articoli di d. Angelo


 

LA BENEDIZIONE NELLA PASTA

Sta emergendo un bisogno di spiritualità? Vero o falso?
Se ne discuteva sere fa in una casa. Guardavo l'angelo che in un angolo sorreggeva con fatica, ma anche con entusiasmo, una grande lampada che dava luce alla casa.
C'è un angelo -mi dicevo- anche della casa. Ci avrebbe portato luce quella sera?
Si discuteva di spiritualità. E "discutere" è verbo improprio, riduttivo. Più che un discutere era un aprire il cuore. C'è differenza.
Per tutta la sera infatti mi risuonò dentro -come la questione nodale, quella che sta sul confine- l'osservazione di Milena: "Non vorrei" -disse- "che ancora una volta la spiritualità fosse un mantello calato dall'alto sulla vita, quella vera che ogni giorno viviamo. La spiritualità come qualcosa d'altro".
Nelle sue parole quasi una paura -così l'ho vissuta- di essere, ancora una volta, catturata nelle visioni del passato -ma è solo passato?- che ritenevano spazio sacro, passaggio quasi esclusivo dello spirito, quello delle preghiere e dei discorsi "religiosi", e uomini e donne dello spirito gli uomini e le donne delle pratiche religiose e dei discorsi religiosi. Noi uomini e donne spirituali e voi vuoti di spiritualità.
La paura di Milena, la stessa che ritrovi in tanti uomini e donne di oggi. Più esci dai piccoli recinti istituzionali e più ascolti nel cuore e leggi sui volti la paura di una spiritualità "incamiciamento".
La paura -mi dicevo- che deve essere stata anche di Gesù -o sbaglio?- quando ci metteva in guardia da un Regno di Dio ridotto a stoffa di panno nuovo aggiustata alla benemeglio su un abito vecchio: "Vino nuovo in otri nuovi": diceva.
Il rischio di una spiritualità come "aggiunta esteriore" che faceva diffidare Bonhoeffer dal credere che uomini spirituali si è quando, abbracciati alla propria donna, non si pensa a lei ma a Dio: operazione, secondo lui, di cattivo gusto.
Operazioni che segnano una separatezza: l'abbracciare, terra senza spiritualità; il pensare a Dio, terra della spiritualità.
Separatezze che di soppiatto vengono introdotte quando si pone una distinzione tra esperienze e esperienze nella chiesa: quasi che leggere la Parola di Dio e nutrirsene non fosse esperienza dello spirito e lo diventasse aggiungendovi qualcosaltro, una preghiera per esempio.
Una spiritualità che circoscrive l'azione dello Spirito è irrimediabilmente miope e fors'anche cieca. Stenta a credere o subito dimentica la Parola di Dio e il racconto, che vi è custodito, della povera argilla. Argilla che ad ogni concepimento diventa essere vivente per il soffio, il suo, il suo spirito, che Dio sempre chiude in un poco di fango, dopo averlo plasmato, tenero vasaio, con le sue mani.
Spirituali dunque tutti coloro che si lasciano condurre dal soffio che li abita.

Lo Spirito è lampada, lampada accesa che arde nella carne dell'uomo e della donna.
Lampada discreta lo Spirito. Se abbaglia -qualche volta, se pure raramente, lo fa- è per accecare l'umana presunzione, l'impertinenza, l'assolutezza del giudizio. Abbaglia Paolo -allora Saulo- sulla via di Damasco.
Per il resto è luce discreta, che scruta, senza forzare, le profondità di Dio e quelle dell'uomo.
Come lampada davanti all'icona. Non la definisce, la muove. Fa intravvedere il mistero che la abita, la fa parlare con le ombre.
E Silvana diceva nella sala, la sala dell'angelo: "Spiritualità vera è questo sguardo profondo, attento, disponibile, che si posa su uomini e cose e va oltre. Al di là dell'apparente: ci fa uomini e donne che diffidano dell'ovvietà".

Brezza è lo Spirito, brezza leggera, quella di Elia sul monte, silenzio trattenuto.
Uomini e donne spirituali si diventa se ci si lascia condurre, come Gesù, dallo Spirito nel deserto.
Abbi cura nella tua vita del deserto, il tuo piccolo deserto. Abbi cura del silenzio.
Ho ritrovato ancora, dopo un anno, sul muro di Betel a Bose, come se qualcuno le avesse scritte pochi istanti prima per me, le parole del saggio: "Sopra una vecchia quercia c'era un vecchio gufo. Più taceva e più sapeva. Più sapeva e più taceva".
E nel silenzio respirare la Presenza. Sul muro più alto, accanto alla meridiana che segna le ore, messaggio per tutte le ore, parole di un sapore antico: "Ricordati di Dio e pensa che ti trovi in prazesa alla Santisima Tranita".

Lo Spirito abita i racconti. Abita le parole che conoscono i trasalimenti, i sussulti, le pause, le smemoratezze, l'arrivare e il ripartire.
Non abita le definizioni, non abita l'enfasi, non abita -non abiterà mai- i monumenti.
Essere spirituali, essere condotti dallo spirito è dunque dare parola alle cose, è dare nomi, come Adamo nel giardino. È far uscire i mondi dalla loro opacità, vederli nascere perché nasce in noi il loro senso.
E' dare nome e quindi parole alla moglie, a un marito, a un figlio, a un amico, al più piccolo, al più piccolo segno. Dare nome e parole all'altro, adorando il soffio che lo abita.
Dare un nome e accorgersi che quel nome non basta. E' povero, inadeguato a dire il mistero eccedente dell'altro.
Dare un nome e poi un altro e poi un altro ancora. Come nel gioco inesausto d'amore del Cantico dei Cantici: all'amato le parole con cui chiamare l'amata non bastano, si sbriciolano tra le mani, dicono e non dicono; è sempre in cerca di altre parole per dire la bellezza della creatura che ama.
Chi crede di avere nelle sue mani tutto il nome dell'altro diventa presuntuoso e intollerante. Non lo abita lo Spirito.
Per questo l'uomo spirituale non è intollerante: perché sa che il nome a cui è giunto, la verità a cui è giunto, dice e non dice.

Lo Spirito è lievito nella pasta, è fermento nella storia, nella storia di ciascuno. Dentro a far lievitare nella pasta di ognuno una benedizione, quella di Dio, una luce e una gloria, quelle di Dio.
Di questa luce, di questa gloria, di questa benedizione sono testimoni le chiese come le case, i libri consumati delle preghiere come l'umile pasta che le tue mani vanno arrotolando.
Così come è scritto nel commento di Rashi di Troyes a Genesi 64, là dove si parla di Isacco, che, morta Sara sua madre, introduce nella tenda, che fu di Sara, la moglie Rebecca.
"Finché Sara era in vita" -è scritto- "una lampada ardeva dall'inizio di un sabato all'altro, una benedizione era sempre nella pasta che ella preparava e una nube stava sospesa sopra la tenda. Da quando Sara era morta tutte queste cose erano cessate. Quando però venne Rebecca esse ritornarono".
I veri lettori della Bibbia sono lontani, inesorabilmente lontani da una spiritualità avulsa dalla vita, lontani da un spiritualità come "incamiciamento".
Sanno che la lampada arde da un sabato all'altro, sanno che una benedizione è nascosta nella pasta, sanno che una nube -nube della Presenza- è sospesa, non chissà dove ma sopra la tenda che noi abitiamo.

don Angelo


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