DA
UN GIARDINO ALL'ALTRO
Ho
visto i rami del mandorlo pulsare. Ancora una volta. Piccole
fessure di bianco bussare dai rami neri.
Non tutti sanno che miracolo sia uscire la mattina e vedere
piccole fessure di bianco bussare dai rami neri. Bussare
alla vita.
Non tutte le mattine sono uguali. Raccolgo voci che raccontano
la fatica di alzarsi al mattino. E non per cedimento di
pigrizia, ma per l'angoscia di riprendere in mano la vita.
Non tutte le mattine sono uguali. Nemmeno per uno come me
cui è stata risparmiata l'angoscia del vivere. Ma,
anche nelle mattine meno luminose, la piccola, quasi impercettibile
sosta al mandorlo apre nel cuore flussi di energie, voglia
di vivere. E vado così toccando, quasi con mano,
come la natura abbia il potere dolce di aprire il mio volto,
anche nelle mattine in cui fosse un poco abbuiato. Il dolce
potere di mettere in fuga le immagini di degrado cui siamo
arrivati, l'aria irrespirabile che ci va intristendo. Bussano
dai rami neri fessure bianche.
Non sempre avvertiamo con sufficiente lucidità la
perdita, l'immane perdita, che ci è toccata e che
patiamo giornalmente, per questa sconnessione che si è
creata tra noi e la natura. Legame spezzato. Interscambio
interrotto. Armonia dell'anima dissacrata. Quasi che a noi
non fosse più affidata la terra.
Penso agli occhi di Dio tristi. Era stato lui a immaginare
la connessione tra il terrestre e la terra. L'uomo e la
donna li aveva immaginati in un giardino. Loro e il giardino.
Affidati reciprocamente.
"Allora il Signore Dio plasmò l'uomo con polvere
del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita
e l'uomo divenne un essere vivente.
Poi il Signore Dio piantò un giardino in Eden, a
oriente, e vi collocò l'uomo che aveva plasmato.
Il Signore Dio fece germogliare dal suolo ogni sorta di
alberi graditi alla vista e buoni da mangiare, tra cui l'albero
della vita in mezzo al giardino e l'albero della conoscenza
del bene e del male.
Un fiume usciva da Eden per irrigare il giardino, poi di
lì si divideva e formava quattro corsi.
Il Signore Dio prese l'uomo e lo pose nel giardino di Eden,
perché lo coltivasse e lo custodisse"(Gn 2,7-10.15).
Forse non misuriamo criticamente le conseguenze di questo
attentato alla connessione uomo-creato, voluta da Dio. Non
misuriamo criticamente l'impoverimento degli occhi di un
bambino - ma solo di un bambino? - defraudato dello stupore
per la sorpresa dell'esile filo d'erba che ha scosso, oltrepassandola,
la dura scorza della terra o per la sorpresa del legno secco,
che già odora l'avvento di un germoglio.
Mi chiedo, da indagatore impenitente, se gli occhi dei bambini,
ma non solo quelli, non ritornerebbero ad essere chiazze
di luce, e non dimora di noie, davanti al gioco di Dio,
che, nell'aria stupefatta del terzo giorno nell'Eden, disse:
"La terra produca germogli, erbe che producano seme,
e alberi da frutto con il seme, ciascuno secondo la sua
specie. Così avvenne e Dio vide che era cosa buona"
(Gn 1,11).
Mi chiedo se, ristabilito il contatto che è stato
ingenuamente o superficialmente cancellato, non ci sentiremmo
attraversati da passione nuova e luminosa, abbandonando
durezze e asprezze, livori e meschinità. Il miracolo
della natura ora sta per lo più in esilio, nelle
risecate ore dell'anno in cui ti riesce di abbandonare l'invasione
del cemento delle nostre città, cemento che ignora
sdegnandole le antiche screpolature dei muri di pietra:
offrivano improbabili dolci rifugi a fili d'erba in cerca
di vita.
Per sussulti di tardivo pentimento il cemento armato ora
si è inventato giardini oltre i piani più
alti delle case, a debito estremo di ospitalità per
piante, erbe e fiori. Giardini in esilio. Giardini per pochi.
Dirai che il mio è discorso da retroguardia, fuori
del tempo. Me l'ha suggerito il mandorlo, ma anche il giardino
dell'Eden e la probabilità che Dio non si sia sbagliato
creando per l'uomo un giardino. E che non sia stato un caso.
Ma ora?
Ora la proposta, non me ne volere, è di ritagli.
Ritagli di tempo in cui riprendere contatto con la natura.
E che chi educa, educhi a contemplare. Anche il filo d'erba.
I nostri figli avranno, posso scommettere, anticorpi sicuri
contro volgarità e abbrutimento.
Ma occorre un'arte che non è sapienza di studi, è
sapienza di vita e questione di occhi. Puoi condurre bambini
in un prato, e ce ne vorrebbero, per una partita di calcio.
Potrai condurre - o sono un ingenuo? - bambini in un prato
per ascoltare il brusio dell'erba? E come saranno, non in
soldi, ma nell'anima, i figli che avranno ascoltato il brusio
dell'erba?
Da un giardino a un altro.
