articoli di d. Angelo


 

LETTERA A UNA PROSTITUTA

Potrà sembrarti strano -tante sono le stranezze della vita- che sia io a rispondere a una tua lettera, peraltro non a me indirizzata.
Ma la tua lettera, per fili silenziosi che si intrecciano invisibili, è giunta fino a me e io ti devo una risposta che paradossalmente non ti giungerà mai. Forse lo scriverne è un modo come l'altro per dire che la risposta la devo, più che ad altri, a me stesso.
Che la tua lettera introduca quest'anno la mia riflessione sulla Pasqua, anche questo potrà sembrare strano ai tuoi occhi. Anzi qualche cristiano per bene lo troverà forse irriverente o perfino dissacrante.
La tua lettera -lo confesso- mi accompagna con il suo suono da mesi. E prima d'ora non sapevo perché. Ma in questi giorni in cui il fiorire silenzioso della mimosa e del mandorlo sul terrazzo mi ha raccontato l'approssimarsi della Pasqua, mi è sembrato di capire perché questo suono -il suono della tua lettera- non mi ha mai lasciato in questi mesi. Quasi volesse giungere fino ad oggi, fino alla Pasqua.

La lettera ha un destinatario. È un frate. Sul frontespizio della busta porta un indirizzo:
Al frate che ogni mattina
corre all'alba nei pressi di via Palestro,
Basilica di S. Carlo al Corso
corso Matteotti 14
20121 Milano
All'ultima riga la lettera porta una firma:
Lucia, la farfalla dalle ali spezzate.
La lettera dice:
Per mesi e mesi l'ho vista correre ogni mattina senza sapere chi fosse.
Poi, una domenica pomeriggio, per caso, entro in San Carlo e la vedo. Ho ammirato il suo coraggio di quando corre tra queste strade semi deserte, dove esistono solo le donne che lavorano come me, i loro protettori e gli omosessuali. Ho ammirato la Sua voglia di vivere e di libertà. Io che ho perso ormai tutto e che non sono più neppure libera dei miei pensieri. Dietro l'angolo al buio con qualche cliente abitudinale od occasionale, con la paura nel cuore ed un portafoglio gonfio per una vendita che è sempre la stessa.
Ora ho cambiato zona, sono andata a lavorare in un luogo di grande passaggio dove le auto fanno la fila per aspettare il nostro ritorno.Atleta anch'io. Del piacere. Con una casa sempre piena di fiori, con una laurea in lettere antiche, con un fidanzato che, da Cosenza, mi ha portata a Milano in cerca di lavoro e per sposarmi.
A Milano non ho trovato nulla e nulla anche per Francesco.
Ed allora il marciapiede ci ha permesso di avere un attico fioritissimo, due auto, un computer, vestiti meravigliosi, clienti sceltissimi e meno.
Di giorno dormiamo. La nostra vita inizia alle 21.00 e termina alle 5.00 del mattino.
Dove sono ora non ci sono più atleti. Tutti gli ideali sono morti sopra un sedile ribaltabile ed in una via buia. Dove sono ora non ci sono più Frati che corrono per un ideale puro. Ci sono solo clienti senza volto, ma con i soldi già in mano.
Ho lasciato cadere una banconota nella cassetta delle offerte della Sua Chiesa.
Ne ho sentito il rumore.
Lei, imperturbabile, confessava, credendo di non essere riconosciuto. Anch'io sembravo una fedele qualsiasi, con il mio vestito semplice ed accollato, ...anche se sotto il vestito... niente (neppure più un'anima).
Perché Le ho scritto? Per parlare... perché quando lavoro non lo faccio mai e quando non lavoro... parlare con Francesco è diventato inutile. Eppure mi ha promesso che un giorno torneremo a Cosenza e che diremo a tutti che a Milano abbiamo fatto fortuna.
Lei continuerà a correre. E noi ricominceremo una vita nuova che puzzerà di marcio.
Milano, 10 maggio 1996

Non ti stupire se ti ho detto che sarei dovuto giungere a Pasqua per capire perché il suono delle tue parole mi fosse rimasto per mesi nel cuore.
La tua è una confessione, quasi una parte di sacramento, più vera di tante nostre confessioni pasquali, dove, dopo tutto, abbiamo l'aria di chi si sente giusto: "... ammazzare non ho ammazzato, rubare non ho rubato, faccia lei, Padre...".
Tu non nascondi il degrado: "sembravo" -scrivi- "una fedele qualsiasi, con il mio vestito semplice ed accollato, ... anche se sotto il vestito... niente (neppure più un'anima)".
Anche da noi succede, dentro e fuori le chiese, dentro e fuori la società, di difendere il vestito, la maschera, purché non appaia il nudo dell'anima, il vuoto del cuore.
Sedili ribaltabili nella società ce ne sono tanti, dove abbiamo decretato la morte dei valori. E prostituzione non è solo la tua -forse la più appariscente, ma non la più grave, se Gesù ha detto: "le prostitute vi passano avanti nel regno dei cieli" (Mt 21, 31)-.
Quante cose abbiamo venduto per denaro e per carriera, la dignità stessa, se possibile l'anima, per il portafoglio, il portafoglio di cui tu parli. E avessimo almeno la tua "paura" nel cuore!
Davanti agli occhi spesso sta una vita che -come tu dici- chiamiamo "nuova", ma "puzza di marcio".
Quante cose che ostentatamente chiamiamo nuove e sono di un vecchio così ammuffito da farti rimpiangere ciò che è stato ieri.

