articoli di d. Angelo


 

POSSIAMO ANCORA ESSERE UTILI?

La citazione appare sul retro di copertina di una rivista piccola, esile, ai più sconosciuta. Di quelle che passano inosservate.
Ti confesso che mi incuriosiscono a non finire queste riviste piccole, esili, ai più sconosciute. Per lo più alle loro spalle hanno donne e uomini che sognano, donne e uomini che non si arrendono, donne e uomini senza guadagni e senza carriera. Con il solo anelito di annusare il tempo e di comunicare. Comunicare pensieri, dentro una società a difetto di tempo e di pensiero.
La rivista, una delle tante, che penso sopravvivano a scommessa, ha un nome "Il Margine". Nome intrigante per coloro che il mondo tentano di leggerlo non dal centro o dall'alto della presunzione, ma dal margine.
La citazione che appare sul tergo della copertina è di Dietrich Bonhoeffer, teologo e pastore evangelico, impiccato in un campo di sterminio il 9 aprile 1945. Sarò partigiano, ma già il nome è promessa di pensiero. E di fedeltà.
Ho letto la citazione e sono rimasto conquistato. Ora la trascrivo. Lentamente. A incisione in memoria. Lentamente. A memoria di amici.
Possiamo ancora essere utili? Siamo stati testimoni silenziosi di azioni malvagie, ne sappiamo una più del diavolo, abbiamo imparato l'arte della dissimulazione e del discorso ambiguo, l'esperienza ci ha reso diffidenti nei confronti degli uomini e spesso siamo rimasti in debito con loro della verità e di una parola libera, conflitti insostenibili ci hanno reso arrendevoli o forse addirittura cinici. possiamo ancora essere utili? Non di geni, di cinici, di dispregiatori di uomini, di strateghi raffinati avremo bisogno, ma di uomini schietti, semplici, retti. La nostra forza di resistenza interiore contro ciò che ci viene imposto sarà abbastanza grande e la sincerità verso noi stessi abbastanza implacabile da farci ritrovare la via della schiettezza e della rettitudine?
Dietrich Bonhoeffer, Resistenza e resa

Possiamo ancora essere utili? Non è domanda da poco. È domanda che scuote, come raffica di vento, la coscienza e il cuore. Posso ancora essere utile? Non dico indispensabile. Il proverbio recita che nessuno è indispensabile in questo mondo. Ma utile?
Non di geni, di cinici, di dispregiatori di uomini, di strateghi raffinati avremo bisogno, ma di uomini schietti, semplici, retti.
Potremo esserlo? E quali le condizioni per ritrovare la via della schiettezza e della rettitudine?
Dietrich Bonhoeffer segnala due condizioni. la forza di resistenza interiore contro ciò che ci viene imposto e una sincerità implacabile verso noi stessi. Parole che, quasi per grazia incrociano questi giorni in cui, per chi ancora sa cercare, ardono nel cuore memorie. Memorie di resistenti, ribelli per amore e la memoria di Gesù, il grande resistente, il ribelle per Dio. Per Dio e per l'uomo. E lo spazio degli uni sconfina nello spazio di grazia dell'altro. La Pasqua degli uni nella Pasqua dell'altro
Memorie che ardono. Quasi ci sfiorasse in questi giorni un sussulto di sincerità e di fierezza, vento pulito di presentimenti nuovi e di nuove fecondazioni, sussulti di coscienza in giorni di stanchezze, di resa, di assopimento. Sussulti che nascono da memorie, da immagini cui facciamo spazio nel cuore. E forse sta qui il problema, o anche qui: a quali immagini facciamo spazio nel cuore. In tempi di ubriacature mediatiche, dentro i riti osannati della fatuità, forse è tempo che ci chiediamo quali immagini siano a segno di germinazioni e di fioriture e quali a segno di ristagno e di resa.
E non sarà, me lo chiedo, un esercizio, questo, da ritrovare, a difesa dal vuoto e dalla fatuità, a difesa dalla menzogna delle celebrità che celebrano solo se stesse?
Esercizio seminare, sempre più insistentemente insonnemente, nel terreno delle nostre coscienze, insieme al volto di Gesù, il grande resistente, volti di uomini e di donne schietti, semplici e retti. E contemporaneamente negare spazio in noi ai volti artefatti dei cinici, dei dispregiatori di uomini, dei raffinati strateghi.
Se il mandorlo della tua vita è fiorito, se non sei rimasto tronco spento e rinsecchito, a quale forza, a quali volti, a quali immagini, dimmelo, tu devi il miracolo?
E tempo di ritornare, come invita Padre David Maria Turoldo in una sua poesia.

Torniamo ai giorni del rischio,
quando tu salutavi a sera
senza essere certo mai
di rivedere l'amico al mattino.

