articoli di d. Angelo


 

MARCIAPIEDI E CHIESA, QUASI UN SIMBOLO
le interrogazioni di un pastore dopo le elezioni

Mi ero ripromesso di scrivere e questa è una sorta di fedeltà a una promessa: la promessa di scrivere di elezioni. Oggi quasi me ne pento.
Lo promettevo a me stesso, ogni qual volta, nello spaesamento pressoché totale della campagna elettorale, avvenivano fatti che mi portavano istintivamente a chiedermi dove passasse la lama di quella Parola, che non è nostra, eppure ci è data come punto di riferimento ultimo e assoluto.
"La Parola di Dio" - è scritto nella lettera agli Ebrei - "è viva, efficace, e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell'animo dallo spirito, delle giunture e della midolla scruta i sentimenti e i pensieri del cuore".
Parlo ora di elezioni con un certo disagio, sapendo di attraversare "campi minati ", dove il fraintendimento è una possibilità tutt'altro che remota.

DUE IMMAGINI

Due le immagini che mi hanno lungamente accompagnato in questi giorni: quella del marciapiede e quella della chiesa. E il fraintendimento cui ha dato origine in passato, e ancora oggi può dare origine, il sovrapporsi illegittimo del marciapiedi e della chiesa.
Chiesa, come simbolo di un convenire di donne e uomini, accomunati nell'ascolto dell'Altra Parola, nella condivisione dell'unico Padre, in una comunione che non è dettata né dalla cultura, né dal sangue, né dalle opzioni politiche, ma che affonda le radici nel dono dell'unico Spirito che ci fa figli e dunque fratelli .
E il marciapiedi come simbolo della nostra città, la città dell'uomo. Simbolo, il marciapiedi, del nostro vivere e del nostro correre quotidiano, della nostra ricerca di spazi abitabili e visibili, dove a tutti - in modo particolare ai più indifesi - sia salvaguardato il diritto a una vita serena.

SPAZIO INQUIETO

Simbolo, il marciapiedi, delle nostre insicurezze, della fatica delle nostre analisi circa i disagi di una città, simbolo della non assolutezza dei nostri programmi, che così spesso denunciano il nostro vedere e non vedere, l'opacità del nostro discernimento.
La chiesa dunque custode dell'assolutezza della Parola e il marciapiedi, spazio inquieto del nostro progettare.
E dunque la chiesa non invada il marciapiedi e il marciapiedi non invada la chiesa.
Il marciapiedi è il luogo delle nostre opzioni politiche, legittimamente pluraliste e diverse: sarebbe arroganza della mente e del cuore e cattiva pubblicità alla nostra fede cacciare dal marciapiede, luogo del legittimo dibattere, coloro che politicamente la pensano diversamente da noi.
Se mai dovremo preoccuparci di cacciare dalle chiese chi nelle chiese venisse a fare mercato politico, cioè a vendere il relativo nel luogo dell'assolutezza.

QUANDO L'INDIGNAZIONE ?

Purtroppo - dobbiamo confessarlo - a questa distinzione non siamo stati educati: le confusioni vengono da molto lontano. Ma non è una ragione questa perché debbano essere prolungate all'infinito nel tempo.
Nei giorni antecedenti le elezioni alcuni rimasero sorpresi che si osasse volantinare sul marciapiedi antistante la chiesa. Il gridare da parte di alcuni allo scandalo mi portava, in questi giorni, di riflessione in riflessione.
Mi chiedevo, per esempio, perché non si era gridato alla scandalo anni fa, quando altri volantinavano sullo stesso marciapiedi a sostegno di volti a tutti conosciuti. volti che ci siamo visti deporre, quali moderni santini, fin sulle sedie delle nostra chiesa, nelle celebrazioni domenicali.
Non sarebbe stata più comprensibile e forse legittima l'indignazione anni fa, quando in modo più o meno scoperto, si faceva campagna elettorale nelle chiese?
La vigilia della Pasqua, nell'omelia nel Battistero di Firenze, l'Arcivescovo di quella città citava Don Luigi Sturzo: "Il cattolicesimo è religione, universalità. Il partito è politica, è divisione".
Qualcuno oggi si chiede se abbiamo tenuto in conto tutto questo, se abbiamo cioè tenuto in conto il fatto che, scegliendo un partito, la comunità cristiana assumeva un compito di esclusione. La Chiesa deve correre il rischio e la fatica del discernimento, ma è sempre per tutti.

DONI NON RICONOSCIUTI

Salvaguardare dunque la diversità del marciapiedi e della chiesa, capire che cosa spetta e cosa non spetta alla chiesa, così come ci invitava a fare il nostro Arcivescovo nella vigilia elettorale.
Sono molti coloro che in Italia e fuori Italia ci invidiano la limpidezza del magistero del Cardinale Martini. Ma le reazioni di un certo mondo cattolico indurrebbero a concludere che abbiamo doni vicini, ma purtroppo non li riconosciamo.
Quanto delle sue parole sono diventate costume di pensiero?
"Non spetta alla Chiesa" - scriveva - "individuare progetti politici e indicare scelte da fare. Infatti dalla fede non derivano necessariamente scelte o orientamenti univoci nel campo degli strumenti politici o amministrativi, anche se non ogni scelta è di per sé compatibile con l'ispirazione cristiana. In particolare non è compito dei responsabili della Chiesa proporre determinate soluzioni politiche o determinati candidati. Ciascuno deve responsabilizzarsi delle proprie scelte".