Ma credimi, Lucia, ora lo so: non è per questo dito messo sulla piaga -sulla tua e sulle nostre- non è per questo che il suono della tua lettera mi ha accompagnato fino ad oggi. L'avrei cancellata, come si cancellano gli incubi notturni: durano un giorno o poco più.
Mi perdoni il Signore se oso dire che tra riga e riga, nello spazio bianco non scritto che è tutto da inventare, ho ascoltato, quasi impercettibile ma vero, lo spirare inconfondibile del vento, il vento nuovo.
C'è qualcuno, Gesù di Nazaret, che ha portato fino a rimanerne schiacciato, fino a morirne sulla croce il peso di tutte le nostre prostituzioni. Lui che un giorno ti difese davanti a Simone: "Le sono perdonati i suoi molti peccati" -disse- "perché molto ha amato".
Anche lui venduto per un cambio, venduto per denaro: trenta denari, né uno di più, né uno di meno.
Io non so perché tu quel giorno sia entrata nella chiesa di S. Carlo. Faccio fatica a pensare che tu vi sia andata solo per lasciar cadere una banconota nella cassetta delle offerte e per sentirne il rumore.
A costo di sembrare un ingenuo sognatore impenitente preferisco pensare che ci sia andata per Lui, Lui che un giorno ti difese per la tua capacità d'amare davanti a Simone, un puro che più puro non ce n'è, fariseo ma incapace di gesti d'amore, un analfabeta dell'amore.
E oso pensare da ingenuo sognatore impenitente che a spingerti fu il vento nuovo, che filtra per fessure anche minime, il vento del Risorto. La tua lettera è il desiderio, forse inconscio ma insopprimibile, del Risorto, del suo amore più forte di tutte le nostre prostituzioni.

Sì, la tua lettera è abitata da una nostalgia, nostalgia di quello strano frate, che correva -forse ancora oggi corre- all'alba nei pressi di via Palestro.
Tu, senza saperlo, evocando lui hai evocato un'immagine limpida e intensa della Risurrezione: "Ho ammirato" -scrivi- "la sua voglia di vivere e la sua libertà".
Questo e non altro il segno del passaggio della Risurrezione: la voglia di vivere e la libertà. Non certo lo starcene rintanati nelle chiese, non l'aria di chi ha paura di vivere, né tanto meno l'aria di chi ha in sospetto la libertà propria e altrui.
Non l'immobilità è segno della Risurrezione, non la rigidità, non la diffidenza, ma la scioltezza.
Non la chiusura nei nostri recinti. A che serve? Serve un frate che corra per le strade all'alba.
La scioltezza, un simbolo, un sogno. Sogno di come essere chiesa oggi.
"Il mio sogno" -dice l'Arcivescovo in una sua intervista- "è innanzi tutto per la chiesa. Questa sia davvero presenza di Cristo Risorto. Una chiesa lieta e leggera, che, pur portando i suoi pesi, sia insieme sciolta e coraggiosa, una chiesa che sia anima della città e sia lievito e fermento evangelico nel suo cuore. Per questo è necessario che la chiesa sia vangelo vissuto".
Sogno di un vescovo. Sogno anche di un parroco, che vorrebbe, per quel tanto di fascino che il simbolo racchiude, assomigliare a quel frate, che corre all'alba nei pressi di via Palestro e poi sosta silenzioso nel confessionale.
Anche nel confessionale essere segno del vento e della Risurrezione.
E che nessuno là, nell'angolo remoto della chiesa, in quel confessionale un poco nascosto, trovi per disavventura un prete che consulta un "vademecum", ma trovi un prete che legge i volti, che ricorda il vangelo e dice la misericordia di Dio. Quella misericordia che restituisce a me, a te, Lucia, e a ogni uomo e donna la voglia di vivere e la libertà.
Se ti fermi ad ascoltare nel silenzio, odi il vento nuovo, il vento della Risurrezione.
Con stima e amicizia.

don Angelo


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