due" è scritto "saranno una carne sola".
E, quando Dio camminò impolverandosi sulle nostre
strade in quel figlio nato da donna, non fu sua passione,
passione di una vita, quella di "mettere insieme"?
Cominciando da coloro che secondo i codici sacri non erano
degni di entrare nel disegno? Alla sua nascita chiamò
con un volo d'angeli gente sospetta, allontanata dalla frequentazione
del tempio, i pastori. Alla sua morte congiunse nel disegno,
congiunti per sempre, a memoria, il ladro di destra e quello
di sinistra.
E invocò rispetto. Non chiamò insensati, non
giudicò degni di scarto né la canna incrinata
né il lucignolo dalla fiamma smorta. Chiamò,
con parole dure, insensati quelli che disdegnavano il mettersi
insieme, amanti vuoti e pallidi della loro separatezza,
insensati, perché fuori dal senso, il senso che splende
nel congiungimento.
Raccontò del cielo, ma anche della terra, perché
il disegno è terra e cielo insieme, un cielo che
abbia la porosità della terra e una terra che abbia
la luminosità del cielo.
Ai cultori in eccesso dello spirito, uomini del digiuno
e del sospetto, creò sorpresa e indignazione frequentando
cene e banchetti, La vita, diceva, conosce, già di
suo, giorni di digiuno e di tristezza, non denudiamola dei
giorni della festa e del banchetto. Il senso della vita
non lo troverai lungo i sentieri dell'esclusione di un momento
o dell'altro ma lungo i sentieri della composizione degli
uni e degli altri. Perché, a suo dire, un digiuno
senza abiti di festa ha il volto smunto della tristezza
e un banchetto senza la lucentezza della sobrietà
ha gli abiti insolenti del ricco epulone.
Vado per accenni. Disordinati. Ma penso che sarebbe non
senza sorprese e trasalimenti ripercorrere i vangeli alla
ricerca dei segni della sorprendente inarrivabile arte di
Gesù, l'arte del mettere insieme.
E non sarebbe, immagino, senza senso e forse senza sorprese
ripercorrere a nostra volta la nostra vita, le nostre giornate
dietro una domanda: sono un uomo, una donna di una cosa
sola o anche di un'altra, vedo una cosa sola o vedo anche
l'altra, mi prendo cura di una cosa sola o anche dell'altra?
Sono uomo, donna dell'esclusione o uomo, donna del congiungimento.
Tento di mettere insieme i pezzi? Della mia vita? Della
vita degli altri?
Tengo insieme?
Vado per accenni. Disordinati. Per domande disordinate.
Al ricordo dei momenti duri e faticosi so accostare il ricordo
dei momenti di trasalimento e di festa?
Ai momenti dell'ascolto dell'anima, so accostare i momenti
dell'ascolto del corpo? O conosco un solo linguaggio?
Sono un uomo, una donna di un unico registro? Uomo, donna
solo pensiero? Uomo, donna solo sentimento? Pensieri gelidi?
Sentimenti senz'anima?
Nei miei pensieri conta solo il presente o conta anche il
passato? O al contrario conta solo il passato e non il presente?
Uomo, donna solo dell'attimo fuggente o anche uomo, donna
della memoria? Solo della memoria o anche del tempo che
oggi per grazia mi è dato?
Ho la passione, l'arte del radunare? O ho la passione, triste
passione dell'escludere, l'arte, povera arte, del dividere?
Conosco persone, e sono luminosissime, che sembrano aver
dato alla loro vita un segreto, quello di mettere in relazione
gli uni con gli altri, quasi appartenesse loro per natura,
questa arte purtroppo sconosciuta.
Un mettere insieme, è doveroso dirlo, che non è
cancellare l'uno o cancellare l'altro. Un mettere insieme
che non né inglobare né fagocitare, secondo
le bellissime immagini di K Gibran:
Siate
uniti, ma non troppo vicini,
le colonne del tempio si ergono distanti
e la quercia e il cipresso
non crescono l'uno all'ombra dell'altro.
Un
mettere insieme che non pretende lucentezze assolute, quasi
che le ombre non avessero un loro fascino, struggente, nel
grande disegno. Le mie ombre, le tue ombre, le ombre di
questa nostra umanità.
Mi capita sempre più spesso, e tu lo sai, di chiedere
a Dio, che non sia, nell'aldilà, sempre sole alto.
Mi conceda il fruscio delle ombre.
E
se sarà un giorno
luce piena nel tuo regno
non negare, Dio,
a questi occhi stanchi
il crepitare segreto delle ombre.
Abito città
dove il sole è sempre
già alto.
don
Angelo
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