articoli di d. Angelo


 

ELOGIO DELLA PICCOLEZZA

ovvero le voci in esilio

L'appuntamento era alla "casa del pozzo". Il pozzo è parola che mi seduce. Mi seduce l'acqua che non vedo, fatta di invisibilità: è nel profondo, ma è pura. Come tutte le cose che non appaiono, ma ci sono e sono profonde.
Mi seduce l'immagine del pozzo, forse anche perché il pozzo è il ritrovo degli assetati, una razza che mi incuriosisce e che stimo: volti scavati e accesi dal desiderio, così diversi dalle facce paciose, tronfie e stemperate dei soddisfatti.
E la "casa" non era una casa. Era un capannone, un tempo industriale, un capannone invaso: l'invasione degli assetati, un'invasione di occhi.
Il brivido negli occhi era di gioia. Gioia per l'invasione. Ma era anche brivido di veglianti, di assetati e di veglianti. L'appuntamento infatti era per una veglia, una veglia nella memoria di Mons. Romero, di David M. Turoldo e dei piccoli.
E il capannone in sintonia, sorprendente, sintonia con la memoria dei ricordati: il capannone fedele, e non stridente, alla memoria. Sorprendentemente fedele, nella sua povertà, in giorni in cui lo stridore tra parola e luoghi è lancinante: si discetta di fame entro palazzi di avorio, direbbe il profeta, dentro i palazzi della sazietà. Il capannone no, fedele alla memoria dei piccoli.

Mons. Romero, Padre David M. Turoldo hanno tenuto accese instancabilmente le storie e le voci dei piccoli. Finché sono vissuti. Anche con la morte, anche oltre la morte.
Hanno rovesciato l'orizzonte, quello in cui per lo più si guardavano, e ancor oggi purtroppo si guardano, i piccoli.
Gli ultimi, i piccoli, i poveri per tradizione erano un oggetto, oggetto della nostra compassione, tutt'al più persone cui dare, persone da soccorrere.
Mons. Romero, Padre Turoldo e altri profeti del nostro tempo hanno intuito che i piccoli, gli ultimi con le loro storie erano la spia del mondo, erano un segnale, segnale d'allarme. I piccoli segnalano dove porta il mito della grandezza -gli esiti sono sotto gli occhi di tutti- e dove porta la strada della piccolezza.
Dove porti il mito della "grandezza di pochi" i piccoli lo svelano con la loro carne denutrita e martoriata. Dove porta la strada della piccolezza lo dicono con i loro sogni di cose vere, sobrie, giuste, umane. Ma spesso noi non abbiamo occhi per vedere. Ci occorre uno svelamento.
È la storia, a ben vedere, di due alberi, che non sempre mettiamo a confronto: l'albero del primo giardino e l'albero della croce.

La via della grandezza è iscritta sull'albero del primo giardino, l'albero della conoscenza del bene e del male. Non era stato forse detto all'uomo e alla donna: "Se ne mangerete, diventerete come Dio". La via della grandezza porta a un esito mortifero, conduce a uno svelamento deprimente: "Si accorsero di essere nudi". Nudi in umanità.
La via della piccolezza è iscritta a caratteri luminosi sull'albero della croce. È un albero fiorito, è l'albero dello svelamento di Dio. È una soglia. Scrive P. Claverie, vescovo di Orano in Algeria, assassinato insieme all'autista musulmano nell'agosto del 1996: "È la soglia di una vita nuova, più giusta, più forte, più vera".
Il capannone è una canzone alla via dei piccoli. I miei occhi vanno, quasi sedotti, alla parete calcinata, al fascio di luce che inonda l'uomo della croce. Gesù, il piccolo, svuotato di ogni grandezza sul legno, con la sua morte ha svelato la falsità e la menzogna della via della grandezza.
Questo dovremmo insegnare alle generazioni future. Ma come farlo, se noi stessi seguiamo l'altra via? Dovremmo insegnarlo fin da piccoli ai nostri figli.
Giorni fa, nella nostra sacrestia, dove, quasi ogni domenica, avvengono processioni di neonati, una nonna, fissando estasiata il suo nipotino di pochi mesi, gli diceva: "Sei il più bel bambino del mondo". Ma Guy, suo padre, ribatté senza esitazioni: "Queste idiozie puoi dirgliele finché lui non capisce. Ma quando comincerà a capire scordatelo, scordati di dirgliele".
Che via dunque insegnare? Quella dell'albero del giardino o quella dell'albero della croce?

