articoli di d. Angelo


 

LO SPLENDORE SUI VOLTI

Vorrei avere gli occhi di Gesù.
Ma con quale diritto potrei chiedergli di donarmeli?
Eppure a volte mi sorprendo a sognare che la luce che dimorava nei suoi occhi possa auroralmente abitare nei miei.
Vorrei avere gli occhi di Gesù: la sua capacità di incantarsi davanti a una donna che sta nascondendo un po' di lievito in poche staia di farina.
La sua capacità di incantarsi davanti all'albero che da piccolo seme si è fatto albero grande e ora gli uccelli del cielo garrendo vi trovano un rifugio.
La sua capacità di incantarsi davanti ai gigli del campo: nemmeno Salomone, con tutto il suo sforzo, vestiva colori così affascinanti.

* * *

Vorrei avere gli occhi di Gesù e incantarmi ai volti, ai mille volti che incontro.
Non ne esiste uno che non custodisca una sua profondità, una sua segreta bellezza.
Mi succede, ad esempio, di ripercorrere spesso le rughe sul volto degli anziani, quel loro comporsi e scomporsi, in un'armonia di linee.
Ma oggi vorrei parlare dei volti dei ragazzi: sono volti che segnano il futuro.
A volte vorrei fissarne un'immagine che per un attimo si accende, nel desiderio di fare partecipi anche altri dell'emozione e della gioia che, nel fissarla, mi hanno preso il cuore.

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Era il pomeriggio di una domenica, una domenica qualunque.
Avevo appena battezzato nell'acqua e nello Spirito, Andrea. Lo teneva in braccio teneramente, dopo averne asciugato il capo, la madre, ora seduta: brillava nei suoi occhi una gioia dolcissima.
Il rito continuava. "Ricevi la luce di Cristo": dissi.
Era il momento in cui si accende un piccolo cero alla fiamma del grande cero pasquale, simbolo del Cristo risorto. E lo si dà ai genitori, quasi a significare una luce da custodire per il figlio per tutta la vita.
Il cero era ora nelle mani della madre e d'un tratto i tre fratellini di Andrea, a grappolo, furono intorno alla mamma, tutti a sostenere con le loro anime la candela accesa, tutti a fissare con occhi di gioia la luce che dolcemente illuminava il volto del loro fratellino.
Tu nasci Andrea, e trovi una casa dove piccoli e grandi tengono accesa una luce.
"In una casa" -è scritto nel Vangelo- "non si accende la lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere, perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa".

* * *

Ancora nella penombra di una chiesa -la nostra- il giorno della prima Confessione dei ragazzi.
La confessione degli adulti ha preso ormai cadenze e canoni rituali, che a volte sfociano nel gesto meccanico, quasi senza cuore: confessione stupita dell'amore di Dio o purtroppo confessione arida delle nostre colpe?
Certo nelle celebrazioni degli adulti tutto è ordinato, forse troppo: l'ordine regnava sovrano anche a Varsavia!
E invece questa prima confessione dei nostri ragazzi riporta il sacramento in una dimensione di "avvenimento": per i ragazzi "succede" qualcosa.
Perché scandalizzarci allora se i ragazzi, udita la parola di consolazione custodita nel perdono, se ne vanno dal confessionale quasi danzando, quasi gridando osanna al Cristo che è entrato nel loro cuore non nel segno del giudizio e della condanna, bensì nel segno della tenerezza e del perdono?
Non frenate l'osanna dei bambini - ci direbbe Cristo -, altrimenti a gridare osanna si sostituirebbero le pietre.
E come potrei scandalizzarmi della ragazzina che attraversa correndo con il cuore in golea, la navata della chiesa e rimane stretta alla madre in un abbraccio tenerissimo?
Siamo ancora capaci di leggere il Vangelo, la storia di quel padre - l'ha raccontata Gesù - che abbracciò il figlio che ritornava e organizzo per lui una festa così prorompente che la sua eco giungeva lontano?
Più nulla dunque di questo evangelo può succedere nelle nostre chiese?

* * *

Per un certo tempo, quando uscivo a celebrare la Messa il sabato sera, mi succedeva di incrociare gli occhi sorridenti di Andrea, un ragazzo di quarta elementare: lui regolarmente sale al piano dell'altare maggiore, lungo le panche che ne delimitano lo spazio.
Quante volte nel silenzio ha interrogato la sua gioia, quel suo essere lì, solo e felice.
Era per me l'immagine del desiderio. Immagine -mi dicevo- di quella sete di Dio che vive anche nel cuore dei fanciulli.
Andrea infatti la domenica va a pescare: è la sua passione segreta. E così anticipa il suo incontro con il Signore al sabato sera.
Sembra di leggergli negli occhi, ogni qual volta li incontro, l'aria soddisfatta di chi ti dice: "Ci sono anch'io. Vedi, ho tenuto l'impegno". E sorride.
Da qualche settimana, accanto ad Andrea c'è Fabio, un amico: loro due soli, l'uno accanto all'altro, vicinissimi all'altare.
Che sia una sua "conquista"?: mi sono detto.
Ma forse sto sognando. O forse no.

* * *

Ho scritto queste riflessioni a brandelli, ora seduta ai bordi di un prato verde, mentre respiravo a pieni polmoni il profumo della resina degli abeti a St. Nicolas, ora seduto su di un letto all'alba, quando il primo sole va illuminando e scaldando le tende, la chiesetta e il suo campanile e quasi ridisegna i colori di quella natura stupenda, dopo una notte di vento gelido e di pioggia sferzante.
Tutto tace. Vive solo il cinguettio degli uccelli che si richiamano a vicenda da un lato all'altro del cielo.
Tra poco tutto si rianimerà. Siamo più di cinquanta. Uno dopo l'altro arriveranno ragazzi e ragazze.
Dietro i loro volti, ora un poco bruciati dal sole -dietro ogni volto- vive un mondo di attese, ma anche un desiderio di approfondire di dare significato alla vita, di dare concretezza ai sogni... e la ricerca di Te, Signore.
Questo primo sole del mattino che fascia teneramente ogni cosa, quasi ridisegnandola in un cielo azzurro, mi parla di te: "Tu luce e splendore, tu salvezza del mio volto o Dio".

don Angelo


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