DOVE LO SCANDALO?

Dopo queste parole non equivocabili del nostro Vescovo, dove avremmo dovuto aspettarci legittimamente deplorazioni e indignazioni?
Ci saremmo dovuti indignare e scandalizzare per fratelli e sorelle che avessero fatto scelte politiche diverse dalle nostre o non forse per l'aggressione morale nei loro confronti?
Non dovremmo forse patire scandalo nelle nostre comunità dove talvolta nei fatti essere democristiani unisce o divide di più che l'essere cristiano?
Allo scandalo non avremmo dovuto forse gridare e forte sarebbe dovuta essere la nostra indignazione là dove a fratelli e sorelle, per via delle loro scelte politiche, veniva negato perfino il saluto, là dove li si aggrediva impietosamente, minacciando loro il castigo futuro, rimuovendo, così, brutalmente dalla memoria il criterio che nel capitolo venticinquesimo del Vangelo di Matteo fa da spartiacque nell'ultimo giudizio: "Avevo fame, avevo sete, ero forestiero…".
Questo il vero scandalo. Uno scandalo purtroppo non solo temuto, se l'Arcivescovo in quei giorni ci invitava a rimuoverlo dalle nostre comunità, dicendo puntualmente: "I cristiani dovranno fare in modo che le opzioni politiche diverse non si ripercuotano con lacerazioni dentro il corpo vivo della Chiesa".

CHE COSA E' MANCATO

In questa campagna elettorale, forse più che in altre, mi sono sorpreso a chiedermi che cosa a una comunità cristiana dovrebbe stare più a cuore.
Dovrebbe stare più a cuore il risultato elettorale o non forse il discernimento sullo spirito che, in giorni come questi, ha animato i credenti?
Mai forse come in questa tornata elettorale abbiamo assistito a una sorta di spaesamento: da un lato la folla degli indecisi che non sapevano che cosa fare, dall'altro la folla di coloro che giustificavano le loro opzioni, mutuandole da schemi abusati del passato, stereotipi che si prolungano logori nel tempo, come se nulla fosse accaduto in Italia e fuori in questi cinquant'anni.
Da un lato dunque un eccesso di insicurezza, dall'altro un eccesso di sicurezza. Sicurezze e insicurezze che oggi sarebbe fin troppo facile criminalizzare. Intelligenza vorrebbe che se ne indagassero le cause. Sorprenderemmo così che hanno le stesse radici. Sicurezza e insicurezza affondano nello stesso terreno, cioè nella incapacità di pensare.

CHE ALTRO AVREMMO POTUTO ASPETTARCI?

Le accuse suonano fin troppo ingenerose. Che altro avremmo potuto infatti aspettarci, dopo aver chiesto per anni e anni ai credenti di tracciare segni su uomini e simboli, a occhi chiusi o quasi?
Abbiamo letto lo sconcerto - e sconcerto non poteva non essere - sul volto di coloro che per anni e anni furono chiamati a delegare.
Abbiamo colto disagio e fatica in tutti noi che siamo soliti risvegliarci alla considerazione della politica nell'imminenza della scadenza elettorale. Con il pericolo, nemmeno tanto remoto, di lasciarci sedurre dagli slogans del momento.
Chi di noi in questi ultimi anni avesse vegliato su uomini e partiti, dedicando quotidianamente attenzione alle vicende della città, avrebbe avuto qualche motivo in più per valutare meglio, per scegliere avvicinandosi all'oggettività.

LA NECESSITA' DI PENSARE

Venuti meno gli strumenti abituali, ci siamo ritrovati nella necessità ineludibile di pensare. E purtroppo a pensare - a pensare politicamente - non eravamo per lo più allenati, educati come eravamo ormai ad andare per uomini e simboli - quanto infangati ? - o per proclami, di cui ci si riempie ampiamente la bocca e che spesso nascondono la parzialità.
Ricordo lo sconcerto, poco più di un mese fa, in una riunione a livello regionale di verifica sul Convegno "Nascere e morire oggi", quando un padre missionario che mi sedeva accanto ci chiese impietosamente se mai, nella preparazione al Convegno, ci fosse sfiorata l'idea che centinaia e centinaia di migliaia, milioni di morti nel Sud del mondo trovano la loro causa nelle scelte economiche del Nord del mondo.
E allora - si chiedeva - dove sono quelli che difendono la vita?
Ma di tutto questo non era traccia nel Convegno.
Un esempio, tra tanti, che dice la parzialità delle nostre declamazioni e ci fa avvertire l'urgenza della vigilanza critica, quella vigilanza critica cui ci richiamava ultimamente il nostro Arcivescovo.
"Il dovere della vigilanza e del discernimento non si consuma nelle vigilie elettorali, esso si distende lungo il tempo ordinario della vita politico-amministrativa di una comunità. Tenere alta la lucerna della vigilanza critica anche quando i riflettori si spengono: questo deve essere il proposito e l'habitus di una matura comunità cristiana che educa i credenti al senso dei valori e all'impegno crescente".

don Angelo


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