E non è poi così vero che dai primi posti si veda meglio, così come spesso si vuole far credere. Succede che si veda uno schermo e un palco, il regno delle immagini e si perda attenzione e cuore per gran parte dell'umanità che sta alle proprie spalle.
Dal fondo, dagli ultimi posti, forse non vedi l'ultima immagine, ma vedi uomini e donne con il loro carico e con le loro speranze, uomini e donne come te, veri come te, in umanità e dignità.
È la lezione dell'ultima panca.

Storie di piccoli, ma, vorrei subito aggiungere per sfuggire all'equivoco, storie non scolorite, non dimesse, storie non svigorite. Storie accese, lievitate dalla speranza.
Che nella piccolezza abiti una potenza inimmaginabile può sembrare un paradosso. Lo toccammo con mano sere fa nella nostra chiesa parrocchiale, straripante per un concerto gospel.
Più volte quella sera mi sentii percorrere da un brivido indugiando su pensieri e parole che avevano suscitato la potenza e il fremito di quei canti, canti di schiavi:
"Allora i corni cominciarono a suonare
le trombe cominciarono a suonare
Giosuè ordinò ai bambini di urlare
e le mura crollarono.
Giosuè combatté la battaglia di Gerico
e le mura crollarono".
E ancora:
"Noi trionferemo un giorno
nel profondo del mio cuore io credo
che noi trionferemo un giorno.
Ci sarà pace per tutti un giorno
saremo tutti liberi un giorno
nel profondo del mio cuore io credo
che noi trionferemo un giorno".
Il canto suggeriva. La strada della piccolezza non porta a sognare una pace per me, una libertà per me, ma la pace per tutti, la libertà per tutti. Porta a sognare il mondo prefigurato dalle braccia allargate del crocifisso, porta a sognare non il globo -globalizzazione!- ma la casa.
Il profumo della croce toglie l'aridità del termine "globo" e lo sostituisce con il calore della parola "casa", non il globo ma la casa.
E che il mondo non diventi un globo, ma una casa! Lui, il Signore, è morto perché il mondo diventasse una casa, una casa per tutti.
"Che il mondo diventi una casa per tutti" -scriveva E. Bloch- "dove c'è vicinanza invece della distanza, stima invece del disprezzo, gioia invece della paura".

Casa. I piccoli ricreano l'aria della casa, che noi abbiamo perduto in un mondo dove impera il principio gerarchico, il principio di chi è grande e di chi è piccolo. Il principio della grandezza ha soffocato l'amicizia.
"Non vi chiamo più servi, ma vi ho chiamato amici" sembra scritto per sempre sulla croce. Non il principio gerarchico, chi è sopra e chi è sotto (non vi chiamo più servi), ma il principio delle braccia allargate, il principio dell'abbraccio (vi ho chiamato amici).

Prima che fosse Pasqua ed ora che la Pasqua si prolunga, don Alberto ha posto nella nostra chiesa -e l'accostamento è struggente- sotto le stazioni della Via Crucis foto e didascalie della vita e della morte di Mons. Romero, la Via Crucis dei piccoli.
Sotto una foto che ritrae Mons. Romero con in braccio un bambino, folgorante questa didascalia: "Come è importante per me che un bambino abbia la fiducia di abbracciarmi".
Ciò che conta per un vescovo! Saltano tutte le gerarchie, tutte le distanze, tutte le "riverenze": "che un bambino abbia la fiducia di abbracciarmi".
Ciò che conta nella chiesa, ciò che conta nella società, ciò che conta per questo mondo è che l'altro abbia la fiducia di abbracciarmi.
E che questo abbraccio diventi sempre più corale. È la nostra forza, è la vera forza, perché è la forza delle braccia allargate della croce.

Scrive Margherita Guidacci:
"Le vostre braccia allargate sono appena
l'inizio del cerchio.
Non abbassatele per la tristezza.
Anche il tormento della pietra si consuma.
Ciò che è lieve è invece dell'eterno
e nell'eterno si prolunga
perché lievi sono le brezze e i morti
e gli angeli.
Le nostre braccia allargate sono l'inizio
del cerchio,
un amore più grande lo compie già".

don Angelo

 
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