Dal giardino dell'Eden al giardino del "Cantico dei
cantici", libro della Bibbia che canta senza veli di
censure l'amore degli innamorati nella sua pienezza e totalità.
Forse potrà stupire che natura e giardino siano lo
spazio di questo rincorrersi e abbracciarsi di due innamorati.
O che sia la primavera il tempo di questo struggente incantamento:
Ora parla il mio diletto e mi dice:
"Alzati, amica mia,
mia bella, e vieni!
Perché, ecco, l'inverno è passato,
è cessata la pioggia, se n'è andata;
i fiori sono apparsi nei campi,
il tempo del canto è tornato
e la voce della tortora ancora si fa sentire
nella nostra campagna.
Il fico ha messo fuori i primi frutti
e le viti fiorite spandono fragranza.
Alzati, amica mia,
mia bella, e vieni!
O mia colomba,
che stai nelle fenditure della roccia,
nei nascondigli dei dirupi,
mostrami il tuo viso,
fammi sentire la tua voce,
perché la tua voce è soave,
il tuo viso è leggiadro".
Prendeteci le volpi,
le volpi piccoline
che guastano le vigne,
perché le nostre vigne sono in fiore.
Il mio diletto è per me e io per lui.
Egli pascola il gregge fra i gigli.
Prima che spiri la brezza del giorno
e si allunghino le ombre,
ritorna, o mio diletto,
somigliante alla gazzella
o al cerbiatto,
sopra i monti degli aromi (Ct 2,10-17).
Potrà stupire che giardino e primavera siano così
prepotentemente evocati nel Cantico, come luogo e tempo
dell'amore. Ma è stupore breve. Ognuno che faccia
esperienza della passione dell'amore conosce, sulla sua
pelle e su quella tenera dell'altro, questo esodo dall'inverno.
Dall'inverno della solitudine, che è male. "Non
è bene che l'uomo sia solo" è scritto.
Scrittura di Dio. Non cancellata. Scrittura che segna, nel
più profondo, corpo e anima degli umani. Amore è
uscita, uscita dall'inverno. Passata è la pioggia,
passati i giorni monotoni e grigi. Si è accesa la
primavera. Ti si sono trasfigurati gli occhi, le cose sembrano
aver ritrovato armonie silenziose e struggenti.
Anche nel canto, custodito nel rotolo del profeta Osea,
leggi stupito questo riaccendersi di armonie tra cielo e
terra, dietro il miracolo di un amore ritrovato.
E avverrà in quel giorno
- oracolo del Signore -
io risponderò al cielo
ed esso risponderà alla terra,
la terra risponderà con il grano
il vino nuovo e l'olio (Os 2,23-24).
Un altro giardino viene dunque dato alle nostre mani. Altro
giardino, altra primavera da custodire. Cancellare distanze,
allontanare solitudini, tessere fili silenziosi di affetti,
firmare non per l'interesse, ma per la passione, ammalarsi
d'amore è abitare il giardino e la primavera del
Cantico dei Cantici.
Da un giardino a un altro. Dal giardino del Cantico dei
Cantici al giardino della sepoltura e della risurrezione
di Gesù.
Ora, nel luogo dove era stato crocifisso, vi era un giardino
e nel giardino un sepolcro nuovo, nel quale nessuno era
stato ancora deposto. Là dunque deposero Gesù,
a motivo della Parasceve dei Giudei, poiché quel
sepolcro era vicino (Gv 19, 41-42).
Il giardino dei due innamorati del Cantico conobbe anche
l'ora del grido, il grido dell'assenza dell'amato, conobbe
la sete di una insonne ricerca:
Sul mio letto, lungo la notte, ho cercato
l'amato del mio cuore;
l'ho cercato, ma non l'ho trovato.
"Mi alzerò e farò il giro della città;
per le strade e per le piazze;
voglio cercare l'amato del mio cuore".
L'ho cercato, ma non l'ho trovato.
Mi hanno incontrato le guardie
che fanno la ronda:
"Avete visto l'amato del mio cuore?".
(Ct 3,1-3)
Anche il giardino del sepolcro nuovo conobbe una sera e
un mattino di pianto, conobbe il grido dell'assenza, la
sete dell'insonne ricerca. Era l'alba, alba di un mattino
inviolato. La tomba era vuota, il pianto ancora velava gli
occhi a Maria di Magdala. Quell'uomo, poco fuori la tomba,
era forse il custode del giardino? Gli disse d'un fiato:
"Signore, se l'hai portato via tu, dimmi dove l'hai
posto e io andrò a prenderlo". Gesù le
disse. "Maria". Lo riconobbe alla voce. Si voltò,
gli disse: "Maestro mio". Il giardino della sepoltura
divenne giardino dell'incontro.
Perché, ecco, l'inverno è passato,
è cessata la pioggia, se n'è andata;
i fiori sono apparsi nei campi,
il tempo del canto è tornato.
E che ognuno sia chiamato per nome. Da Dio e da creature
amate. Se sei chiamata per nome entri nel giardino. E non
è più giardino di sepolture, ma giardino di
ritrovamenti, di passioni d'amore.
Come da fessura
nella notte estrema
filtra senza ferire
una luce.
Intenerimento
dell'angoscia.
Presenze lievi
come di mistero
sussurri di vita
nel giardino della tomba vuota.
don
Angelo
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