E i passi della ronda nazista
dal selciato ti facevano eco
dentro il cervello, nel nero
silenzio della notte.

Torniamo a sperare
come primavera torna
ogni anno a fiorire.

E i bimbi nascano ancora,
profezia e segno
che Dio non s'è pentito.

Torniamo a credere
pur se le voci dai pergami
persuadono a fatica
e altro vento spira
di più raffinata barbarie.

Torniamo all'amore,
pur se anche del familiare
il dubbio ti morde,
e solitudine pare invalicabile.

Torniamo ai giorni della resistenza. Il miracolo di quei giorni riposa nella nostra forza interiore. Sarà abbastanza grande? Sarà abbastanza grande ora che il dominio, bugiardo e strisciante, si ammanta di specchi di libertà? Avremo forza a scuotere il giogo?
"Venite a me, voi che siete affaticati e oppressi" diceva Gesù e il suo sguardo si incantava agli occhi dei piccoli e dei semplici. "E io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi. Il mio giogo è dolce, il mio carico leggero".
Affaticati e oppressi da chi? Dalle autorità del tempo, dagli "intelligenti" del tempo, quelli che aggiungevano peso a peso, carico a carico sulle spalle dei piccoli e dei semplici.
Giogo dolce, invece, e carico leggero quello di Gesù, perché giogo di libertà: unica legge l'amore. Intèrrogati sull'amore. Intèrrogati con sincerità. Al di là delle vuote parole che coprono il nulla.
A volte ci è data una grazia. A me fu data qualche giorno fa. Era sera e accarezzavo con gli occhi i volti stanchi, ma non arresi, di due miei cari amici. Non ancora così stanchi da non gridare alla nostra incoerenza. All'incoerenza di noi che parliamo, parliamo, parliamo e rimaniamo silenziosi, muti davanti alle tragedie, agli attentati alla dignità degli umani che oggi feriscono a morte la terra, drammi vicini e drammi lontani.
Siamo al paradosso che chiediamo conto a qualcuno dei silenzi del passato e non a noi stessi dei nostri silenzi al presente, in debito ancora una volta, direbbe Bonhoeffer, con gli uomini d'oggi della verità e di una parola libera.
Accarezzavo i volti stanchi, ma non arresi, capaci ancora di domande che mettono a nudo le nostre ipocrisie.
Siamo chiamati a resistere al giogo dominante e, insieme, chiamati a una sincerità implacabile verso noi stessi. Questa sincerità ho trovato nei loro occhi e, insieme, emozioni, sussulti di impegno. Oggi se penso a loro vengo restituito a pensieri, a sussulti di resistenza e di schiettezza. A questo patto, e non senza questo patto, potremo ancora essere utili.
Saremo utili agli altri e contemporaneamente ritroveremo noi stessi. Perché questa, lo si voglia o no, è un'altra e non irrilevante oppressione, un altro giogo che oggi ci è imposto: quello di essere altro, altro da noi. Oggi più di ieri siamo a rischio di clonazione. A rischio come uomini, come chiese, come popoli. A tutti l'unico modello, l'unico esportabile. Altro giogo inquietante, da cui ci libera il Dio della Bibbia, il Dio di Abramo, l'uomo dell'uscita, il Dio di Gesù, il Figlio resistente nella missione che gli era stata affidata,non omologabile, a costo di vita.
Entra dunque dentro di te. Ritrova nel silenzio la tua immagine irrepetibile. E vivila. Questa è la responsabilità che ti è stata affidata. Non soffocarla, sii fedele alla tua immagine.
Narra un racconto dei chassidim: "Prima della sua fine Rabbi Zussja di Hanipol disse: "Nel mondo a venire non mi si chiederà: Perché non sei stato Mosè, ma mi si chiederà: Perché non sei stato Zussja?"".
Non lasciarci rubare l'anima, l'irrepetibile anima e resistere all'arroganza di chi vuole depredarci della nostra immagine fa parte dell'invito di Bonhoeffer alla sincerità implacabile verso noi stessi. Fa parte della Quaresima che ci conduce all'incontro con Gesù, "il Cristo degli uomini liberi", il cui nome è "colui che-fiorisce-sotto-il-sole". Come cantò un giorno Padre David Maria Turoldo:

Per favore non rubatemi
La mia serenità.

E la gioia che nessun tempio ti contiene,
o nessuna chiesa
t'incatena:

Cristo sparpagliato
Per tutta la terra,
Dio vestito di umanità:

Cristo sei nell'ultimo di tutti
come nel più vero tabernacolo:

Cristo dei pubblicani,
delle osterie dei postriboli,

Cristo degli uomini liberi:
il tuo nome è "colui
che-fiorisce-sotto-il-sole".

don Angelo


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