articoli di d. Angelo


 

STORIA DI FERITE LUMINOSE

Oggi, mentre indugiavo a contemplare i primi germogli del roseto e l'albero del prunus che già si intenerisce di minuscole, quasi invisibili, gemme di fiori bianchi, forse più evocati dal cuore che non intravisti dagli occhi, mi sembrava di cogliere ancora una volta in questo silenzioso miracolo della natura un presagio della Pasqua vicina.
Sa di miracolo questo sbocciare di turgidi germogli nei pochi metri delle nostre improbabili terrazze cittadine.
A fronte dei germogli, sembra quasi contrastare la rigidità e imperturbabilità delle case, delle pareti e dei muri, pur così vicini al risveglio silenzioso della natura.
Ma perché - mi son chiesto - condannare così apoditticamente la loro rigidità: non furono loro, dopo tutto, a proteggere in qualche misura alberi e germogli nei rigidi giorni dell'inverno? Eppure rimane il contrasto.
Ma duri, impenetrabili, non saremo anche noi - noi e questa chiesa - a un passo dalla Pasqua del Signore?

LA NUDA CROCE

Sarà che sto invecchiando. Mi succede che brandelli di ricordi indugino sempre più nella memoria del cuore. E oggi, pensando alla Pasqua e alla centralità del suo mistero nella vita dei credenti, mi ritornava alla mente la tradizione, ora scomparsa generalmente, di velare durante la quaresima ogni quadro ed ogni icona nelle chiese. Nessuna immagine né di Madonne né di Santi. Campeggiava nella sua assolutezza il Crocifisso, unica memoria del cuore.
Mi rimane - lo confesso - la nostalgia e il rimpianto della nuda Croce.
Rimpianto e nostalgia crescono a dismisura in questa chiesa che si sta popolando oltre misura di altri segni, di nuovi protagonisti, in questa chiesa dove capita di inseguire liturgie che sconfinano nel teatro, dove protagonisti alla fin fine diventiamo noi preti e i nostri "servitori", dove disperatamente vai cercando, senza trovare, celebrazioni che custodiscano gelosamente il silenzio e trovi soltanto rumore, dove gli occhi curiosano su tutto e così poco s'affissano al Signore.
Il rischio è che diventiamo quasi inconsciamente pareti, forse anche imponenti, ma non sfiorate dal mistero del germoglio, il germoglio dell'albero della Croce, della Pasqua del Signore.

LA CENTRALITA' DELLA PASQUA

Una comunità che metta al centro la Pasqua del suo Signore: così è scritto nel progetto pastorale della nostra parrocchia.
Forse non è decisivo - così mi sembra di capire - che si rimanga tutti in città a celebrare il triduo pasquale. Possiamo essere qui e celebrare noi stessi, con gli occhi fissi a vuote immagini. Puoi essere invece altrove e, come vero umile discepolo, avere gli occhi fissi al Crocifisso risorto, gli occhi alle sue piaghe luminose.
"Sorprende la croce di Gesù". Sorprende - scrive Don Bruno Maggioni - "perché si tratta di uno spettacolo in cui appare tutta la malvagità dell'uomo che non esita a condannare l'innocente, ma nel contempo appare tutta la profondità e l'ostinazione del perdono di Gesù.
La croce insegna che il male c'è, che la malvagità esiste e che occorre vederla, scoprirla, denunciarla, ammetterla. Il credente guarda il male con uno sguardo serio e preoccupato.

LO SPETTACOLO DEL PERDONO

Ma la Croce è anche uno spettacolo in cui si scorge il perdono.
Racconta una storia ebraica che quando Dio decise di creare il mondo, non riusciva a farlo stare in piedi, non stava ritto, cadeva e ricadeva. una volta, due volte. Allora Dio, accanto al mondo, creò il perdono e il mondo stette ritto.
Se il mondo continua, è perché Dio ci perdona tutte le mattine e tutte le sere, e il Cristo in Croce è la rivelazione di questo perdono".
Che altro allora posso augurarmi se non questo di andare anch'io in questa Pasqua contemplare le piaghe luminose del Signore della Croce?
O forse, ancor più, questo vorrei augurarmi e augurare: Che sia Lui, il Signore a venire! Possa entrare, come quella sera, nei nostri cenacoli chiusi, là dove ci va barricando la paura.
La paura degli altri o la paura di noi stessi? L'insopportabilità del male altrui o del nostro male? Perché tutti - sarà bene ricordarlo - siamo fuggiti e forse questo alla fine ci accomuna e fa paura.
I discepoli, quelli della prima ora, ebbero il coraggio di scrivere, che, dopo quaranta giorni di ripetute manifestazioni del Risorto, alcuni di loro ancora dubitavano e provavano paura: era la chiusa del vangelo di Marco. A qualcuno sembrò una chiusa non troppo esaltante e si diede da fare per aggiungere un finale più "decoroso".

A MOSTRARCI LE PIAGHE TRASFIGURATE

E dunque venga il Risorto nei nostri cenacoli chiusi e mostri, a noi, uomini e donne della fuga e del dubbio, le mani e il costato; ci mostri il segno dei chiodi. E dica di nuovo: "Pace a voi".
Le piaghe del Signore si son fatte luminose per la Risurrezione. Sono piaghe che più non condannano, sono diventate il luogo del perdono, danno pace.
Sono piaghe che ti accolgono, senza umiliare. Rileggiamo ancora una volta i racconti della Risurrezione e non finiremo di ammirare la discrezione: è un Signore che non "canta vittoria", che non rinfaccia le fughe ai discepoli.
Forse sì con Pietro, ma velatamente. Gesù allude al triplice rinnegamento, chiedendo una triplice confessione d'amore. Forse con Pietro - mi si perdoni l'interpretazione - perché nessuno come lui si era mostrato così sicuro, quasi spavaldo, nel prendere le distanze da quelli che tradiscono: "Anche se tutti saranno scandalizzati, io non lo sarò" (Mc. 14,29).

STORIE URLATE, STORIE SEGRETE

Pasqua dunque è lasciare che il Signore ci mostri le piaghe luminose, come l'unica vera vittoria.
C'è sempre più, per le strade del nostro tempo, una storia urlata, che va purtroppo per vie diametralmente opposte a quella delle ferite del Risorto: si ama mostrare altro! Mostrare la forza, mostrare i muscoli, mostrare la superiorità, urlare, gridare, inveire.
Ma c'è, per grazia, per le strade del nostro tempo, una storia segreta che dovrebbe essere raccontata. Raccontata chissà dove? Forse anche su un povero foglio come questo: potremmo intitolarla storia delle piaghe luminose. Storie che nascono come da sorgente dal mistero della Pasqua: vanno raccontate nel silenzio, vanno passate quasi sottovoce dall'uno all'altro, senza sbandierare.
E' arrivata a me, proprio in questi giorni, una di queste storie, straziante e incandescente ad un tempo.
E' la storia di Lucj Vetrusc, una delle novizie che ha subito violenza da parte dei miliziani serbi.
Storia di piaghe luminose. Forse ancor più luminose, perché, come quella del Signore, discreta, in tempi in cui si ama celebrarsi e suonare le trombe. La affido a voi, così come è giunta a me. A voi passarla ad altri, sottovoce.
Tra le parole degli uomini, oggi come oggi, non ne ho una che mi introduca con altrettanta emozione alla Pasqua del Signore.
"Tornerò povera, riprenderò il vecchio grembiule e gli zoccoli che le donne usano nei giorni feriali e andrò con mia madre a raccogliere resine dalle cortecce dei larici dei nostri grandi boschi. Non si stupisca, reverenda Madre Generale, della mia decisione. Deve pur esserci qualcuno che cominci a rompere la catena dell'odio che deturpa i nostri paesi. Al figlio che verrà ( se verrà), insegnerò proprio soltanto l'amore. Lui, nato dalla violenza, testimonie

don Angelo


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